Come scrive Pier Luigi Sacco sul Giornale delle Fondazioni, il termine "welfare culturale" sta acquistando una certa popolarità nel dibattito italiano sulle politiche culturali, che sembra avere sempre bisogno di parole chiave da utilizzare come passepartout comunicativi, ma che non sempre esprime una sufficiente attenzione verso il loro senso e soprattutto i loro presupposti concettuali. Nel caso del welfare culturale, questo pericolo è particolarmente serio. L’accostamento tra welfare e cultura è sicuramente accattivante, ma un uso troppo disinvolto di questa terminologia può facilmente finire per svuotarla di senso, depotenziando così una sfera di azione che al contrario può acquistare grande significato nelle politiche future, culturali e non solo, a livello italiano, europeo e globale.
Parlare di welfare culturale vuol dire, in ultima analisi, inserire in modo appropriato ed efficace i processi di produzione e disseminazione culturale all’interno di un sistema di welfare e quindi farli diventare parte integrante dei servizi socio-assistenziali e sanitari che garantiscono ai cittadini le forme di cura e accompagnamento necessarie al superamento di criticità legate alla salute, all’invecchiamento, alle disabilità, all’integrazione sociale e a tutte le problematiche a cui si associa il riconoscimento di un dovere di tutela sociale.
Alla base di una corretta impostazione del tema, secondo Sacco, c’è quindi una precisa, seria riflessione sulle condizioni che permettono ai processi di produzione e disseminazione culturale di offrire soluzioni concrete alle problematiche tipiche del welfare. Un intervento appropriato non può quindi che prendere le mosse da una consapevolezza delle basi scientifiche e dei risultati della ricerca che studia le relazioni tra partecipazione culturale e salute, benessere psicologico, coesione sociale, empowerment individuale e sociale, e così via.
Per parlare di welfare culturale occorre quindi considerare progetti ed iniziative che arrivino a coinvolgere in modo esplicito e consapevole anche i soggetti istituzionali che fanno parte del sistema del welfare – aziende sanitarie, amministrazioni locali, centri e organizzazioni di assistenza e di cura, e così via. E nella misura in cui, come è possibile e prevedibile, tali soggetti non si mostrino sufficientemente sensibili e reattivi agli stimoli che arrivano dall’innovazione sociale dal basso, diventerà necessario dirigere almeno in parte la spinta trasformativa di quest’ultima proprio verso lo sviluppo di modalità di coinvolgimento efficace delle realtà istituzionali stesse.
"Appunti per una definizione di "Welfare culturale"
Pier Luigi Sacco, Il Giornale delle Fondazioni, 16 marzo 2017