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Nei giorni immediatamente successivi all’avvio di quella che abbiamo imparato a chiamare "Fase 1", in cui il Paese è entrato in lockdown per evitare la diffusione del Covid-19, Percorsi di secondo welfare si è interrogato sul ruolo sociale che le organizzazioni avrebbero potuto assumere in questo momento difficile attraverso misure di welfare aziendale e responsabilità sociale di impresa (RSI).

Per comprenderlo il nostro Laboratorio ha scelto di avviare una “Open call for good practices” rivolta ad aziende, associazioni datoriali, organizzazioni sindacali, enti del Terzo Settore e amministrazioni pubbliche impegnate a fornire strumenti di welfare straordinari per i loro collaboratori e per le loro comunità volte a fronteggiare l’emergenza. Attraverso la survey si è provato a comprendere l’impatto della pandemia sull’andamento delle attività del sistema produttivo, le principali misure di welfare aziendale e RSI realizzate nella fase di emergenza dalle organizzazioni coinvolte e, infine, quali spunti e prospettive fossero emersi aspettando la “fase 2” e guardando al futuro.

La survey ha portato alla stesura del rapporto di ricerca "Organizzazioni solidali al tempo del Covid-19" scritto da Franca Maino e Federico Razetti, che da oggi è scaricabile liberamente dal nostro portale. 

 
Di seguito riportiamo le principali evidenze che emergono dall’analisi svolta.

  • Le organizzazioni che hanno preso parte all’indagine sono in larghissima parte concentrate nelle regioni settentrionali del Paese: 3 organizzazioni su 4 si trovano al Nord (74,5%), mentre il restante quarto si distribuisce fra Centro (13,5%) e Mezzogiorno (12%).
     
  • Tra i rispondenti prevalgono i soggetti non profit (43,7%), seguiti da quelli profit (33,6%) e, infine, dagli enti pubblici (19,2%). Gli enti pubblici e i soggetti profit sono in larga misura soggetti medio-grandi, con almeno 50 dipendenti, mentre le organizzazioni non profit tendono a concentrarsi nella classe con meno di 50 dipendenti. Le organizzazioni profit sono relativamente più presenti al Nord che al Sud, dove si registra invece una maggiore quota di enti pubblici.
     
  • Guardando alle conseguenze generate dal lockdown, 2 organizzazioni su 3 (65,9%) hanno dovuto rimodulare le proprie attività (54,5%) o non hanno subìto particolari restrizioni (11,4%), mentre solo in 1 caso su 3 è stata scelta l’opzione che indicava una significativa riduzione delle attività (24,6%) o una loro completa interruzione (9,5%).
     
  • Nel campione prevalgono le organizzazioni che avevano introdotto misure di welfare aziendale e/o smart working prima della pandemia (53,4%), la cui quota risulta particolarmente consistente tra le organizzazioni profit e quelle medio-grandi (da 50 dipendenti in su).
     
  • Il 93,5% delle organizzazioni che avevano introdotto misure di welfare aziendale e/o smart working prima della pandemia ha esteso gli strumenti già in essere (in media, in 1,6 ambiti), ricorrendo in modo massiccio al rafforzamento del “lavoro agile” (91,1%) e/o a varie forme di flessibilità oraria (41,1%).
     
  • In occasione della pandemia, nuove misure di welfare – specificamente legate alla crisi – sono state previste dal 74,5% dei soggetti già attivi sul terreni del welfare, ma anche dal 77,2% delle organizzazioni che non avevano introdotto misure di welfare aziendale e/o smart working prima della pandemia. Le nuove misure toccano in media 2,5 ambiti, che scendono a 2,2 fra le organizzazioni più piccole (con meno di 50 dipendenti) e salgono a 2,9 fra quelle di dimensioni medio-grandi.
     
  • Il 69,5% delle organizzazioni che hanno attivato nuovi interventi di welfare hanno assicurato comunicazione e informazione ai dipendenti in merito alle misure volte alla prevenzione del contagio da Coronavirus; la seconda azione messa in campo (33,2%) è consistita nell’attivazione di coperture assicurative per i lavoratori in caso di accertata positività al Covid-19.
     
  • In merito all’adozione di misure di responsabilità sociale il “sì” si aggira intorno al 50% in tutte le classi dimensionali, eccetto quella che raggruppa le organizzazioni con almeno 250 dipendenti. Dal punto di vista territoriale, le risposte affermative prevalgono al Nord e al Centro mentre sono poco più di un terzo (il 34%) al Sud. Come prevedibile, le informazioni relative al tipo di organizzazione consentono infine di cogliere la prevalenza di risposte positive fra i soggetti profit e non profit in netta opposizione agli Enti pubblici, nei quali prevalgono le risposte negative e crescono quelle incerte.
     
  • La quota di soggetti che – avendo già adottato in passato misure di responsabilità sociale – hanno deciso di attivare questa linea di intervento durante la crisi supera il 68%. A differenza di quanto emerso con riferimento al welfare aziendale, l’adozione di misure di RSI appare condizionata dall’esperienza precedentemente maturata in questo settore, dato che solo il 33,1% di chi in precedenza non si era cimentato in iniziative di questo tipo ha deciso di farlo in occasione dell’emergenza sanitaria.
     
  • L’azione di RSI più frequente (40,2%) è consistita in donazioni a favore del SSN e della Protezione Civile; seguono l’acquisto di materiale sanitario (34,8%) e l’avvio di una propria campagna di raccolta fondi (33,8%), le donazioni a favore degli Enti del Terzo Settore (22,4%), la partecipazione a raccolte fondi organizzate da altri soggetti (21,1%).
     
  • Fra le organizzazioni che hanno partecipato alla survey, i nessi fra welfare aziendale e smart working, da un lato, e responsabilità sociale, dall’altro appaiono chiari – sia prima sia durante la crisi -, considerato l’impegno profuso, in molti casi, su entrambi i fronti, e la presenza di una correlazione positiva fra il numero di ambiti oggetto di intervento di welfare e di RSI.
     
  • Soprattutto per le organizzazioni che si sono affacciate per la prima volta sui temi del welfare e della RSI in occasione della crisi si pone il tema di come riuscire a valorizzare quanto sperimentato nella fase del lockdown.