Prowelfare è una ricerca coordinata dall’Osservatorio Sociale Europeo e dalla Confederazione Europea dei Sindacati su impulso della Commissione UE. L’obiettivo del progetto, svoltosi nel corso del 2013, era di inquadrare la diffusione di quelle prestazioni di welfare offerte ai lavoratori a seguito di contrattazione fra le parti sociali o come prodotto di un’iniziativa unilaterale dei datori di lavoro, indicate per semplicità con l’acronimo WOV – Welfare Occupazionale Volontario, in 8 Stati membri. Data la vicinanza del tema con il welfare aziendale e contrattuale, i risultati di Prowelfare risultano particolarmente interessanti in una prospettiva di secondo welfare e, per tale ragione, abbiamo scelto di approfondire i diversi rapporti di ricerca sviluppati negli otto Paesi, a partire da quello del Regno Unito.
Il rapporto sul Regno Unito è stato curato da Joseph Feyertag and Martin Seeleib-Kaiser per conto dell’Istituto di Politiche Sociali dell’Università di Oxford. Per analizzare il Welfare Occupazionale Volontario, gli autori hanno utilizzato principalmente dati statistici secondari sia europei (OCSE, Eurofound) sia nazionali (soprattutto tramite survey come la Work-Life Balance Employer Survey o la British Household Panel Survey). L’analisi dei contratti collettivi è stata invece piuttosto limitata, poiché si tratta di uno strumento raramente utilizzato dalle parti sociali per regolare l’offerta di WOV.
Il contesto socio-economico
L’Inghilterra è l’unico degli otto Paesi analizzati nell’ambito del progetto ProWelfare che si caratterizza per la presenza di un welfare liberale. Questo regime di welfare viene finanziato principalmente tramite la fiscalità generale e ha la finalità di contrastare la povertà e i bisogni urgenti dei cittadini piuttosto che garantire il mantenimento dello status e dei diritti acquisiti (come avviene nei c.d. regimi conservatori-corporativi). La natura liberale del welfare inglese è stata rafforzata dai governi conservatori e dalle riforme che hanno portato a termine tra il 1979 e il 1997. Soprattutto con l’avvento della Thatcher nel 1979 è stato dato un forte impulso all’orientamento di mercato del welfare e alla partecipazione dei cittadini come attori di mercato, facilitando ad esempio la scelta tra più fornitori e quindi la concorrenza tra i servizi.
La spesa pubblica inglese in welfare è al di sotto della media degli otto Paesi (25% del PIL nel 2012, contro una media del 27,6%) ma ha comunque visto una crescita notevole a partire dagli anni Novanta (17% nel 1990). È però interessante notare come la spesa pubblica sia ripartita rispetto alle tre aree di ricerca su cui si è focalizzato ProWelfare (sanità, conciliazione vita-lavoro, formazione professionale). La spesa sanitaria e quella per la conciliazione sono infatti superiori rispetto alla media degli otto Paesi (8,1% del PIL per la sanità e 3,8% per la conciliazione contro una media dei paesi analizzati pari rispettivamente al 7,4% e al 2,4%). Inoltre in questi due ambiti la spesa pubblica ha continuato a crescere negli ultimi anni mentre ciò non si è verificato nel campo della formazione professionale.
Il WOV in generale
La spesa privata volontaria in Inghilterra è molto alta rispetto alla media dei paesi coinvolti nella ricerca, con una percentuale pari al 5% del PIL nel 2009. Va però notato che la tendenza è in calo rispetto al 2000, quando rappresentava il 7% del PIL. Inoltre, è necessario considerare che la maggior parte di questa spesa riguarda le pensioni integrative. Allo stesso tempo, a partire dagli anni ’70, la spesa privata obbligatoria (che offre un’ulteriore protezione in caso di malattia o di infortunio) è cresciuta costantemente e oggi rappresenta l’1% del PIL.
WOV e salute
In Inghilterra, la spesa privata volontaria in campo sanitario è solo lo 0,3% del PIL. Ciò è dovuto alla presenza di un Sistema Sanitario Nazionale (National Health Service, NHS) gratuito e universale. La spesa sanitaria pubblica è infatti pari 9,7% del PIL, in crescita rispetto al 5,6% del 1980.
Nonostante ciò, esistono anche in Inghilterra assicurazioni private mediche (Private Medical Insurance, PMI) che garantiscono, ad esempio, accesso a trattamenti più rapidi, a un ambiente di cura più confortevole, oltre che ad una più ampia gamma di specialisti. Le PMI hanno due tipi di mercato: i singoli consumatori che vogliono assicurarsi e le imprese che provvedono ad assicurare i propri dipendenti. Dagli anni ’80 gli iscritti alle PMI sono aumentati e, attualmente, circa il 12% della popolazione inglese è coperta da questo tipo di assicurazione. Se però si guarda alle caratteristiche dei beneficiari, vediamo che è diminuita la percentuale degli iscritti a titolo individuale mentre è cresciuta quella delle imprese che iscrivono i proprio lavoratori. Ciò dimostra una crescita del WOV in ambito sanitario. Va sottolineato tuttavia che il 12,5% delle imprese che offrono questa prestazione richiede una compartecipazione finanziaria ai propri lavoratori.
Gli assicurati attraverso le PMI presentano un profilo abbastanza omogeneo: si tratta più frequentemente di uomini tra i 55 e i 64 anni con un titolo di studio universitario, un reddito alto, una posizione occupazionale di rilievo all’interno dell’organizzazione presso la quale sono occupati e residenti prevalentemente nella zona Sud est dell’Inghilterra (principalmente Londra). Sulla base di questi dati, gli autori del rapporto affermano che, in Inghilterra, l’offerta di WOV svolge una funzione integrativa rispetto al sistema sanitario nazionale dato che offre interventi non coperti dal NHS.
WOV e conciliazione famiglia-lavoro
Nonostante le funzioni di cura siano tradizionalmente attribuite alla sfera privata, negli ultimi venti anni l’Inghilterra ha visto la crescita delle politiche volte alla conciliazione fra vita lavorativa e vita familiare. Dal 1997, diverse riforme hanno cercato di facilitare l’attivazione delle donne nel mercato del lavoro agendo su più fronti e portando a diversi risultati concreti (Sure Start Programme, 1998; Childcare Act, 2005). La spesa pubblica per la conciliazione, che nel 1990 era il 2% del PIL, è salita al 4% del PIL nel 2009. Ad esempio, tra il 1997 e il 2007 il numero di asili è raddoppiato e quasi tutti i tipi di congedo parentale sono stati progressivamente estesi (maternità, paternità e congedo parentale non pagato).
Le imprese hanno giocato un ruolo di primo piano nello sviluppo del WoV in questo settore. Secondo la Survey sulla Conciliazione vita privata e vita professionale, nel 2011 il 43% dei lavoratori inglesi con figli riceveva supporto dal datore di lavoro soprattutto attraverso un aiuto economico (33% dei casi). Ancora una volta, esclusi da questo tipo di benefici sono i lavoratori con un titolo di studio non universitario, alla base della gerarchia aziendale, con reddito basso e un contratto part-time. L’accesso è correlato anche alla dimensione dell’impresa, all’anzianità di servizio e al settore industriale. Infine, è interessante notare che le prestazioni volte a favorire la conciliazione sono erogate più frequentemente nelle imprese in cui la presenza delle donne nei board manageriali è più diffusa (ovvero dove almeno il 75% dei manager è donna).
Nel Regno Unito le imprese possono usufruire di vantaggi fiscali se decidono di offrire prestazioni in materia di conciliazione. Le formule più comuni adottate in questo campo sono: 1) servizi di cura esterni pagati dall’impresa; 2) apertura di asili aziendali (fenomeno che nel 2007 interessava il 3% dei luoghi di lavoro, con un aumento significativo rispetto al 1,7% del 2000); 3) voucher da spendere per la cura dei bambini, supportati dal governo e che possono portare a un risparmio di 1.000£ l’anno per ciascun figlio; 4) bonus per l’infanzia che ammontano a circa 1.200£ l’anno (offerti dal 5% delle imprese).
Un altro intervento in materia di conciliazione che è ampiamente diffuso cresciuto negli ultimi dieci anni riguarda la flessibilità dell’orario di lavoro. Nel 2007, il 95% delle imprese offriva la possibilità ai propri lavoratori di rendere l’orario di lavoro flessibile, una percentuale in crescita rispetto al 2000 quando questa possibilità riguardava l’81% delle imprese. Accanto alla possibilità di ridurre l’orario di lavoro, le imprese inglesi prevedono quella di cumulare e recuperare delle ore di lavoro, di variare l’orario di inizio e di fine della giornata lavorativa e di usufruire di specifici permessi in caso di urgenze familiari. Recentemente, si sono inoltre diffusi il telelavoro, il lavoro a “ore compresse” la possibilità cioè di lavorare lo stesso numero di ore di un tempo pieno ma in meno giorni) e la possibilità di usufruire di intere giornate di astensione dal lavoro per motivi familiari.
Infine, molte imprese inglesi prevedono l’estensione dei periodi di congedo parentale rispetto alla previsione della normativa nazionale. In particolare, il 53% delle imprese riconosce il diritto a un periodo superiore ai 12 mesi di maternità previsti dalla legge e il 18% offre un congedo per il padre più lungo delle due settimane obbligatorie. Inoltre, il 27% dei datori di lavoro integra il reddito della lavoratrice durante il periodo di maternità e il 21% fa lo stesso per il padre, in questo modo i congedi garantiscono l’ottenimento di quasi il 100% del salario.
WOV e formazione professionale
Delle imprese che hanno utilizzato sussidi per finanziare la formazione rivolta ai dipendenti, il 50% dichiara di aver beneficiato di fondi pubblici, mentre una impresa su sei ha utilizzato fondi europei e nell’8% dei casi i datori di lavoro hanno goduto di incentivi fiscali. Inoltre il 15% dei datori di lavoro partecipa alla creazione di fondi collettivi per la formazione professionale e il 16% delle imprese dichiara di averne usufruito per finanziare l’offerta formativa rivolta ai dipendenti. Da ultimo, è interessante notare che il 2% delle formazioni professionali è fornito dai sindacati.
Nel 2010, l’83% dei datori di lavoro offriva formazione (contro una media degli otto Paesi pari al 69%), l’81,4% controllava regolarmente i bisogni formativi e il 76,4% concedeva permessi per lo svolgimento di attività formativa ai propri lavoratori. I contenuti più diffusi della formazione professionale sono le competenze operative, il lavoro in gruppo, le competenze manageriali, la capacità di comunicazione orale e scritta e le conoscenze informatiche. Quasi un terzo dei corsi dà diritto a una qualificazione riconosciuta a livello nazionale. Sono anche possibili delle formazioni alternative come l’on-the-job training (ossia formazioni pratiche apprese durante il lavoro), gli scambi, le rotazioni, le visite di studio, le partecipazioni a circoli di apprendimento, l’auto didattica e la partecipazione a conferenze. Bisogna però ricordare che la dimensione dell’impresa influenza fortemente la capacità di offrire percorsi formativi: solo il 50% delle piccole imprese offre formazione, contro il 97% delle grandi.
Nonostante si tratti di cifre al di sopra della media degli otto Paesi oggetto delle ricerche di ProWelfare, queste sono calate rispetto agli anni precedenti la crisi. Nel 2005, infatti, il 91% dei datori di lavoro offriva formazione professionale: rispetto al 2010 (83%) si è verificato un calo pari ad 8 punti percentuali. In linea con il trend di spesa, anche la percentuale dei lavoratori che partecipano alla formazione è diminuita, passando dal 34% del 2005 al 31% del 2010. Se guardiamo alle caratteristiche dei beneficiari, emerge che gli uomini (a causa della loro maggiore presenza nei settori della produzione e della costruzione che sono tra quelli che offrono opportunità di formazione), i giovani, i lavoratori dei settori ad alto bisogno di competenze tecniche e i laureati sono più spesso coinvolti in percorsi formativi.
Principali conclusioni
Nel Regno Unito il WOV ha dunque conosciuto un ampio sviluppo. L’offerta di benefici nel campo della conciliazione è largamente diffusa sia per quanto riguarda i servizi di cura sia per la flessibilità degli orari di lavoro e per i congedi. La formazione professionale è solitamente gestita dalle imprese e presenta dati superiori alla media degli otto paesi oggetto della ricerca ProWelfare ma ha conosciuto una contrazione nel periodo successivo alla crisi. Meno sviluppato è invece il settore sanitario, nonostante abbia recentemente conosciuto un significativo aumento del numero degli iscritti alle assicurazioni private sanitarie. Le ragioni che hanno favorito la crescita del WOV rimandano al ruolo tradizionalmente limitato del welfare pubblico e alle politiche che i governi conservatori degli anni ’80 e ‘90 hanno messo in campo per incoraggiare l’approccio di mercato.
Nella diffusione del WOV, le imprese sono state l’attore chiave, mentre i sindacati hanno giocato un ruolo residuale. Questo perché si evidenzia un interesse delle imprese legato alla volontà di offrire un package salariale competitivo ai lavoratori e volto a compensare la ridotta offerta di welfare pubblico.
Il ruolo minore giocato dai sindacati nella diffusione del WOV, si lega al loro declino, che dal 1979 ne mina l’esistenza a seguito delle politiche Thatcheriane finalizzate a ridurne la partecipazione nella vita politica inglese. Tuttavia è da notare che gli interventi volti alla conciliazione sono maggiormente diffusi nelle imprese che registrano una percentuale più alta di sindacalizzazione. Per concludere, secondo gli autori del rapporto, le organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori hanno con il WOV l’opportunità di attrarre nuovi membri e di invertire la rotta, se si propongono come “produttori” di servizi, come stanno già facendo per la formazione professionale.
Per maggiori informazioni relative al rapporto inglese è possibile contattare Martin Seeleib-Kaiser, coautore della ricerca, all’indirizzo martin.seeleib@spi.ox.ac.uk
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