Il rapporto sul caso tedesco è stato curato da Florent Bank per conto dell’Istituto di Ricerca Economico e Sociale (WSI) della Fondazione Hans-Boeckler. Le fonti utilizzate per lo studio del Welfare Occupazionale Volontario (WOV) in Germania sono state la letteratura scientifica sull’argomento, i contratti collettivi e le interviste realizzate con le parti sociali. Inoltre, come nel caso degli altri rapporti nazionali di Prowelfare, si è fatto ricorso ad alcuni database internazionali (Eurofound e OCSE) e ad alcune survey nazionali (come la Survey sui Comitati Aziendali dello stesso WSI, la Survey sulla Formazione degli adulti, la Survey sulla Conciliazione nelle imprese).
Nel caso tedesco il WOV rappresenta un fenomeno di lunga durata e non un processo recente legato alla crisi economica o agli sviluppi politici contemporanei.
Il contesto socio-economico
Il welfare pubblico tedesco è tradizionalmente definito come conservatore-corporativo (ed è conosciuto anche come welfare Bismarckiano), basato cioè sul modello delle assicurazioni obbligatorie per coprire i rischi legati all’anzianità, all’invalidità, alla malattia, alla disoccupazione e agli infortuni professionali. La finalità del regime conservatore-corporativo è assicurare il mantenimento degli standard di vita ottenuti tramite il lavoro anche in caso di interruzione lavorativa. Le forme principali di finanziamento sono i contributi datoriali e dei lavoratori anche se negli ultimi anni è cresciuta la percentuale di finanziamento tramite tassazione generale e budget federale (o regionale). È interessante sottolineare che tradizionalmente le parti sociali sono coinvolte nell’amministrazione delle istituzioni e degli enti legati al welfare.
Recentemente lo Stato sociale tedesco ha conosciuto un periodo di retrenchment che ha portato a un cambio di paradigma rispetto all’approccio tradizionale. Il sistema assicurativo ha fatto spazio a forme di sostegno di tipo universalistico (soprattutto nei confronti delle famiglie). È stata inoltre introdotta una logica di mercato (per permettere ai cittadini di scegliere tra i fornitori di prestazioni di welfare, promuovendo quindi la concorrenza tra gli erogatori) e sono state potenziate le politiche di attivazione per i disoccupati. Secondo quanto emerge dal rapporto tedesco siamo di fronte a un processo di individualizzazione del rischio e di privatizzazione.
Per quanto riguarda la spesa pubblica, secondo i dati OCSE, nel 2012 la spesa tedesca per il welfare equivaleva al 29,6% del PIL, due punti percentuali al di sopra della media degli otto paesi oggetto della ricerca Prowelfare (27,6%). Lo stesso vale per la spesa sanitaria pubblica (8,6% in Germania, contro il 7,4% della media) e per la formazione professionale (0,4% contro 0,1%) mentre la spesa per la conciliazione famiglia-lavoro è inferiore alla media (2,1% contro 2,4%).
Il WOV in generale
Come accennato nell’introduzione, il WOV in Germania è un fenomeno che esiste da tempo. Questo è dovuto al ruolo che le parti sociali hanno da sempre ricoperto nell’introduzione e nella gestione del welfare pubblico. Va infatti notato che nel 2012 i soli datori di lavoro hanno speso 69.1 miliardi di euro in welfare, pari all’8,5% del totale della spesa sociale. Questo dato tuttavia non consente di distinguere la spesa che deriva da specifiche disposizioni legali (contributi obbligatori per il welfare pubblico) da quella volontaria. Nonostante ciò, il WOV non occupa un posto centrale nel dibattito pubblico. Fanno eccezione le questioni legate alla formazione professionale iniziale, le pensioni (a seguito della riforma del 2001), la conciliazione vita privata e vita professionale e la parità di genere.
Come vedremo, l’interazione tra WOV e welfare pubblico è diversa in ciascuno dei settori analizzati dalla ricerca Prowelfare. Per quanto riguarda la sanità, il sistema pubblico è ancora molto generoso, il che spiega il minore intervento delle parti sociali. La formazione professionale invece è poco regolamentata a livello pubblico e ciò permette alle parti sociali di essere protagoniste in questo ambito. La loro azione si svolge in primo luogo a livello settoriale, dove viene deciso il quadro di riferimento, e in seguito a livello aziendale, dove si decidono le misure e le modalità per implementarle. Da ultimo, nel campo della conciliazione famiglia-lavoro avviene la maggiore interazione: l’azione pubblica getta infatti le basi per l’attuazione delle politiche promosse dalle parti sociali.
Se guardiamo ai dati comparati forniti dall’OCSE, la spesa privata volontaria in Germania è superiore alla media degli otto paesi. Nel 2009, questa rappresentava il 6.4% del totale della spesa in welfare, mentre la media degli otto paesi è del 6%. Nel 1990 invece era inferiore alla media (5,9%, contro 6,7%) e anche la crescita negli ultimi vent’anni è stata nettamente inferiore (+46% contro +98,7%).
Il WOV in sanità
In Germania esistono due tipi di assicurazioni sanitarie: le assicurazioni sanitarie obbligatorie (Statutory Health Insurance, SHI) che coprono circa il 90% della popolazione e le assicurazioni sanitarie private (Private Health Insurance, PHI). Per le SHI, nel 2013, si contavano 134 assicuratori pubblici, tra i quali i cittadini tedeschi e i residenti in Germania potevano scegliere, principalmente in base al settore professionale d’appartenenza. Le SHI sono amministrate dai rappresentanti dei contribuenti, che nella maggior parte dei casi sono i datori di lavoro e gli assicurati, spesso rappresentati dai sindacati della categoria professionale di appartenenza. Le PHI sono invece le assicurazioni private destinate tradizionalmente al settore pubblico, agli autonomi e ai lavoratori con i redditi più alti. Entrambe le assicurazioni danno accesso alle cure ambulatoriali e ospedaliere (le principali differenze riguardano i fornitori coinvolti nell’erogazione delle prestazioni).
Le riforme degli ultimi dieci anni hanno parzialmente ridotto le prestazioni coperte dalle SHI e hanno aumentato le compartecipazioni alla spesa per gli assicurati. Il Rapporto sottolinea il fatto che la concorrenza tra le diverse assicurazioni (anche tra le stesse SHI) non incoraggia il ricorso a misure e servizi di prevenzione (per ridurre i costi e le spese non obbligatorie) che quindi sono poco sviluppati.
In alcuni casi i tagli e l’aumento dei costi a carico dei cittadini sono stati bilanciati dal WOV introdotto dalle parti sociali tramite accordi settoriali e (soprattutto) aziendali. In alcuni dei settori analizzati dal Rapporto tedesco, la contrattazione collettiva ha previsto che parte delle spese mediche (quelle dentistiche e quelle oculistiche) siano rimborsate direttamente dal datore di lavoro. In alcuni casi, questi benefici si estendono anche ai membri della famiglia del lavoratore.
In Germania, il WOV interviene anche sostenendo il reddito in caso di assenza per malattia. Il sistema pubblico prevede che per le prime sei settimane il datore di lavoro paghi il 100% del salario del lavoratore assunto da almeno quattro settimane. Dopo la sesta settimana sono le SHI che integrano il reddito con un sussidio pari al 70% del salario lordo del lavoratore fino alla 78° settimana. Si tratta quindi di un modello di protezione molto oneroso per il datore di lavoro; per questo motivo a più riprese diversi governi hanno provato a riformarlo.
Già negli anni ’50 e ’60 nei contratti collettivi erano state inserite delle clausole che prevedevano l’integrazione del reddito in caso di assenza per malattia. Quando all’inizio degli anni ’90 l’allora governo liberale-conservatore guidato da Helmut Kohl ha cercato di ridurre il sussidio per compiacere i datori di lavoro, i sindacati hanno fatto ricorso agli accordi collettivi per dimostrare che il sussidio percepito sarebbe comunque stato assicurato ai lavoratori in malattia. Dopo diversi tentativi, nel 1996 la riduzione del sussidio venne adottata. Nei casi in cui i datori di lavoro hanno provato ad applicare la nuova norma, centinaia di migliaia di lavoratori hanno scioperato e hanno fatto sì che le disposizioni previste nei contratti collettivi fossero comunque garantite. Nel 1999, il governo successivo ha annullato questa disposizione. Un’analisi ha dimostrato che i contratti collettivi avrebbero compensato l’84% dei lavoratori coperti dagli accordi in caso di tagli alle prestazioni a cui avevano diritto. Ad oggi inoltre diversi contratti collettivi prevedono un’integrazione del reddito a carico del datore di lavoro anche una volta finite le prime sei settimane, per compensare il sussidio dato dal SHI.
Il WOV nella conciliazione famiglia-lavoro
Nell’ambito della conciliazione tra vita privata e vita professionale, il welfare pubblico tedesco ha sviluppato un totale di 156 misure di sostegno alle famiglie, che includono sia servizi sia aiuti economici. L’impulso per queste politiche, chiamate di “sostegno all’adulto lavoratore”, è scaturito dal passaggio da un modello familiare monoreddito (in cui uno dei due coniugi si occupava esclusivamente delle cure familiari) a uno nel quale entrambi i coniugi lavorano.
Il ruolo del WOV nell’ambito della conciliazione è principalmente quello di integrare quanto previsto dal pubblico e di ampliare alcune forme di protezione. Si tratta di un campo d’azione nuovo che ha iniziato a svilupparsi negli anni ’90, senza però essere mai al centro del dialogo sociale. Uno studio recente (Klenner et alii, 2013) mostra come il 90% dei contratti collettivi analizzati preveda almeno una misura per la conciliazione. Lo stesso studio dimostra però che non ci troviamo in un periodo di espansione degli accordi in questo ambito. L’autore afferma che nell’80% degli accordi collettivi stipulati tra il 2006 e il 2012 non sono state introdotte nuove disposizioni. Questo dato è confermato da una survey tedesca fatta su 16.000 lavoratori che attesta che il numero di contratti collettivi aziendali (stipulati tra il 2002 e il 2008) che prevedono misure per le pari opportunità (tra le quali la conciliazione) non è aumentato.
È interessante sottolineare che a partire dalla modifica al “Works Council Constitution Act” nel 2001, le politiche di conciliazione e per le pari opportunità sono diventate competenza dei Comitato aziendali (Works councils), dando un forte impulso ai contratti collettivi aziendali per la conciliazione.
Se guardiamo ai servizi per l’infanzia, la percentuale di imprese che dispongono di un asilo nido aziendale in Germania è inferiore rispetto alla media degli otto paesi. Infatti, secondo i dati Eurofound del 2005 solo l’1.9% delle imprese offriva questo servizio, contro una media del 2,1%. La percentuale di imprese con asili aziendali è passata dal 2% del 2004 al 6% nel 2008. Dal punto di vista dell’impresa, l’investimento in servizi per l’infanzia dà diritto a sgravi fiscali. Questi dati possono essere spiegati dal fatto che tutti i servizi di cura per bambini sono sovvenzionati dal pubblico.
Per quanto riguarda il congedo parentale, il legislatore ha previsto la possibilità di beneficiarne, usufruendo di un sostegno al reddito pari al 65-67% del salario precedente (e comunque sempre compreso tra i 300 e i 1.800 euro al mese). La durata massima del congedo è di quattordici mesi che possono essere divisi tra i due genitori nel primo anno di vita del figlio, ma nessuno dei due genitori può beneficiarne per più di dodici mesi. È possibile combinare il congedo parentale con il lavoro part-time. È possibile anche astenersi dal lavoro fino ai tre anni del bambino attraverso un congedo non retribuito. Come alternativa al congedo parentale e se l’impresa ha più di 15 dipendenti, il lavoratore ha diritto a usufruire del part-time e, successivamente, a ritornare al tempo pieno.
La flessibilità è invece meno sviluppata in Germania rispetto alla media degli otto paesi. Secondo l’Eurostat, nel 2010 solo il 42,3% dei lavoratori tedeschi poteva variare l’orario di inizio e di fine della giornata lavorativa (contro una media degli otto paesi del 52%) e solo il 24,4% poteva assentarsi un intero giorno dal lavoro per ragioni familiari (mentre la media è del 42,5%). I contenuti riscontrati più frequentemente nei contratti collettivi sono una regolamentazione più dettagliata dell’orario di lavoro (part-time, esenzione dal lavoro per fasce orarie meno adatte a chi ha figli, assenze per motivi familiari, banche del tempo), ma si trovano spesso anche disposizioni relative ai congedi parentali e ai servizi per la cura dei bambini.
Il WOV nell’ambito della formazione professionale
La formazione professionale in Germania coinvolge diversi attori. Le politiche di attivazione per i disoccupati sono competenza del livello federale, mentre sono le regioni (Länder) a regolare la possibilità di usufruire dei congedi per seguire i corsi di formazione. Per quanto riguarda la formazione in azienda non ci sono né leggi né contratti collettivi intersettoriali che offrano un quadro uniforme e obbligatorio per tutti gli attori coinvolti.
Il WOV nell’ambito della formazione professionale ha vissuto una continua evoluzione negli ultimi cinquanta anni. I primi accordi in materia risalgono agli anni ’60 ed erano motivati dalla necessità di contrastare i licenziamenti dovuti alle riorganizzazioni aziendali. Si trattava però all’epoca di una reazione difensiva visto che le battaglie sindacali continuavano a concentrarsi sulla sicurezza del posto di lavoro e sul salario. Durante gli anni ’80 invece l’attitudine è diventata “preventiva e di attacco”, visto il contesto di innovazione tecnologica. In quel periodo i sindacati iniziarono infatti a vedere la formazione come uno strumento per ridurre i rischi di perdita del lavoro. I risultati nei contratti collettivi furono però modesti.
Negli anni ’90 si è tornati a considerare la formazione come uno strumento utile a rispondere a problemi immediati piuttosto che a garantire benefici nel lungo periodo. Per questo motivo il tema risulta meno presente nei contratti collettivi. Più recentemente alcuni studi hanno notato un ritorno alla mobilitazione sul tema della formazione professionale, tale mobilitazione al momento ha però portato a modesti risultati. I (pochi) contratti che sono stati stipulati in questa nuova ottica hanno però il vantaggio di regolare la formazione senza l’urgenza del contesto e di trattarla quindi come il mezzo per ottenere risultati di lunga durata: un aumento della competitività, una migliore qualità dei prodotti e dei servizi e, di conseguenza, la protezione dei posti di lavoro.
La formazione è un ambito in cui la contrattazione settoriale delinea il quadro che viene poi implementato a livello aziendale. I contenuti dei contratti collettivi aziendali riguardano la definizione della formazione, il coinvolgimento dei Comitati aziendali (Works councils), i criteri per la partecipazione, l’analisi dei bisogni, i controlli di qualità, le commissioni bilaterali, finalità, metodi, strumenti, interviste ai lavoratori, certificati e il trattamento dei costi. Secondo un’inchiesta del WSI il 34% delle imprese con un Comitato aziendale ha un accordo aziendale sulla formazione.
Secondo l’Adult Education Survey condotta in Germania nel 2010, il 42% degli adulti aveva partecipato a un corso di formazione negli ultimi 12 mesi. Nel 60% dei casi si è trattato di formazione professionale. Se guardiamo ai dati Eurostat, nel 2010, il 73% delle imprese offriva formazione professionale ai propri lavoratori, contro una media degli otto paesi del 69%, ma la percentuale di lavoratori che partecipano alla formazione in Germania è pari alla media dei paesi Prowelfare (39%).
Il WSI identifica comunque nel diverso accesso alla formazione il punto debole di questo tipo di interventi. La partecipazione alla formazione dipende infatti dall’età del lavoratore, dalla sua qualifica e in particolar modo dalla dimensione dell’impresa. Se nel 2010 il 41% di tutte le imprese offriva formazione ai propri lavoratori, prendendo in considerazione le sole imprese con più di 250 lavoratori, la percentuale saliva fino al 98%. Inoltre, i lavoratori atipici sono nettamente svantaggiati. Secondo l’analisi di Busse e Seifert (2009), in un terzo dei contratti collettivi presi in considerazione la formazione è indirizzata a una specifica categoria di lavoratori (tra i più frequenti: junior manager, lavoratori più anziani, persone con handicap, genitori single, lavoratori con famiglia, lavoratori part-time, stagisti, ecc.).
D’altra parte è anche frequente trovare riferimenti a gruppi esplicitamente esclusi (soprattutto i lavoratori a tempo determinato). Infatti, se a livello di principio tutti i lavoratori hanno lo stesso diritto alla formazione, in realtà alcuni gruppi sono avvantaggiati e altri sono esplicitamente svantaggiati. Non da ultimo, è stato riscontrato che la partecipazione alla formazione da parte delle donne è inferiore a quella degli uomini, ma questo dato potrebbe essere dovuto alla minore presenza delle donne nei settori dove la formazione è più diffusa. Inoltre, in alcuni casi, se il lavoratore che ha partecipato a un corso di formazione decide di cambiare lavoro nel periodo immediatamente successivo (in genere sei mesi) è tenuto a rimborsarne il costo all’impresa.
Riflessioni conclusive
Per riassumere, secondo l’analisi del WSI, il WOV tedesco è estremamente differenziato se si considerano i tre ambiti al centro della ricerca Prowelfare. In campo sanitario, i contratti collettivi sono finalizzati soprattutto all’implementazione e al miglioramento delle disposizioni legali, come abbiamo visto per il caso del sussidio per i lavoratori in malattia. Il campo della conciliazione famiglia-lavoro è relativamente nuovo e non è ancora chiaro dove stia il confine tra l’azione del legislatore pubblico e quella delle relazioni industriali. Nel caso della formazione professionale tutto è nelle mani delle parti sociali visto che non c’è quasi nessun intervento pubblico in materia. In generale, l’interazione tra WOV e welfare pubblico può avere diverse finalità, come l’espansione dei diritti previsti dal pubblico, la compensazione dei tagli del pubblico (assicurazioni private) e la regolazione gli ambiti tralasciati dalla legislazione (formazione professionale).
Le motivazioni che spingono le parti sociali a intervenire sono diverse. I datori di lavoro sono propensi a introdurre dei benefici di WOV per cercare di attrarre e trattenere lavoratori qualificati e per migliorare la loro soddisfazione. Inoltre, se tra i top manager ci sono delle donne è più probabile che nell’impresa ci siano misure per la conciliazione.
Per i sindacati, l’introduzione del WOV nei contratti collettivi può essere una vittoria in sede di contrattazione qualora non sia possibile negoziare gli aumenti salariali. Particolare è il caso della formazione professionale che, come abbiamo visto, ha conosciuto evoluzioni diverse negli ultimi cinquant’anni. Infine, non va tralasciato il ruolo dei Comitati aziendali che, dalla riforma del 2001, hanno il compito di promuovere gli interventi nell’ambito della conciliazione, in linea con il processo di decentramento in atto nelle relazioni industriali.
Per maggiori informazioni relative al Rapporto tedesco è possibile contattare Florent Bank, coautore della ricerca, all’indirizzo Florian-Blank@BOECKLER.DE
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