La collaborazione tra profit e non profit rappresenta un’occasione per rafforzare ed innovare la mission di entrambi gli attori: enti di natura diversa che lavorano assieme per creare nuove condizioni di raggiungimento più efficace ed efficiente dei reciproci obiettivi. Questa collaborazione, suggerita come una ipotesi per nuove strategie collaborative si può esplicitare in alcuni punti chiave.
Innanzitutto, è fondamentale il concetto di progettazione comune, o co-creation, in cui soggetti diversi operanti nello stesso contesto e con alla base valori simili, mettono in comune l’impegno, le risorse, la voglia e il tempo per condividere degli obiettivi ad impatto. In secondo luogo, è importante la definizione di nuovi prodotti o servizi che permettano di raggiungere l’impatto congiunto, affiancandone la distribuzione con strategie che ne facilitino la replicazione e la comunicazione con linguaggi comuni e rinnovati. Infine, le risorse alla base del progetto condiviso vanno messe a sistema attraverso la condivisione di un budget anche da armonizzare sulla base di differenze giuridiche e fiscali tra i due soggetti.
In questo articolo vengono trattati i punti di forza e i punti critici di questa sinergia a partire dalla collaborazione tra un ente profit, l’azienda De-LAB srl Società Benefit, ed un ente non profit, l’organizzazione non governativa Amref Health Africa, attive con una partnership sul progetto KOKONO™ volto a produrre, in Uganda, culle antimalariche in materiale biodegradabile a protezione dei neonati fino ai 12 mesi. Di seguito di propongono alcune evidenze a partire dalla letteratura, un’analisi del progetto in questione, un confronto con le realtà che lo hanno reso possibile tramite interviste mirate e alcune riflessioni su come sviluppare partnership fruttuose tra profit e non profit.
La base del ragionamento: cosa ci dice la letteratura
La collaborazione tra profit e non profit è stata recentemente tematizzata all’interno dei principi riguardanti il coinvolgimento del settore privato nella cooperazione allo sviluppo stabiliti a Kampala, nel 2019, dal GPEDC – Global Partnership for Effective Development Co-operation. Questi mirano a garantire un efficace coinvolgimento del settore privato nella cooperazione allo sviluppo, così da raggiungerne gli obiettivi chiave e riconoscere al contempo la necessità di un ritorno economico per le imprese.
Concentrandosi sulla portata e sull’ambizione dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, molti attori del settore privato stanno adottando approcci e modelli di business che si concentrano su soluzioni redditizie alle sfide dello sviluppo sostenibile. Le imprese raggiungono questo obiettivo facendo leva sul loro potere innovativo, rivolgendosi a nuovi mercati e clienti, mirando al contempo a creare risultati positivi per le comunità in cui operano e per l’ambiente. All’interno della Dichiarazione conclusiva del summit ugandese, il terzo principio promuove in particolare la fiducia attraverso un dialogo e una consultazione tra profit e non profit il più possibile inclusivi, mirando ad appoggiare partenariati innovativi dal basso verso l’alto. Si evidenzia infatti che “per i partenariati specifici, bisogna aumentare la gamma di partner coinvolti a livello di comunità, comprese le micro, piccole e medie imprese, facendo uso di modalità di coinvolgimento innovative per esplorare le opportunità di partenariato nello spirito di non lasciare indietro nessuno”.
Considerando brevemente l’apporto della legislazione italiana, è importante sottolineare che la legge di riforma della cooperazione (125/2014) ha portato ad un ampliamento delle categorie di soggetti a cui è concesso accedere al sistema della cooperazione allo sviluppo – ed ai relativi finanziamenti – prestando particolare attenzione ai soggetti profit. Tuttavia, dal punto di vista aziendale è necessario riempire il vuoto di conoscenze riguardante il nuovo quadro normativo a cui possono riferirsi le imprese, attraverso percorsi di aggiornamento e formazione che permettano agli imprenditori di cogliere le molte opportunità del mondo della cooperazione.
All’interno della partnership qui descritta è l’ONG Amref, per ragioni legali, a poter attivare una raccolta fondi per KOKONO, motivo per cui è utile fornire una breve spiegazione sulla pratica del fundraising. Quest’ultima viene definita nell’articolo 7 del Codice del Terzo Settore come “il complesso di attività e iniziative attuate da un ente del Terzo settore al fine di finanziare le proprie attività di interesse generale, anche attraverso la richiesta a terzi di lasciti, donazioni e contributi di natura non corrispettiva” (Fortunato M., 2020). Le attività di raccolta fondi possono essere realizzate in forma organizzata e continuativa, impiegando risorse proprie e di terzi, nel rispetto dei principi di verità, trasparenza e correttezza nei rapporti con i sostenitori e il pubblico.
In ottica aziendale, il finanziamento attraverso donazione verso progetti implementati dal mondo non profit è spesso favorito poiché queste spese comportano benefici fiscali specifici per l’impresa. Nel caso di una strategia “mista”, ossia con risorse condivise tra profit e non profit, un elemento a cui bisogna dedicare particolare attenzione è quello temporale, poiché sono diverse le tempistiche operative delle imprese e delle organizzazioni che si occupano di cooperazione allo sviluppo, così come sono diverse le propensioni al rischio che entrambi i soggetti sono abituati a mantenere in merito alla possibilità di raccogliere (o meno) il budget previsto. Infine, anche l’aspetto fiscale è particolarmente delicato, dacché l’imposizione pubblica tra soggetti così diversi incide in modo difforme.
Le domande scelte per condurre l’intervista rivolta a De-LAB e ad Amref Health Africa riguardano in primo luogo la strategia di fundraising messa in atto dai due enti analizzati, in quanto bipartita: da un lato quella aziendale rivolta a generare vendite sul mercato diretto e, dall’altra, quella nella ONG rivolta alle donazioni come strumento di raccolta fondi. L’indagine verte sul seguente interrogativo: quali aspetti operativi possono essere considerati punti chiave di una nuova sinergia che riesca a combinare al meglio necessità economiche e sociali di attori con nature diverse ma con lo stesso obiettivo?
Queste domande sono fondamentali per capire come due enti, appartenenti a logiche operative diverse, possano allineare e armonizzare i propri obblighi così da sviluppare al meglio un progetto collaborativo complesso.
Il progetto KOKONO
Prima di illustrare quanto emerso dalle interviste, occorre descriverne brevemente i suoi aspetti principali.
Il progetto KOKONO e il relativo prodotto nascono in origine da De-LAB, una Società Benefit specializzata in progettazione sociale, consulenza, ricerca e formazione nel campo della Purpose Economy, termine che oggi indica un modello di economia di scopo, volto ad utilizzare il business come leva di generazione di impatti ambientali e sociali positivi. KOKONO è il più recente progetto ad impatto sociale di De-LAB, ideato e realizzato per mitigare i rischi per la salute e la sicurezza a cui sono esposti i bambini di età inferiore a un anno in condizioni di povertà multidimensionale. La culla è il risultato di un processo di progettazione svolto direttamente in loco a Kampala (Uganda), in collaborazione con la popolazione locale, rispettando i principi del value-sensitive e participative design1.
Il prodotto di KOKONO è una culla biodegradabile che, oltre ad essere un oggetto solido e durevole, rappresenta i principi della circolarità dei materiali e della loro riutilizzabilità, importanti in Paesi dove non esistono sistemi efficienti di smaltimento dei rifiuti. Inoltre, KOKONO è un prodotto multi-funzione, in quanto può essere utilizzato come vaschetta per il bagno e come spazio per il gioco.
Tutti questi aspetti sono stati poi inseriti all’interno di un processo produttivo e distributivo interamente “Made in Uganda”, che ha reso l’oggetto economicamente sostenibile e quindi accessibile a persone con reddito medio-basso, un target difficilmente raggiungibile dai prodotti alternativi offerti dal mercato. Infine, l’innovazione del modello di business ha seguito i principi del Business Inclusivo (Prahalad & Hart, 2008; London, 2009) attraverso diverse fasi di coinvolgimento degli stakeholder locali non più visti come solo consumatori o end-users ma come veri e propri partner di impresa.
Le voci delle protagoniste
Il progetto KOKONO è attualmente oggetto di una ricerca che mira a vagliarne l’efficacia e ha il suo punto di partenza i un’analisi qualitativa sviluppata attraverso un’intervista semi-strutturata alla responsabile dei Programmi Amref in Uganda, Daniela Rana, alla responsabile delle partnership strategiche di Amref, Paola Magni, e alla CEO di De-LAB S.r.l., Lucia Dal Negro. Proponiamo di seguito alcuni passaggi utili a comprendere meglio il tema del presente articolo.
Dal punto di vista di De-LAB, aver scelto Amref come partner all’interno del progetto KOKONO equivale ad aver scelto “la più grande organizzazione africana specializzata in salute”. Amref è infatti la maggiore organizzazione africana non profit che si occupa di salute nel continente, dal 1957, capace di facilitare la promozione delle culle KOKONO™ verso i beneficiari, grazie alle risorse e alle conoscenze maturate in Uganda. Questa organizzazione detiene una “forte ownership locale sui progetti”, motivo per cui un progetto che favorisce una supply chain completamente ugandese ha potuto ben allinearsi alle modalità di lavoro di Amref.
Daniela Rana ha dichiarato come l’interesse nei confronti di KOKONO e la decisione di avviare la partnership derivino dalla scelta di “tenere in considerazione la possibilità di collaborare con aziende etiche (anche nella relazione con l’ambiente) e che fanno impresa sociale” unita alla “visione comune presente tra i due attori verso gli obiettivi d’impatto del progetto (contribuire a ridurre la mortalità infantile in Uganda) e verso l’utilità delle tecnologie adatte al contesto”. L’aspetto più importante per Amref è l’accessibilità delle culle KOKONO, dato che è stato “progettato con le comunità, in Uganda, è semplice da usare, multifunzione, e soprattutto non introduce tecnologie troppo complesse che sarebbero difficili da gestire e mantenere”.
Anche Paola Magni ha precisato come “la collaborazione tra una ONG e un’impresa profit rappresenta un elemento innovativo di forte interesse, allineato all’SDG 17, che promuove il partenariato globale per lo sviluppo sostenibile”. La co-creazione delle culle KOKONO, svoltasi insieme agli utilizzatori locali, rende dunque il prodotto espressione di un bisogno reale e non l’esportazione di una soluzione indotta da una mentalità lontana dai bisogni del territorio.
La scelta del fundraising implementato e gestito da Amref è stata ideata come opzione strategica per “supportare la nostra produzione, dando continuità agli ordini e quindi permettendoci di stabilizzare le nostre attività”, precisa Lucia Dal Negro. Per Amref, infatti, la collaborazione con un’entità profit non è cosa nuova e il livello di coinvolgimento “varia in base ai diversi progetti. Questa complessità si traduce in partnership di diversa tipologia, grandezza e traguardi raggiunti. L’esperienza più significativa – prosegue Magni – riguarda la collaborazione tra Amref e Philips in Kenya” in ambito di assistenza sanitaria accessibile.
La collaborazione tra De-LAB e Amref fa luce poi su un altro aspetto interessante che Dal Negro identifica come “importanti opportunità di scaling nel medio-lungo periodo, […] considerando altri Paesi ed altre necessità, sempre nel settore materno-infantile”. Per quanto riguarda il raggiungimento di obiettivi quantitativi, infatti, Rana ha elencato due canali attraverso cui Amref diffonderà il progetto KOKONO in Uganda: “da una parte la rete di 350 Village Health Teams (operatori sanitari di comunità), che illustrano i vantaggi del prodotto alle comunità mentre conducono incontri comunitari di sensibilizzazione sulla salute di neonati e bambini; dall’altra parte, una serie di incontri diretti resi possibili dall’estesa rete di contatti a livello istituzionale con enti e istituzioni potenzialmente interessate al prodotto (Ministero della Sanità, ospedali, orfanotrofi, ecc.).
Gli aspetti più complessi riguardano tempistiche e burocrazia. In merito, Dal Negro ha spiegato come sia necessario considerare che “tutti i documenti procedurali debbano essere il risultato di una mediazione tra mondo profit e non profit: dal linguaggio alle procedure interne di approvazione, occorre creare un vero e proprio nuovo percorso di lavoro”. Su questo, Paola Magni spiega che, per allineare attività che riguardano sia la produzione e la vendita del prodotto, sia la sensibilizzazione e l’empowerment comunitario, “è indispensabile una pianificazione strategica che rende l’idea di quanto tempo sia necessario per passare dalla presentazione di una proposta – sia ad un’azienda che a una fondazione – alla sua approvazione ed effettiva implementazione”.
Il fattore tempo appare, quindi, particolarmente cruciale per la riuscita del progetto: sebbene le tempistiche vengano definite in precedenza “serve molta flessibilità perché i tempi di reazione di una grande NGO sono diversi rispetto a quelli di un’azienda, soprattutto se PMI. Tuttavia, le analisi di sostenibilità economica sono basate su tempistiche ben precise che occorre rispettare” aggiunge la responsabile di De-LAB.
Il fattore tempo riguarda anche la necessità di Amref di monitorare tutti i processi della fase attuativa di KOKONO, come spiega ancora Rana: “ogni passaggio rispetto ai beneficiari è concordato tra Amref Italia, Amref Uganda e De-LAB, così da verificare il contributo concreto dell’impatto desiderato, ovvero contribuire a ridurre la mortalità e la morbilità infantile in Uganda”. Paola Magni inoltre specifica che, per allineare le differenti esigenze, “è necessario un piano di lavoro congiunto, in cui viene eseguita un’attenta analisi dei bisogni che determina da una parte la programmazione delle attività sul campo (Uganda), dialogando con i principali stakeholders locali, e dall’altra guida la raccolta fondi (Italia), attraverso una pianificazione più ampia, definendo i target di riferimento (mondo corporate e fondazioni)”.
Infine, un ultimo aspetto emerge tra i principali a cui prestare attenzione, ossia la gestione fiscale di un possibile co-finanziamento. Come avvenuto per De-LAB e Amref Health Africa sul progetto KOKONO, è il ruolo e la gestione dell’IVA che andrebbero ripensati all’interno di “budget ibridi” tra profit e non profit, onde evitare che il valore effettivo delle attività sul campo si riduca del 22% derivante dall’incidenza delle imposte indirette sul budget dell’attore profit.
Alcuni elementi di riflessione
Nonostante la complessità del progetto e le difficoltà da superare, è chiaro come la collaborazione tra profit e non profit rappresenti uno scenario estremamente innovativo, capace di fornire:
- al non profit degli strumenti per realizzare programmi economicamente sostenibili e tendenzialmente più scalabili;
- alle imprese la conoscenza del territorio, dei rapporti con le istituzioni e la possibilità di conoscere da vicino gli impatti sociali generati dai propri prodotti o servizi.
In aggiunta a queste opportunità strumentali, vi è poi una necessità più intrinseca che motiva questi affiancamenti, ossia la volontà di misurarsi con la qualità e la quantità di valori sociali condivisi. Senz’altro, per arrivare ad un livello così intimo di collaborazione è necessario confrontarsi e conoscersi, spendendo tempo nel chiarimento di tutti i passaggi che non siano reciprocamente chiari, tra cui:
- i meccanismi che governano le possibilità e gli obblighi a cui un’impresa deve attenersi,
- quali sono gli spazi di manovra dell’azienda,
- come viene gestito il tempo rispetto agli obiettivi prefissati
- il tema del rischio e del rientro degli investimenti quando questi riguardano l’immissione di soldi e lavoro in contesti ad alto rischio come quelli dei paesi in via di sviluppo.
Per converso, sta al profit comprendere le logiche che guidano il mondo del non-profit, tra cui le modalità di accountability e trasparenza verso i donatori, le procedure operative tipiche di team spesso formali ed informali, il fattore tempo che segue ritmi più sociali che economici. Su quest’ultimo aspetto stabilire preventivamente dei goal intermedi e degli incentivi volti a premiare il rispetto delle tempistiche prestabilite da entrambi gli attori, sarebbe molto importante.
Rimane aperta la questione fiscale, la cui evoluzione in senso “ibrido” non dipende chiaramente da comportamenti dei singoli attori in campo: su questo, una campagna di advocacy condivisa tra profit e non-profit, volta alla semplificazione dello standard fiscale per progetti condivisi, potrebbe rappresentare un nuovo fronte di reale comunione d’intenti su cui testare la tenuta della partnership e la possibilità di far evolvere i modelli di “partnership per lo sviluppo” previsti dal Sustainable Development Goal 17.
Per approfondire
- Amref (2017), Profit non profit un binomio possibile,
- De Lillo A. et al. (2010), Il mondo della ricerca qualitativa, De Agostini Scuola SpA, I edizione
- Fortunato M. (2020), L’accesso al credito degli ETS: strumenti operativi e nuove opportunità – il fundraising ed il crowdfunding, Fondazione Telos
- Global Partnership for Effective Development Co-operation (2019), Kampala Principles – on effective private sector engagement in development co-operation, Kampala
- Rumi G., Gallone C. (2022), Cohesion Fundraising, non profit e impresa: fare squadra per generare sostenibilità sociale, Percorsi di secondo welfare.
Note
- Entrambi gli approcci si riferiscono ad una visione della progettazione di prodotti e servizi, in particolare tecnologici, che ponga al centro l’uomo e i suoi bisogni. Entrambi sono spesso citati in contrapposizione a visioni più tecniciste della progettazione, dove l’analisi dei bisogni ed il coinvolgimento degli stakeholder e delle comunità non sono parte del processo di sviluppo.