Il tema della collaborazione strategica per la realizzazione di progetti a finalità sociale attraverso l’attivazione di partnership tra organizzazioni pubbliche, private e non profit (PPPNP) è ormai centrale e ineludibile. È una questione che oggi si pongono tutte le organizzazioni pubbliche e private più avvedute e che, conseguentemente, interessa sempre più spesso anche il sistema scolastico. Data la centralità del tema scuola e l’importanza dei crescenti investimenti e progettazioni innovative nel campo dell’istruzione e dell’educazione, abbiamo deciso di dedicare una serie di articoli a questi argomenti, che si susseguiranno con cadenza regolare sul sito di secondo welfare.
In questo articolo, e in altri due approfondimenti che saranno pubblicati nelle prossime settimane, alcuni professionisti della rete Pares ci presenteranno modelli di laboratori di formazione-intervento sviluppati in alcune scuole italiane. Questi modelli sono flessibili e adattabili alle esigenze del committente, tengono conto del tipo di organizzazione, dell’ambito di riferimento, delle aspettative, del livello di approfondimento richiesto, del tempo e delle risorse a disposizione.
La scuola è già cambiata
La scuola sta cambiando? La scuola cambia? No, la scuola è già cambiata.
Non si tratta solo delle modifiche introdotte dalla Legge 107/2015 (“Buona Scuola”) o dalle indicazioni del Piano Nazionale Scuola Digitale. I cambiamenti nella e della scuola sono già in corso e sono strettamente connessi alle grandi trasformazioni che stanno interessando in questi anni la società nel suo complesso: la diffusione di massa delle tecnonologie, degli strumenti e delle forme della comunicazione digitale; la trasformazione del mercato del lavoro che prevede per le nuove generazioni percorsi di carriera più fluidi e imprevedibili; i diversi impatti della crisi economica che ha modificato percezioni e condizioni di vita (Carlini, 2015),stili di consumo, strutture familiari, approcci al sistema educativo, prospettive dei giovani, mobilità delle classi sociali. In una società in trasformazione, può restare immobile l’istituzione scolastica? Forse davvero la crisi è una “fase decisiva” (crisis in latino significa proprio «scelta, decisione, fase decisiva di una malattia»), un’opportunità di cambiamento.
«Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che sorgono l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere “superato”». (A. Einstein)
La scuola è un punto di riferimento per tutti
Ora che il tema dei beni comuni non è più considerato minoritario, ma è entrato prepotentemente nel dibattito pubblico in cui si parla apertamente di “beni culturali comuni”, riconoscendone una rilevanza crescente nella società della conoscenza (De Biase 2014), è decisivo valorizzare le scuole come commons (sapere come bene comune immateriale, come indica la SIBEC), che contribuiscono in maniera decisiva a ri-costruire tessuto sociale e cultura civica, a consolidare relazioni umane e senso di appartenenza, a favorire coesione sociale in quanto attori forti del proprio territorio di influenza.
D’altra parte, ben al di là della loro funzione educativa nei confronti dei giovani, le scuole sono (e saranno) sempre più un punto di riferimento per tutti i cittadini e per le proprie comunità di appartenenza, come dimostra l’elevato e crescente indice di fiducia di cui godono nei confronti degli italiani, documentato dal Rapporto annuale Demos&Pi 2015. Le scuole si stanno attrezzando. Le scuole sono protagoniste. Le scuole sono pienamente nel flusso di queste trasformazioni e di queste innovazioni.
L’iniziativa Scuole Aperte (progetto promosso dal Ministero dell’Istruzione in collaborazione con ANCI e VITA), è un primo grande catalogo dinamico a testimonianza di questo rinnovato protagonismo del sistema educativo italiano. Scuole Aperte si presenta così: «Le 43mila scuole italiane – prese tutte insieme – sono la più grande infrastruttura sociale del nostro Paese. Le scuole sono dappertutto e dappertutto accolgono la sfida della trasmissione del sapere, dell’educazione, dell’incontro tra generazioni, del confronto fra culture e linguaggi. Nulla più della scuola è il bene comune di questo Paese».
La “Scuola” è “Aperta” agli studenti e alle loro famiglie; al quartiere e al territorio; a tutti i cittadini con particolare attenzione alle comunità straniere e agli alunni con disabilità; al fundraising e ai finanziamenti privati; agli strumenti di rendicontazione sociale; alle nuove tecnologie e alla didattica innovativa; alle esperienze di cittadinanza attiva. Le scuole sono viste dunque come luoghi di aggregazione sociale, fruibili oltre i tempi classici della didattica: il pomeriggio, il sabato, nei tempi di vacanza; sono spazi (come indicato dalla Legge 107/2015) dove si potranno organizzare – in collaborazione con famiglie, associazioni e organizzazioni del terzo settore – attività educative, ricreative e culturali. Le scuole diventano davvero beni comuni (per approfondire questa riflessione clicca qui).
La scuola è un ecosistema per l’innovazione
Per andare oltre la crisi, abbiamo un grande bisogno di innovazione. Una qualità che, come dimostrano molti studi, “non si può comprare”, ma che si sviluppa per una “motivazione intrinseca” degli individui, coltivando il gusto di “fare qualcosa solo per il piacere di realizzarla” (Bergami e Morandin 2015). Per dare vita a una generazione di giovani innovatori, è necessario dare loro l’opportunità di sperimentare, di sbagliare, di cimentarsi in “cose belle e nuove” (Bergami e Morandin 2015); la scuola deve diventare “tempo del fallimento e dell’inciampo”, di “comprensione del desiderio”, di emersione delle attitudini e delle vocazioni, luogo di promozione della “bellezza della stortura”, che “esige l’eccezione, lo scarto, la divergenza, l’eresia” (Recalcati 2015). Le scuole sono chiamate a costruire ecosistemi che favoriscano la voglia di fare, di sperimentare, di appassionarsi al nuovo; anche in questo caso, aprendosi ad altri attori: favorendo lo sviluppo di “partenariati per obiettivi” con imprese, fondazioni e altri partner privati, con i quali sviluppare una o più finalità specifiche (promozione di nuovi ambienti di apprendimento attraverso le tecnologie digitali, costruzione di laboratori per la creatività, sviluppo di metodologie didattiche innovative, esperienze di alternanza scuola-lavoro qualificanti, soluzioni per la digitalizzazione dell’amministrazione scolastica o della didattica…).
La scuola digitale
Il 27 ottobre 2015, il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca (Miur) ha presentato il Piano Nazionale per la Scuola Digitale, un documento di indirizzo “per il lancio di una strategia complessiva di innovazione della scuola italiana e per un nuovo posizionamento del suo sistema educativo nell’era digitale”. Le azioni previste si articolano in quattro ambiti fondamentali (strumenti; competenze e contenuti; formazione; accompagnamento) che si suddividono ulteriormente in trentacinque azioni operative, con l’obiettivo di favorire,costruire e incentivare: accesso e connettività; spazi e ambienti per l’apprendimento; amministrazione e identità digitale; competenze degli studenti; contenuti digitali; formazione del personale; integrazioni tra scuola digitale, impresa e lavoro.
Su questi temi gli istituti scolastici italiani non sono all’anno zero. Anzi,già a partire dal 2008, con il sostegno del Miur, sono stati realizzati diversi progetti che hanno contribuito a sedimentare un significativo patrimonio di competenze e strumenti e che hanno prodotto e diffuso modelli replicabili e sostenibili. Sul sito Avanguardie Educative, l’Indire (Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa del Miur) raccoglie e sistematizza le numerose esperienze di innovazione didattica realizzate nelle scuole.
Anche al di là dei programmi promossi e finanziati del Miur, molti istituti, spesso in collaborazione tra loro, hanno dato vita a significative sperimentazioni, sostenute dalle Regioni o da imprese e fondazioni private. La “scuola digitale” si è già sviluppata: grazie all’iniziativa di reti di scuole formali e informali e di comunità professionali di docenti online e offline, un movimento digitale che è portatore di grande valore innovativo proprio perché nato sul campo, da esperienze bottom-up. Tra gli obiettivi strategici per i prossimi anni, il Miur ha indicato quello della visibilizzazione – anche con il contributo di Regioni, Comuni e Uffici Scolatici Regionali – del grande patrimonio di competenze, strumenti e modelli realizzati nell’ambito di questo movimento, al fine di non disperderle, di valorizzarle, di replicarle.
La scuola può ampliare l’orizzonte
Se ri-leggiamo questo contesto contemporaneo attraverso il paradigma della sharing economy (AA.VV. 2015), l’orizzonte si amplia e le prospettive si fanno ancora più interessanti. Le scuole, infatti, possono essere considerate come vere e proprie piattaforme locali di economia collaborativa e di condivisione. In partenariato con enti locali, imprese, organizzazioni sociali e culturali, singoli istituti o reti di scuole possono realizzare progetti “aperti”, utili contemporaneamente ai propri alunni e all’intera comunità: spazi museali evoluti, archivi digitali, biblioteche diffuse (per esempio valorizzando il patrimonio documentale e bibliografico di cui molti plessi scolastici dispongono); spazi comuni di studio e di lavoro (realizzando coworking aperti sia a studenti sia a professionisti); fablab e laboratori digitali; ristoranti didattici con attività ristorativa aperta al pubblico; luoghi per lo sport indoor e outdoor (fruibili dagli alunni in orario scolastico e da tutti in qualsiasi altro orario e giorno della settimana); adozione di spazi cittadini abbandonati e/o sotto-utilizzati per la realizzazione di programmi didattici con ricadute sulla collettività (orti urbani, giardini, aiuole, piccoli beni immobili); organizzazioni di eventi simbolici e temporanei (mostre, installazioni urbane, eventi in occasione di ricorrenze).
Procedere passo dopo passo
Tenere conto dei contesti di riferimento, degli ecosistemi con le loro caratteristiche, è decisivo: in alcune situazioni, proporre (o addirittura imporre) progetti troppo ambiziosi può portare al fallimento frustrante e alla disillusione. L’innovazione non deve essere un dovere, ma un piacere; l’ingiunzione a progettare è paradossale (Boutinet 2014): i progetti, pur avendo bisogno di leader, di trascinatori, di facilitatori, hanno anche bisogno di consenso e radicamento, non possono essere forzati dall’alto. E se anche non è necessaria la piena e consapevole adesione di tutti i componenti di un’organizzazione, è certamente importante operare con il consenso convinto di un buon numero di persone, in grado di svolgere una funzione di esempio e di promozione. Laddove manchi cultura della progettazione, è importante rompere il ghiaccio iniziando a realizzare progetti semplici, puntando a risultati intermedi e a traguardi raggiungibili. Collezionare una serie di iniziative piccole ma di successo, oltre che a “fare squadra” e a consolidare esperienza e competenze, è anche utile a far crescere la reputazione dell’organizzazione nei confronti di possibili partner e finanziatori, creando le condizioni per realizzare progettazioni più ambiziose e strategiche.
Riferimenti
Carlini R. (2015), Come stiamo cambiando. Gli italiani e la crisi, Laterza.
De Biase L. (2014), Pubblico e privato nel terzo millenio, in Obiettivo comune, a cura di M. Parmigiani e A. Vaccari, Edizioni Ambiente.
Bergami M. e Morandin G. (2015), L’innovazione fattore decisivo per creare sviluppo, Sole 24 Ore, 13 dicembre.
Recalcati M. (2015), L’ora di lezione. Per un’erotica dell’insegnamento, Einaudi.
AA.VV. Autori (2015) La sharing economy. Come funziona l’innovazione sociale e che cosa ci possiamo fare, in Nòva – Il Sole 24 Ore, Lezioni di futuro 04, dicembre 2015.
Boutinet J. (2014), Psychologie des conduites à projet, PUF.