La spesa sociale italiana impegna tantissime risorse per la vecchiaia. Tuttavia, i servizi assistenziali non bastano più a soddisfare una domanda che sta diventando sempre più ingente e complessa. Si fa quindi urgente pensare a soluzioni alternative su molti fronti tra cui quello delle politiche abitative, dove si affaccia una pratica ancora poco conosciuta, quella del cohousing per gli anziani. Di cosa si tratta? E quali percorribilità ha nel sistema italiano?
Le ragioni
L’Italia è uno dei paesi demograficamente più anziani d’Europa. La percentuale di persone anziane nella nostra società cresce rapidamente a causa, principalmente, dei bassi tassi di natalità, dell’invecchiamento dei “baby-boomers” e dell’incremento dell’aspettativa di vita. Contemporaneamente, la “nuova vecchiaia” mette in discussione l’approccio tradizionale, basato sul passaggio netto dall’autosufficienza alla non autosufficienza, e si presenta piuttosto come un percorso di graduale perdita dell’autonomia che deve essere rispecchiato nei servizi, tra cui, appunto, quelli abitativi. Sotto queste pressioni, il welfare italiano dovrà essere riformato per almeno tre motivi.
Innanzitutto relativamente alla composizione della spesa pubblica e all’organizzazione dei servizi. Le politiche sociali sono un mix di misure previdenziali, sanitarie, di attivazione e di inclusione sociale, ma in Italia il solo sostegno alla vecchiaia impiega più della metà delle risorse destinate alla spesa sociale. L’Italia è infatti tra i Paesi con la spesa per vecchiaia più alta e tra quelli con la spesa per famiglie e infanzia più bassa del continente europeo (Eurostat 2015). Inoltre, le risorse spese sono molte, ma non sono spese in modo efficiente: il sostegno alla vecchiaia si esplicita per lo più in erogazioni monetarie (quali pensioni, indennità di accompagnamento ecc.) e poco nell’offerta di servizi. Negli anni a venire, dovrà quindi essere potenziato un processo di ricalibratura tra le voci di spesa che, probabilmente, imporrà una contrazione delle risorse destinate agli anziani e richiederà dunque di ripensare l’insieme dei servizi di welfare ad essi rivolti.
In secondo luogo, l’allungamento dell’aspettativa di vita media accrescerà il bisogno di servizi per la non autosufficienza: già oggi il 18,5% degli ultra 65enni (2,1 milioni di persone) riporta una condizione di totale mancanza di autosufficienza per almeno una delle funzioni essenziali della vita quotidiana. Le famiglie con almeno una persona con limitazioni funzionali sono l’11%, ma di queste meno del 20% ricevono assistenza domiciliare pubblica (Istat 2013). Ciò significa che le famiglie soddisfano i propri bisogni di cura autonomamente, attingendo ai risparmi o fornendo loro stesse cura e supporto ai propri anziani.
E qui veniamo al terzo problema: possiamo pensare che in futuro le famiglie, soprattutto le donne, saranno ancora in grado di assumersi gli oneri di cura, e di farlo con la stessa efficacia con cui l’hanno fatto fino ad oggi? Probabilmente no, anzi, i cambiamenti delle strutture familiari e sociali imporranno di soddisfare bisogni di cura e socialità anche all’esterno della famiglia. Tra i fattori determinanti, l’aumento del numero delle donne impiegate in attività lavorative – e soprattutto in orari di lavoro sempre più estesi e flessibili; l’avanzamento dell’età delle donne primipare che, impegnate nella contemporanea cura dei figli e dei genitori dovranno comprimere il tempo di cura dedicato a questi ultimi; da non sottovalutare, infine, gli effetti dell’emigrazione giovanile, che allontana anche fisicamente le generazioni (solo nel 2014 si sono contati 101.297 espatri, di cui 35,8% di persone tra i 18 e i 34 anni, Fondazione Migrantes). Su questo fronte occorrerà quindi potenziare le politiche di conciliazione famiglia-lavoro, ma anche prevedere servizi assistenziali in grado sia di alleggerire gli oneri per le donne, che di garantire la stessa efficacia e sensibilità nella cura agli anziani.
Cohousing: di cosa si tratta?
Il cohousing può essere definito come “una tipologia di abitazione collaborativa nella quale i residenti partecipano attivamente nella progettazione e nella scelta del proprio vicinato. I residenti accettano di vivere come una comunità in cui le abitazioni private, che rimangono un inviolabile spazio di privacy, vengono completate da aree comuni che incoraggiano l’interazione sociale. Gli spazi privati contengono tutte le caratteristiche delle case convenzionali, ma i residenti possono accedere a ulteriori attrezzature e strutture comuni come giardini, lavanderie, sale hobbies, cucine e sale comuni. La gestione della comunità è direttamente a carico dei residenti senza che venga a crearsi una leadership dominante. Le attività svolte all’interno del cohousing non devono generare reddito ulteriore per i singoli residenti” (Charles Durrett). Tuttavia, non è possibile darne una definizione univoca, poiché non tutte le comunità abitative che si definiscono cohousing rispondono per intero ai requisiti suddetti e possono assumere proprie peculiarità. Cercando di riassumerle, è possibile individuare le seguenti caratteristiche:
- la «dimensione sociale» degli interventi, che può esplicitarsi in varie forme: residenze con spazi comuni destinati alla socializzazione; strutture con servizi comuni (es. servizi socio-sanitari, socio-assistenziali e di accompagnamento, assistenza domiciliare per anziani e disabili, doposcuola, babysitting, ecc.); progetti abitativi che puntano sul coinvolgimento diretto e attivo dei residenti nella fase di progettazione e realizzazione, così come nella manutenzione (progetti di autocostruzione, di autorecupero, di cohousing); apertura dei servizi forniti ai residenti al vicinato (sviluppo di comunità);
- alloggi caratterizzati dalla coabitazione tra gruppi sociali eterogenei, spesso a rischio di esclusione (es. anziani, madri sole, giovani);
- a differenza dell’edilizia residenziale pubblica – dove prevale la dimensione economica, nella misura in cui generalmente l’obiettivo è di offrire un’abitazione a chi ha basso reddito – qui l’azione si concentra piuttosto sulla possibilità di usufruire di determinati servizi o sulla volontà di ricercare un nuovo modo di abitare;
- partnership pubblico-privato-non profit sia nel finanziamento che nella gestione degli interventi. L’offerta di soluzioni abitative non è quindi esclusiva del soggetto pubblico, ma si allarga a soggetti eterogenei provenienti dal settore privato, dal terzo settore e dal mondo delle fondazioni.
Vantaggi e impatto
L’introduzione di soluzioni di cohousing per gli anziani potrebbe dunque generare numerosi vantaggi, a cominciare dall’innovazione dei servizi di cura, grazie a pratiche di co-care in grado di risolvere i problemi assistenziali meno complessi. Per questo il senior cohousing viene incentivato sempre di più dai governi nordeuropei che, in questo modo, trovano una soluzione efficiente ad un problema assistenziale (Moretti 2010). Pur non sostituendosi alle cure fornite dagli specialisti, i cohousers possono infatti supportarsi reciprocamente nei periodi di difficoltà. Inoltre, ottimizzando l’utilizzo degli specialisti (dottori, infermieri, assistenti domiciliari ecc.) si possono generare economie di scala e conseguenti risparmi sia per chi gestisce le strutture che per gli inquilini stessi, grazie alla possibilità di aggregare la domanda di servizi. Si tratta dunque di un cambiamento paradigmatico dei servizi rivolti alla terza età, perché rovescia la logica di intervento sul problema e mira a promuovere azioni ex-ante verso il disagio potenziale, in modo da ridurre i costi sociali e sanitari degli interventi indirizzati a problemi ormai conclamati.
Il cohousing promuove inoltre l’invecchiamento attivo e l’inclusione sociale degli anziani, rispondendo alle esigenze di quelle persone che, una volta uscite dal mondo del lavoro, rischiano di perdere il senso della loro importanza, poiché offre un antidoto all’isolamento e favorisce l’engagement nella comunità.
Infine, grazie alle partnership pubblico-privato-non profit prima descritte può rappresentare uno strumento attraverso cui incrementare la sostenibilità degli interventi e dei progetti.
Limiti e resistenze alla diffusione del senior cohousing in Italia
Nonostante questi evidenti vantaggi, il cohousing è ancora poco diffuso tra gli anziani italiani. I pregiudizi culturali costituiscono una barriera che ha frenato l’affermarsi del modello abitativo comunitario soprattutto in Italia, paese così legato ai modelli familiari tradizionali – in cui i bisogni di cura e socializzazione sono quasi esclusivamente soddisfatti all’interno della famiglia – e alle forme di proprietà classiche dell’abitazione: gli anziani spesso non amano vivere con altri, condividere spazi e oggetti e sono restii a cambiare casa o quartiere.
Tuttavia, è ragionevole pensare che nei prossimi anni tale atteggiamento possa cambiare. In parte, per necessità: i cambiamenti delle strutture familiari e sociali imporranno di cercare cura e socialità anche all’esterno della famiglia. In parte per ragioni culturali: le future generazioni di anziani saranno probabilmente più informate e aperte ai nuovi servizi di welfare (tra cui queste modalità abitative) e sapranno dunque coglierne maggiormente gli effetti positivi.
L’innovazione delle politiche abitative e dei servizi di welfare passa dunque per un cambiamento culturale da promuovere sia tra i cittadini che tra investitori privati e istituzioni, al fine di avviare una “fase pioneristica” fondata sull’iniziativa privata e sul coinvolgimento progressivo di gruppi, di comunità, di sistemi locali e di reti trans-territoriali in cui sperimentare progetti innovativi.