Con la fine di ottobre si è concluso il mese dell’educazione finanziaria, durante il quale più di mille iniziative si sono dedicate alla cultura finanziaria. In Italia siamo poco avvezzi a confrontarci con l’economia personale, e di questo risultato raccolto nello scorso mese possiamo solo che essere orgogliosi.
Il raggiungimento di una così ampia diffusione, però, non deve mettere in secondo piano le aree di miglioramento possibili. Diversi eventi “spot” non sembrano produrre risultati apprezzabili.
I motivi, in apparenza, sono semplici: un singolo evento, un convegno, un webinar difficilmente sono sufficienti a influire sui comportamenti, gli atteggiamenti e le intenzioni di persone che sono, in molti casi, orientate al breve termine, ansiose, sfiduciate, insofferenti e talora anche distopiche. Dunque, come muoversi?
Teoria o pratica
In primo luogo, ci pare necessario introdurre una chiara distinzione tra educazione teorica e pratica.
La prima forma si definisce alfabetizzazione, ed ha ad oggetto informazioni e istruzioni. Le informazioni contribuiscono a fare cultura ed erudiscono ma non capacitano; le istruzioni danno indicazioni valide per tutti, ma in quanto tali sono utili in termini generali ma non specifici.
Alle singole persone o famiglie, infatti, è utile capire come funzionano l’inflazione o il mercato finanziario ma il loro problema è molto più concreto: hanno bisogno di capire come risparmiare, proteggersi dai rischi presenti, quando possono andare in pensione (compatibilmente con le normative), se riscattare o no la laurea, se in termini pensionistici conviene usufruire di opzione donna o quota 103 e così via. A questo serve l’educazione finanziaria in forma di accompagnamento personale.
Per trasformare indicazioni generiche in supporti specifici, come ampiamente dimostrato dalle esperienze inglesi e americane ci vuole infatti un educatore finanziario personale, una figura che con incontri individuali o familiari ci aiuta a simulare le varie sfide economiche del corso di vita e ci mostra le conseguenze del fare e del non fare.
Le esperienze pubbliche che mettono queste figure a disposizione dei cittadini in Italia non sono molte: servizi di educazione personale sono attivi a Milano, Bergamo, Pistoia ed in alcune città del Veneto ma il grosso del territorio deve ancora essere messo in grado di fruire di questa opportunità. In tutti i casi, per rendere efficaci i percorsi educativi bisogna affrontare alcuni temi, che di seguito affrontiamo brevemente.
Chi è il destinatario e come realizzare i programmi
Il primo tema riguarda l’interpretazione del cittadino-utente. Bisognerebbe, con decisione, andare oltre la continua e rituale enfatizzazione sulla scarsa conoscenza degli italiani sui temi finanziari e lavorare assieme perché in futuro questo non avvenga. A tal fine, i programmi educativi dovrebbero innanzitutto definire gli obiettivi concreti che intendono raggiungere, declinati in conoscenze comportamenti, atteggiamenti come ricorda l’OCSE.
Bisognerebbe poi partire, nei programmi educativi, dall’analisi dei bisogni delle popolazioni di riferimento. Collegato a tale aspetto c ‘è quello progettuale, ed in specifico la scelta tra eventi singoli o percorsi. Sono passati già diversi anni da quando Lauren Willis (2008) ha messo in luce la scarsa efficacia di molte attività di financial education. Può infatti un singolo evento essere efficace nell’aiutare i cittadini ad intraprendere azioni utili? Si può imparare a nuotare o a giocare a tennis con una sola lezione?
Educazione finanziaria: l'impatto del Covid la rende ancora più urgente
Oltre alla continuità, è necessario concentrarsi sul contenuto dei progetti. In particolare, è bene distinguere i contenuti orientati all’offerta di finanza (mercati, prodotti, fenomeni finanziari) da quelli che si rivolgono alle domande di base del corso di vita degli utenti.
In questo caso, dovremmo inoltre evidenziare se vogliamo adottare un approccio parziale, orientato ai singoli eventi di vita (comprar casa, andare in pensione, far studiare un figlio) o se è nostra intenzione proporre un approccio complessivo all’economia personale. In fondo, la vita è una, le necessità finanziarie (spese, debiti, rischi, progetti) sono molte ma alla fine la tasca dalla quale prelevare le risorse economiche è una sola.
L’area di intervento dei progetti educativi può vertere sia su temi numerici-quantitativi che su temi soggettivi. Il primo dominio, più tecnico, privilegia le modalità oggettive con le quali si misura un obiettivo, un fabbisogno, una strategia di soluzione. In questa dimensione, l’evoluzione tecnologica rende necessari strumenti di simulazione scientifici, terzi, affidabili nelle teorie, le fonti e le elaborazioni. Il secondo dominio, più soft, si occupa della componente emotiva delle scelte ed aiuta le persone a riflettere sul futuro, sull’insicurezza e l’indecisione, sulla fiducia ecc.
Ogni intervento richiederebbe inoltre articolate misure sull’efficacia, poco presenti nei programmi di educazione finanziaria italiani. Le misure dovrebbero occuparsi sia dell’effettivo cambiamento dei comportamenti degli utenti dei programmi educativi che dell’impatto sociale dei progetti. Sul primo tema, le misure effettuate a Milano evidenziano non solo migliori comportamenti ma anche un aumento di fiducia complessivo.
Chi può candidarsi a educare e quali sono i luoghi
L’efficacia, peraltro, è connessa al “chi” può erogare programmi di educazione finanziaria. Oggi, infatti, chiunque può definirsi educatore finanziario ed anche influencer privi di competenza sull’ economia personale possono generare gravi fraintendimenti facendo passare come contenuti educativi assurdi metodi “infallibili” per guadagnare in borsa.
Qui, ci piace rammentare che dal 2011 c’è in Italia la norma tecnica di qualità UNI 11402 che definisce competenze e requisiti per poter progettare e realizzare educazione finanziaria a regola d’arte. La norma, certificabile, fornisce quel bollino di qualità e terzietà del quale si sente sempre più la necessità.
L’educazione di qualità protegge sia gli organizzatori che gli utenti, e non dovrebbe essere preclusa a una o l’altra figura professionale, perché tutti hanno il diritto di mettere le proprie competenze al servizio dei cittadini, nel rispetto delle norme e della ragionevolezza. In questo senso, oggi si privilegiano educatori del Terzo Settore ma ci sono molte esperienze positive di intermediari finanziari, in Italia ed all’estero, che operano come educatori finanziari di qualità, in piena separatezza di ruoli.
Perché l’educazione finanziaria può essere una nuova frontiera del welfare
Infine, merita attenzione il “dove” pensiamo che l’educazione finanziaria debba avere spazio. Qui, senza indugi, va vista con plauso la recente scelta di rendere l’educazione finanziaria materia di studio obbligatoria nelle scuole.
Questo apre temi rilevanti: ad esempio, è molto interessante ed attuale il confronto su quali programmi educativi servano ai ragazzi e su chi possa formare i docenti italiani perché possano efficacemente trasmettere ai ragazzi conoscenze così rilevanti per il loro futuro e rendere la materia attraente.
La sfida più ambiziosa, in ogni caso, riguarda le persone adulte, perché unisce importanza ed urgenza. Qui, inizialmente si sono sviluppate esperienze indifferenziate e poi via via ci si è rivolti a gruppi di appartenenza più definiti, tra i quali donne, senior, giovani, neo-assunti, imprenditori.
L’educazione finanziaria delle persone adulte le riguarda trasversalmente, perché mettere a posto i conti di casa, sistemare i debiti, proteggersi dai rischi, risparmiare meglio e pensare alla fine del lavoro sono temi che entrano in ogni impresa ed ogni casa.
Naturalmente, alcuni gruppi sociali sono più fragili e necessitano di educazione finanziaria per affrontare situazioni di lieve o grave vulnerabilità. Sono stati così avviate progettualità rivolte, ad esempio, a rifugiati politici, donne vittime di violenza, giocatori d’azzardo, genitori di ragazzi con disabilità, monogenitori in povertà e così via. Anche su questo fronte c’è ancora strada da percorrere, e le pubbliche amministrazioni dovrebbero far si che l’educazione finanziaria entri a far parte “stabilmente” dei propri servizi.
Educazione finanziaria e welfare aziendale
L’educazione finanziaria sta entrando a far parte stabilmente dei programmi di welfare aziendale offerti dalle imprese1. Le piccole, medie e grandi imprese sono infatti sempre più consapevoli della necessità di mettere a disposizione dei propri lavoratori e collaboratori servizi destinati alla prevenzione e alla promozione del benessere economico. Le difficoltà economiche mettono in crisi l’intero contesto psicologico, familiare e lavorativo. In epoca di great resignation, di quiet quitting, di grande rimescolamento sul senso del lavoro occorre inoltre fare un salto immaginativo e andare nella direzione di costruire un nuovo rapporto con i propri collaboratori, offrendo riferimenti per il loro benessere economico presente e futuro, individuale e familiare.
L'educazione finanziaria entra nei progetti di welfare aziendale e territoriale
Come diceva Edgar Morin, la vita è diventata una navigazione in un oceano di incertezze attraverso isole di certezze. È ora che tutti coloro che guidano un Impresa si confrontino attivamente con strumenti nuovi, utili, capaci di gestire e non subire le naturali incertezze della contemporaneità.
In sintesi, il mese dell’educazione finanziaria non è solo un motivo di compiacimento ma uno spunto per passare alla fase due, quella incaricata di aumentare l’utilità, la qualità, la responsabilità dei programmi e la misurazione della loro efficacia. Da qui ad ottobre 2024, il tempo c’è; si tratta, ora, di creare le occasioni di confronto.
Riferimenti
Lauren E. Willis (2008), Against Financial Literacy Education.
Note
- Si veda, a tal proposito, la Prassi di Riferimento UNI 103: 2021 “Welfare aziendale – Requisiti per la progettazione, la realizzazione e valutazione di progetti di welfare aziendale e requisiti di competenza del welfare manager”, di cui Secondo Welfare ha parlato qui.