Il contesto
I dati da cui prende le mosse il documento presentato a Roma lo scorso 10 dicembre da Confcommercio e Confindustria – La sanità nel welfare che cambia. Le proposte di Confcommercio e Confindustria per l’integrazione tra Primo e Secondo Pilastro – sono noti da tempo. Mentre i bisogni sanitari crescono, la popolazione invecchia e i costi dovuti al progresso tecnologico in campo medico aumentano, le risorse a disposizione del sistema sanitario pubblico italiano si riducono (la spesa pubblica pro capite è fra le più basse dei paesi occidentali), lasciando così scoperte aree sempre più ampie di bisogno. Per farvi fronte, gli Italiani ricorrono – quando possono permetterselo (una quota non indifferente, infatti, deve rinunciare alle cure; ISTAT 2014) – alla spesa sanitaria privata, che, nella maggior parte dei casi, è di tipo out of pocket (82%): è cioè sostenuta direttamente dal cittadino che “compra” la prestazione sanitaria di cui ritiene di avere bisogno, senza passare attraverso l’intermediazione di un soggetto terzo (come un fondo, una compagnia assicurativa o una società di mutuo soccorso). Un dato che, come illustrato nella Figura 1, fa dell’Italia un caso in controtendenza rispetto a molti altri paesi dell’Europa occidentale. In media, nell’intera UE, la spesa privata non intermediata si attesta al 61,2% (al 59,2% nell’area Euro; fonte: WHO database 2015).
Figura 1. Spesa sanitaria out-of-pocket come % della spesa sanitaria privata, 2013 (dati aggiornati al 20 agosto 2015).Fonte: WHO database.
La proposta
In questo contesto, secondo le due associazioni patronali, è necessario convogliare la maggior parte della spesa sanitaria privata oggi cash verso Fondi integrativi, soggetti terzi capaci di garantire quell’intermediazione attualmente troppo rara, oltre che di assicurarne una gestione più efficiente e trasparente. Attualmente, dei 32 miliardi di spesa sanitaria privata (cui, secondo il documento presentato, ne andrebbero aggiunti 15 di sommerso) solo 4-5 sono effettivamente intermediati da Fondi.
Perché la spesa sanitaria privata si sposti verso l’intermediazione, Confcommercio e Confindustria invocano misure più incisive di agevolazione fiscale sia per i singoli cittadini che aderiscono al secondo pilastro sia per le imprese che ne promuovono lo sviluppo. Tale revisione potrebbe realizzarsi senza particolari oneri per lo Stato, poiché all’esclusione dal reddito imponibile dei contributi versati ai Fondi dovrebbe corrispondere una contestuale restrizione degli attuali limiti di deducibilità. Per Confcommercio e Confindustria bisognerebbe inoltre superare la distinzione di trattamento fiscale fra i cosiddetti "fondi sanitari integrativi" e "enti, casse e società di mutuo soccorso aventi esclusivamente fine assistenziale": mentre ai primi si applica l’articolo 10 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR), ai secondi si applica l’articolo 51, in base al quale la deducibilità dei contributi versati è possibile nei limiti in cui l’adesione al fondo avvenga nel quadro di un rapporto di lavoro dipendente. Secondo le due associazioni, si tratta di una penalizzazione per tutti i lavoratori autonomi e per tutti i lavoratori dipendenti il cui contratto non preveda un fondo aziendale. Infine, andrebbero previsti sgravi IRAP per le aziende che versano quote per la sanità complementare dei propri dipendenti, proporzionalmente a quanto versato, oltre ad un esonero contributivo totale sulle quote.
Quale incastro con il primo welfare?
Il documento affronta uno dei temi centrali per chi si interessa di secondo welfare, ovvero il suo "incastro" o rapporto con il primo.
Secondo Confcommercio e Confindustria, la proposta avanzata non intende in alcun modo mettere a rischio la natura pubblica del Servizio Sanitario Nazionale. Il rafforzamento del secondo pilastro privato, grazie in particolare alle agevolazioni fiscali, non dovrebbe essere visto come quel "cavallo di Troia al servizio di una graduale ma pervasiva privatizzazione del welfare" (Ferrera 2015) da molti temuto. Al contrario, il "ridisegno complessivo del sistema sanitario" sarebbe capace di "stimolare l’efficientamento complessivo del sistema". Il principio dell’universalismo, alla base – almeno sulla carta – del nostro SSN, non solo non verrebbe intaccato, ma sarebbe reso più attuale, ad esempio, dalla previsione di forme di compartecipazione gestite attraverso gli strumenti della mutualizzazione del rischio e non, come avviene oggi, del ticket (il cui peso – come noto – tende a ricadere proprio su chi ha più bisogno di cure). I fondi sanitari del secondo pilastro dovrebbero inoltre operare senza ricorrere al regime di "selezione del rischio", ma in base a quello del community rating, come già avviene per i Fondi sanitari contrattuali di natura collettiva. Tra i vantaggi per il sistema pubblico, secondo i sostenitori della proposta, andrebbe annoverata inoltre l’emersione di una parte rilevante della spesa sanitaria privata attualmente sommersa, con indubbi effetti positivi per le finanze statali.
Attenzione particolare meritano le riflessioni proposte dalle due associazioni sui rapporti fra le strutture sanitarie private e quelle pubbliche. Ribaltando il principio dell’accreditamento attualmente in uso (in base al quale le strutture private che vogliono operare dentro il SSN devono soddisfare una serie di requisiti), la proposta delle due associazioni disegna la possibilità che, per erogare le prestazioni ai propri iscritti, i Fondi sanitari privati stipulino convenzioni con le strutture pubbliche che si dimostrino in grado di assicurare il rispetto di standard prefissati dai Fondi stessi. Tali requisiti vengono però solo evocati in modo piuttosto generico: nel documento si citano, a puro titolo esemplificativo, i tempi di attesa e la qualità delle prestazioni.
Questo meccanismo, ispirato ai principi del New Public Management, già alla base di molte riforme sanitarie in Europa a partire dagli anni ’80 (in Italia della riforma bis del 1992-1993), permetterebbe – secondo i suoi sostenitori – di innescare un circolo virtuoso, inducendo anche le strutture pubbliche meno efficienti a migliorare le proprie performances (sia in termini di costi sia di prestazioni), pena la perdita di risorse private. Le strutture pubbliche che oggi perdono pazienti, generando, in particolare al Sud, il rischio di una graduale "desertificazione" del sistema (dovuta alla perdita di competenze e professionalità), potrebbero così invertire la rotta.
Ma quali prestazioni sarebbero garantite dai Fondi sanitari fiscalmente incentivati?
Come messo in luce da Pavolini et al. (2012), l’aggettivo "integrativo" ha finito per acquisire, nel contesto italiano, un significato duplice, indicando sia quanto erogato effettivamente in aggiunta a o a supplemento di quanto offerto dal Servizio Sanitario Nazionale, sia forme di assistenza che andrebbero a rigore definite complementari, poiché intervengono a copertura di spese per servizi che sono forniti in modo insufficiente dal sistema pubblico o a rimborso delle forme di compartecipazione (i ticket). Una recente analisi curata da RBM Salute e Censis (2015) ha documentato che "per oltre il 60% delle prestazioni erogate, le Forme Sanitarie Integrative hanno operato nel campo della ‘sostituzione’ del SSN". I decreti Turco e Sacconi (2008 e 2009) hanno previsto l’obbligo, per i Fondi Sanitari integrativi, di destinare una quota non inferiore al 20% dell’ammontare complessivo delle risorse destinate alla copertura di tutte le prestazioni garantite ai propri assistiti, all’erogazione di prestazioni di assistenza odontoiatrica, di assistenza socio-sanitaria rivolta ai soggetti non autosufficienti e di prestazioni finalizzate al recupero della salute di soggetti temporaneamente inabili.
Su questo punto il documento di Confcommercio e Confindustria è chiaro: l’attuale elenco delle risorse vincolate andrebbe esteso a tutti i tipi di fondi sanitari, ma, al contempo "allargato inserendo anche altre prestazioni che – sebbene ricomprese in quelle erogate dal SSN – sono in realtà soggette ad un forte accesso tramite spesa privata come la prevenzione, la diagnostica, la specialistica, ecc.". In altre parole, i vantaggi fiscali, rimodulati come descritto poco sopra, dovrebbero essere garantiti anche a fondi che erogano prestazioni di fatto sostitutive o duplicative di quanto offerto dal Servizio Sanitario Nazionale attraverso i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). Tale previsione solleva alcune perplessità, tanto più se considerata insieme a quella relativa alle procedure di convenzionamento delle strutture pubbliche con i Fondi complementari appena descritta: le strutture pubbliche finirebbero infatti per erogare prestazioni incluse nei LEA, ma operando per conto di strutture private, entrando così in competizione con se stesse.
Sicuramente, come affermano Confcommercio e Confindustria, nel quadro di un riordino generale del sistema sanitario che incentivi fiscalmente lo sviluppo del secondo pilastro, sarebbe più che opportuno apportare "miglioramenti all’attuale assetto dell’istituto" dell’Anagrafe dei Fondi Sanitari, istituita presso il Ministero della Salute, ma, ad oggi, inaccessibile dall’esterno: "occorre garantire una completa disclosure dei dati raccolti facendo sì che l’anagrafe possa rappresentare un osservatorio privilegiato e il soggetto ideale per la produzione di best practices utili alla crescita dell’intero settore. Una funzione che – sostengono le due associazioni – ad oggi non è svolta da nessun interlocutore istituzionale con un vuoto oggettivo che rischia di essere di volta in volta occupato da soggetti portatori di interessi particolari, non sempre coincidenti con quelli generali".
Riferimenti
Confindustria e Confcommercio (a cura di, 2015), La sanità nel welfare che cambia. Le proposte di Confcommercio e Confindustria per l’integrazione tra Primo e Secondo Pilastro
Ferrera, M. (2015), Introduzione, in F. Maino e M. Ferrera (a cura di, 2015), Secondo Rapporto sul secondo welfare in Italia 2015, Torino, Centro di Ricerca e Documentazione Luigi Einaudi
ISTAT – Istituto Nazionale di Statistica (2014), Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari, Roma
Pavolini, E., Neri, S., Cecconi, S., Fioretti, I. (2012), "L’esperienza dei fondi sanitari in Italia tra luci e ombre", Paper for the Espanet Conference "Risposte alla crisi. Esperienze, proposte e politiche di welfare in Italia e in Europa", Roma, 20 – 22 settembre 2012
RBM Salute e Censis (a cura di, 2015), Costruire la nuova sanità integrativa. Contrattazione Collettiva Nazionale, Soluzioni Aziendali e Approccio Territoriale
WHO – World Health Organization (2015), Global Health Expenditure Database – Health Expenditure Indicators