L’avvento di nuovi schemi contrattuali basati su logiche pay-for-results, seppur ancora eccezione anziché regola, promette di riformare le dinamiche e i principi che hanno tradizionalmente regolato l’agire della Pubblica Amministrazione, almeno sino ad oggi.

L’idea essenziale di un contratto pay-for-results è che il committente non acquista una prestazione, quanto piuttosto un risultato. Un classico esempio può essere quello di una Pubblica Amministrazione che finanzi un programma di inserimento lavorativo: secondo una logica tradizionale, un contratto tra la Pubblica Amministrazione e il soggetto chiamato ad erogare tale servizio prevedrebbe un pagamento proporzionato alle ore di counseling offerte, oppure al numero di beneficiari accompagnati in un qualche percorso professionalizzante; secondo la logica pay-for-results la Pubblica Amministrazione pagherebbe proporzionalmente alla riduzione del tasso di disoccupazione raggiunta rispetto un determinato ambito (territoriale o basato su determinate caratteristiche dei beneficiari, o entrambi).

Un simile modo di regolare i rapporti tra Pubblica Amministrazione e soggetti erogatori si basa su alcuni snodi che portano con sé un potenziale di cambiamento particolarmente significativo: in primo luogo la cultura degli outcomes, ovvero risultati ed impatti, prende il sopravvento su quella degli outputs (intesi come mere prestazioni fornite), assumendo una logica di miglioramento tanto in termini di efficacia che di qualità degli interventi di policy messi in campo. In secondo luogo apre uno spazio significativo per nuove professionalità che fanno della misurazione dei risultati e degli impatti il proprio core-business, segnando peraltro l’ingresso nelle arene di policy di un nuovo portatore di interessi che chiaramente incide sui più tradizionali equilibri. In terzo luogo porta il tema della valutazione delle politiche, in specie degli impatti economici e sociali, ad una fase iniziale del processo di policy, richiedendo un contratto pay-for-results qualche valutazione ex-ante degli impatti previsti (se l’intera operazione si basa sulla possibilità di accertare il raggiungimento di determinati risultati ed impatti, i criteri e le metodologie da impiegare per tale accertamento debbono essere stabiliti già in fase di formulazione degli obiettivi di policy).

In linea di principio l’uso di questi modelli contrattuali basati sui risultati ed impatti generati dal service provider, oltre ad una razionalizzazione della spesa e ad una accresciuta effettività dei servizi erogati, dovrebbe portare ad una maggiore accountability della Pubblica Amministrazione, posto che al di là dei vari meccanismi volti a garantire la trasparenza del suo agire, la Pubblica Amministrazione acquista la fiducia dei cittadini quando riesce a svolgere al meglio il proprio difficile compito, ossia la corretta implementazione delle politiche pubbliche adottate.

Tuttavia la realtà mostra come la Pubblica Amministrazione in diversi paesi Europei trovi nei principi contabili che determinano parte del suo agire alcune barriere importanti. La strutturazione della Pubblica Amministrazione come differenti silos quasi mai costituisce un valido incentivo alla ricerca di risparmi o ad accrescere qualità ed efficacia dei servizi erogati (un caso di scuola è quello del contrasto al fenomeno dei senza tetto, i cui vantaggi economici sarebbero vari e diffusi, riguardando ambiti che dal punto di vista contabile non hanno alcun nesso, come la sanità e la sicurezza, o persino il mercato immobiliare).

Per questa ragione occorre lavorare per una migliore integrazione dei servizi, anche attraverso riforme di tipo istituzionale e organizzativo. Ma un simile sforzo non pare sufficiente per consentire di valorizzare i potenziali risparmi e i previsti miglioramenti della qualità dei servizi derivanti dall’impiego di contratti pay-for-results. Infatti resta il fondamentale problema di una rappresentazione quanto più corretta possibile degli impatti sociali ed economici previsti dalla misura di policy che si intende adottare, posto che dalla precisione di tale valutazione ex-ante dipende la previsione di spesa, che consiste in ogni caso nell’utilizzo di risorse pubbliche.

Anche per questa ragione nell’ambito del dibattito sulla necessità di innovare il settore pubblico e di valutare non solo l’impatto economico ma anche il valore sociale delle politiche pubbliche, stanno emergendo diverse proposte, tra le quali quella elaborata e ancora in fase di sviluppo da parte di un gruppo di ricercatori di Siviglia del Joint Research Centre (JRC) della Commissione Europea. Battezzata col nome di i-FRAME, la proposta formulata nel contesto del progetto di ricerca “IESI – ICT-enabled social innovation” condotta dal JRC di Siviglia in collaborazione con la Direzione Generale Employment, Social Affairs and Inclusion della Commissione Europea, consiste in un framework metodologico per la misurazione degli impatti generati – a diversi livelli (micro, meso e macro) – da iniziative di c.d. ICT-enabled social innovation, ossia iniziative ad alto tasso di innovazione sociale e supportate da un uso significativo di Tecnologie della Comunicazione e dell’Informazione (ICT).

Più in particolare l’i-FRAME ha un duplice obiettivo. Da un lato mira a fornire un approccio strutturato per l’analisi delle iniziative raccolte attraverso precedenti attività di mappatura, dunque anche come guida per condurre analisi tematiche approfondite attraverso specifici casi di studio e scenari d’uso, in modo da poter offrire così spunti per la loro replicabilità e trasferibilità in termini di pratiche di policy tra i diversi Paesi Membri. Dall’altro intende servire come quadro di riferimento per lo svolgimento di analisi specifiche circa i ritorni economico-sociali e gli investimenti che hanno come componente chiave l’innovazione sociale e l’impiego di ICT in un’ottica di investimento sociale. Questo dovrebbe permettere di fornire raccomandazioni su come la Commissione Europea e gli Stati Membri possano analizzare (ex ante, in itinere ed ex post) l’impatto di tali iniziative di policy che promuovono approcci integrati alla erogazione di servizi sociali, in alcuni casi proprio attraverso nuovi meccanismi contrattuali di tipo pay-for-results.

Pertanto, in un momento nel quale la ricerca sull’innovazione sociale passa anche e soprattutto attraverso cambiamenti di processo, il ruolo che le forme contrattuali di tipo pay-for-results assumono è quello di accelerare la necessità di definire strumenti complessi per la misurazione degli impatti sociali: l’impegno rappresentato da studi come quello citato testimoniano infatti un orientamento generale delle istituzioni a superare il paradigma delle evidence-based policy per ricercare nuove forme di supporto al policy making, guardando con sempre più attenzione e in particolare a modelli computerizzati di simulazione che permettano di svolgere attività c.d. predictive modelling, dunque incidendo significativamente sul classico processo di policy che lasciava la fase di valutazione come ultimo passaggio del ciclo, consentendo dunque di poter valutare in tempo reale opzioni di policy differenti in base a ricette diverse e composte da mix di ingredienti e risorse calibrabili all’occorrenza.

L’avvento di schemi contrattuali pay-for-results sembra quindi destinato ad influenzare in modo importante i processi di riforma della Pubblica Amministrazione, soprattutto in quei paesi dove la cultura della valutazione di impatto resta ancora latente o non del tutto formalizzata, aprendo pertanto la strada a nuove forme di supporto al policy making tra ricerca sull’innovazione sociale e modelli computerizzati di simulazione dell’impatto sociale.


Questo articolo è stato pubblicato anche su Nòva – Il Sole 24 Ore del 17 luglio 2016, ed è qui riprodotto previo consenso degli autori.