3 ' di lettura
Salva pagina in PDF

Nei giorni scorsi il dibattito sui Social Impact Bond (SIB) si è riacceso anche in Italia, in particolare sulle pagine di Vita dove al centro è stata inizialmente posta la critica al modello neoliberista ad essi associato. Come si può evincere anche da alcune osservazioni riportate in una prima risposta pubblicata sul medesimo sito, le possibili letture del fenomeno sono diverse, e pertanto, a parere di chi scrive, l’interpretazione dei SIB necessita di un approccio "laico", ossia di un modo di ragionare che non parta da conclusioni (in parte già scritte) per creare ipotesi già in partenza negative. In questo senso potrebbe essere utile aggiungere al dibattitto due idee di base: una attiene alla liquidità o sperimentalità del SIB; l’altra all’evidenza empirica legata agli strumenti delle politiche sociali odierne.

Social Impact Bond: policy o strumento di policy?

Innanzitutto, non è propriamente corretto definire i SIB come "una policy". Queste nuove architetture contrattuali sono piuttosto quello che nella letteratura scientifica relativa al policy design è definito come un tool, uno strumento di policy. Ovviamente ciascuno strumento di policy viene ideato e definito in un contesto di policy specifico, caratterizzato da obiettivi e principi teoricamente determinati dalla visione politica al momento dominante; tuttavia gli strumenti di policy sono, appunto, strumenti, e in quanto tali sono (in parte) intercambiabili rispetto alla strategia politica che ne sta a monte.

Il fatto che i SIB nascano come strumenti di policy nel contesto anglosassone e appaiano come promanazione di un approccio neoliberista costituisce la base di buona parte della letteratura scientifica. E quindi va tenuta in considerazione. Eppure, i casi di servizi alla persona sviluppati tramite SIB non sono solo quelli di Peterborough o di Rikers Island. La realtà è un po’ più ampia e differenti possono essere le ricostruzioni teoriche da proporre.

Si pensi ad esempio al caso del Social Impact Bond di Nottingham, i Nottingham Futures. In questo SIB, implementato nell’anglosassone e neoliberista Regno Unito, il pagatore finale, così come il finanziatore e il service provider, sono tutti soggetti pubblici che utilizzano lo strumento del Social Impact Bond per "rompere" logiche tradizionali di trasferimento di risorse dal centro alla periferia. Oppure si pensi al caso finlandese di Occupational Wellness. Qui la situazione è invertita: nella (a tratti) socialdemocratica Finlandia, lo scopo perseguito consiste nella riduzione dei giorni di malattia dei dipendenti pubblici; il SIB è utilizzato come strumento per la implementazione di una strategia di efficientamento della spesa pubblica, senza alcuna pretesa di soddisfare particolari bisogni, salvo quello della amministrazione stessa di una maggior cost-effectiveness della propria spesa; insomma, niente a che vedere (almeno direttamente) con i diritti sociali dei cittadini o i loro bisogni.


Verso un cambiamento metodologico per lo studio dei SIB 

I due casi menzionati – così come altri sviluppati in Portogallo, Belgio e Austria, di cui magari potremo parlare in altra occasione – mescolano le carte. Potremmo definire i SIB come liquid tools, esattamente nel senso di un tipo di strumenti capaci di adattarsi a diversi contesti e – soprattutto – a diverse strategie. E le strategie possono assumere connotati molto differenti sotto la pressione delle circostanze politiche e delle visioni più generali delle relazioni tra Stato, mercato e terzo settore. Un social impact bond potrebbe essere adottato come strumento utile per perseguire diverse strategie, non esclusive tra loro; senza dimenticarsi che buona parte degli strumenti di derivazione neoliberalista stanno venendo utilizzati e cambiati secondo il paradigma emergente del social investment. Oppure potremmo testare l’idea che i SIB siano experimental tools utilizzati per innovare il modo di finanziare e organizzare l’erogazione di servizi alla persona. Se la prima definizione è talmente larga da poter essere riassuntiva di qualsiasi SIB, la seconda sarebbe più qualificativa degli interventi e proporrebbe una conseguente valutazione dello strumento.

Un’ulteriore riflessione. Se da una osservazione "in vitro" del modello di Social Impact Bond si generalizza il famoso svuotamento (hollowing out) dello Stato, un’analisi puntuale delle pratiche già in corso autorizza ad affermare qualcosa di diverso, in un certo senso l’opposto. Al netto delle possibili strategie sottostanti l’adozione di un SIB, in molti casi quel che si nota è che affianco alla finanziarizzazione del welfare sta la "pubblicizzazione della finanza". In altri termini, è anche l’attore statuale che trova nello strumento dei Social Impact Bond un sistema di logiche e incentivi per "forzare" parte delle disponibilità finanziarie private verso un obiettivo maggiormente connesso all’interesse generale.

Per concludere (almeno per il momento), il dibattito aperto intorno al tema dei Social Impact Bond supera i Social Impact Bond stessi. In particolare, sembra proporre alcuni cambiamenti metodologici circa lo studio della relazione tra innovazione sociale, public policy e politica sociale. Oggi, ad un’analisi di tipo teorico (e spesso quantitativa) sui modelli di intervento, dobbiamo quindi affiancare un’analisi empirica più puntuale e critica, aperta alla dimensione qualitativa dei processi e capace di entrare nella complessità imposta da politiche non lineari e implementate attraverso strumenti liquidi e/o sperimentali di policy.