Secondo Filippo Addarii e Flaviano Zandonai nei criteri di valutazione ESG (Environmental, Social, and Corporate Governance), che dovrebbero misurare la sostenibilità non finanziaria gli investimenti (e, in teoria, cambiare i criteri con cui la stessa finanza si muove), c’è un bug. Si trova nella “s” di “social”, su cui permane confusione sulla tassonomia da utilizzare.
Recentemente, spiegano gli autori, la Piattaforma per la finanza sostenibile – un gruppo di esperti istituito della Commissione UE per arrivare a una finanza più inclusiva e di impatto – ha sottolineato come non sembrino esistere in questo momento strumenti scientifici condivisi per valutare la l’impatto sociale. Tanto che esso è spesso considerato un “affare tra stakeholder” che attraverso il loro “dialogo sociale” definiscono norme e standard che alimentano – spesso volta per volta, caso per caso – i cardini della tassonomia.
“Se quindi si vuole che l’impatto sociale assuma maggiore consistenza e sia meno in balia dei “twist and turn” delle rappresentanze e delle lobby o che, all’opposto, venga monopolizzato dai sistemi conoscitivi delle grandi piattaforme” spiegano gli autori nel loro articolo su Vita “è necessario cambiare marcia“. L’occasione potrebbe venire da Next Generation Europe e, dalla sua declinazione italiana, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.