Mai come quest’anno il tema dell’educazione finanziaria rivela il suo valore strategico. Nei migliori dei casi, infatti, la pandemia deprime i consumi e alimenta i risparmi; nei peggiori, sconvolge le prospettive di lavoro e di reddito, altera profondamente le motivazioni agli investimenti, alimenta un clima diffuso e condiviso di incertezza, tale addirittura da aver dato vita alla sindrome planetaria della “Covid fatigue”. L’incertezza economica e l’ansia psicologica si riflettono così in un crescente disorientamento collettivo che contribuisce a corrodere la fiducia stessa nel funzionamento delle istituzioni democratiche.
E il tema assume particolare significato in Italia: per la radicata propensione al risparmio; per la radicale svolta impressa dalla (presumibilmente lunga) stagione dei tassi negativi, che corrode la fiducia dei risparmiatori in opportunità di investimento tradizionali e rassicuranti; per i prevedibili impatti sul mercato immobiliare, sconvolto a sua volta dai cambiamenti in corso nell’”utilizzo” delle città, sempre più, e speriamo non irreparabilmente, svuotate da attività economiche, commerciali e turistiche (con conseguente, possibile rivalutazione, tuttavia, dei centri non metropolitani).
Sono i nostri, dunque, tempi nei quali esercitare responsabilità, cautela e impegno nell’assumere scelte, quali quelle relative al risparmio e alle decisioni finanziarie, che potranno avere effetti decisivi sull’andamento complessivo e dell’economia. Ed ecco che l’educazione finanziaria assume un valore particolare, da diffondere e coltivare. In Italia, non partiamo da presupposti rassicuranti; i dati a disposizione (ad esempio quelli dell’Ocse), infatti, vedono sempre il nostro Paese agli ultimi posti quanto a livello di conoscenza finanziaria (con un punteggio, nel 2017, di 3,5 – sul massimo di 7 – rispetto alla media del G20 di 4,3).
Ma vi sono due aspetti particolari che meritano di essere segnalati, frutti entrambi di profondi sconvolgimenti di carattere sociale in atto nel pianeta.
Il primo è legato agli andamenti demografici, che vedono ormai preponderanti sul mercato del lavoro le generazioni più giovani, alle quali il futuro non assicura percorsi professionali e carriere lavorative relativamente sicure quali quelle sulle quali contavano i rispettivi genitori. La diffusione di forme di lavoro intermittenti e parziali e la difficoltà a pianificare il futuro rendono così indispensabile anche ai più giovani il ricorso a strumenti di copertura per affrontare periodi passeggeri di crisi, investimenti in formazione, accumulazione in vista di sempre più remoti trattamenti previdenziali. La cultura finanziaria assume allora un valore strategico per la pianificazione della propria vita. Di nuovo, i dati delle ricerche Pisa sul grado di conoscenza finanziaria degli studenti non sono confortanti per l’Italia: i nostri giovani, secondo l’edizione 2020 della ricerca, risultano tra i meno performanti in materia (con un punteggio di 476 su 505 di media tra i Paesi Ocse, e il peggior ‘relative score’, ossia quello specifico alla conoscenza finanziaria, depurato dai punteggi relativi alla conoscenza della matematica e/o alla lettura). Le esperienze straniere, d’altra parte, dimostrano che l’educazione finanziaria sui più giovani non ha esiti scontati: in diversi casi, pur meritorie pratiche educative hanno conseguito risultati modesti. Piuttosto, sembrano mostrare maggiore efficacia le iniziative rivolte proprio agli adulti, quando questi si misurano effettivamente con le scelte d’investimento.
Si può allora cogliere l’importanza del secondo aspetto, relativo all’informazione: la perdita d’influenza degli strumenti più tradizionali e (relativamente) attendibili, la diffusa sfiducia nelle competenze specializzate, il diffondersi di canali informativi atomizzati e autoreferenziali (i social) rendono sempre più problematico fare argine contro notizie false, fandonie e pregiudizi che falsano la percezione degli utenti, ne deformano la capacità informativa, ne condizionano la libertà decisionale, ne mettono a repentaglio il futuro e, con questo, la solidità della democrazia tout court. Gli utenti (anche giovani) cominciano a manifestare segni di consapevolezza sui pericoli rappresentati dalla crisi dell’informazione di qualità: tocca agli operatori, anche quelli della finanza, operare con efficacia per rendere l’informazione finanziaria non un fastidioso fardello burocratico in più ma un autentico investimento in vista di una migliore civiltà economica.