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Che futuro attende il welfare aziendale nei prossimi mesi e anni? Quanto influirà la pandemia di Covid-19 sulle scelte delle imprese e delle parti sociali? Sono in molti a pensare che la crisi economica che stiamo attraversando avrà un impatto devastante sugli investimenti delle aziende in questo campo; altri sostengono, al contrario, che in momenti come quello attuale – in cui il welfare pubblico è in difficoltà – le iniziative di welfare integrativo (come quello di natura occupazionale) tendono a rafforzarsi.

Con l’intento di alimentare il dibattito su tale questione, nel corso delle ultime settimane abbiamo intervistato alcuni esperti di welfare aziendale (tra questi Emmanuele Massagli, presidente di AIWA). Per continuare ad approfondire oggi vi proponiamo questa intervista a Diego Paciello, responsabile dell’area fiscale, welfare, compensation e benefits presso lo Studio Toffoletto, De Luca, Tamajo e Soci.

Dottor Paciello, il welfare aziendale è un fenomeno che – come spesso abbiamo raccontato – ha conosciuto una progressiva diffusione nel nostro Paese in questi ultimi anni. La pandemia Covid-19 rischia di segnare una forte battuta d’arresto in questo senso. Qual è il suo pensiero in merito? Ritiene che molte imprese saranno costrette a “ripensare” le loro politiche sul fronte del welfare nei prossimi mesi?

Personalmente non credo che la pandemia comporterà una forte battuta d’arresto per lo sviluppo del welfare aziendale: d’altronde, è stato proprio durante le recenti crisi, quella più profonda del 2008 e quella del 2011, che abbiamo assistito alla nascita e a allo sviluppo esponenziale del welfare aziendale per come lo intendiamo e conosciamo oggi. Bisogna infatti considerare che spesso è nei momenti di crisi che le aziende sono chiamate a rivestire un ruolo sociale molto rilevante, attivandosi, conseguentemente, per erogare ai propri dipendenti servizi di conciliazione, supporto ai bisogni primari dei lavoratori e delle loro famiglie, tutela delle fragilità e degli anziani, che rappresentano sicuramente iniziative imprescindibili per l’integrazione del welfare pubblico.

Sicuramente, la pandemia e l’attuale situazione venutasi a creare hanno modificato sensibilmente le esigenze delle persone: il perdurare dello stato di emergenza e la crisi economica che ne conseguirà potrebbero radicalizzare il cambiamento, costringendo le aziende a rivedere sia le politiche di compensation che di welfare aziendale, con l’obiettivo di conciliare le sopravvenute esigenze organizzative aziendali con quelle personali dei lavoratori. Si pensi, ad esempio, al caso in cui, già peraltro verificatosi, le scuole dovessero rimanere chiuse e le aziende continuare ad operare regolarmente.

Sicuramente molte imprese non potranno garantire i Premi di Risultato per il prossimo anno. Secondo lei questo quanto impatterà sulle opportunità legate alla possibile conversione del PdR in servizi e prestazioni di welfare aziendale? Crede che ci saranno altre forme di welfare occupazionale che si svilupperanno nei prossimi mesi o anni?

La situazione economica avrà senza dubbio un pesantissimo impatto sulla maturazione dei premi e, di conseguenza, sulla loro convertibilità in welfare. Moltissime aziende non raggiungeranno gli obiettivi minimi previsti per poter erogare un premio ai propri dipendenti e, anche nel caso in cui dovessero riuscirci, difficilmente potranno registrare i risultati incrementali al cui conseguimento la normativa vigente subordina l’applicazione della tassazione agevolata e la convertibilità in welfare. Senza interventi normativi o senza espressi chiarimenti da parte dell’Agenzia delle Entrate circa la possibilità, ad esempio, di prevedere la sterilizzazione dell’impatto della pandemia sui risultati aziendali, credo che almeno i due terzi delle aziende italiane non riusciranno a detassare i premi e, di conseguenza, non potranno consentire ai dipendenti di convertirli in welfare.

Difficile prevedere se e quali forme di welfare occupazionale potranno svilupparsi prossimamente, essendo molteplici le variabili da dover considerare: la durata della situazione emergenziale e della conseguente crisi economica, i cambiamenti organizzativi delle aziende (tra cui, soprattutto, lo sviluppo delle forme di lavoro da remoto), la velocità della ripresa, gli strascichi sociali e psicologici che lascerà la pandemia. In ogni caso, il legislatore dovrà dimostrarsi pronto, come ha fatto negli ultimi 5/10 anni, ad intervenire per adeguare la normativa alle mutate esigenze sia dei lavoratori sia delle aziende.


In che modo crede che impatterà l’attuale emergenza sul mercato del welfare aziendale e sul ruolo dei provider? Ritiene che un mercato così “giovane” potrà riuscire a riprendersi e tornare a crescere nel prossimo futuro? Se sì, quale ruolo possono svolgere già da ora i consulenti e i provider?

L’impatto dell’emergenza sul mercato dei provider sarà tanto importante quanto quello sulle aziende loro clienti, soprattutto se di piccole dimensioni e con clientela rappresentata prevalente da PMI. Credo assisteremo a breve a diverse fusioni e/o acquisizioni e, temo, anche a qualche débâcle ma il ruolo di facilitatori e innovatori che ha sempre contraddistinto i provider verrà enfatizzato; anche loro dovranno farsi trovare pronti ad adeguarsi alle mutate esigenze dei dipendenti e delle aziende, nonché agli eventuali cambiamenti normativi. Potrebbero addirittura rappresentare un booster per la ripresa nel caso in cui dovessero riuscire a gestire – meglio rispetto al passato – i servizi legati al territorio e di prossimità.

Sono convinto che i provider, sebbene verranno duramente colpiti dalla crisi, saranno in grado di tornare a crescere abbastanza rapidamente: le serie storiche post crisi dimostrano che la ripresa è sempre stata più rapida del previsto, auguriamoci sia così anche in questa occasione.

Personalmente, ritengo sia molto importante che i player di questo mercato – consulenti e provider in primis, ma anche le aziende – lavorino congiuntamente per garantire l’implementazione di piani welfare conformi a quanto previsto dalla normativa, a partire dalle modalità di finanziamento per arrivare alle tipologie di servizi offerti. Negli ultimi anni il mercato si è spinto un po’ troppo oltre, ottenendo come risultato una serie di interpretazioni oltremodo restrittive da parte dell’Agenzia delle Entrate, finalizzate ad evitare situazioni elusive o di abuso della norma e che, di fatto, hanno generato non pochi problemi applicativi, a discapito dello sviluppo del welfare in Italia. Per un mercato in parte ancora immaturo, come quello del welfare aziendale, ma sicuramente non trascurabile in termini di volumi – avendo circa 750/800 milioni di euro di transato all’anno, secondo una mia personale stima – condotte commerciali troppo aggressive, se non affiancate da un’accurata fase di analisi “tecnica” dei progetti, alla luce della normativa e prassi in materia, non pagano e rischiano, anzi, di minare lo sviluppo e il consolidamento delle iniziative di welfare aziendale nel prossimo futuro.