Il 14 giugno 2017 – a tre anni di distanza da quando venne depositata la proposta – è entrata in vigore la legge contenente le "Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato" (qui il nostro approfondimento sui contenuti della legge). Abbiamo chiesto a Francesco Iasi di spiegarci quali prospettive si aprono con questa novità legislativa. Francesco è Consulente del lavoro ed esperto di smart working e welfare aziendale che lavora con Variazioni Srl, società specializzata nella consulenza su smart working, change management e work life balance.
Variazioni Srl è l’unica società di consulenza presente sul mercato italiano interamente specializzata sui temi dello smart working e del work life balance. Quali sono le motivazioni che vi hanno spinto ad investire su questo fronte? Cosa caratterizza la vostra attività professionale?
Variazioni Srl nasce a Mantova nell’ormai lontano 2009. Fin da subito il tema del work-life balance è stato al centro dell’attività della nostra società, che aveva compreso già al tempo come la promozione del benessere organizzativo sarebbe diventata una delle chiavi che avrebbero reso, da li a poco, le imprese più competitive, attrattive dei talenti e vincenti nel mercato.
Negli ultimi anni abbiamo scelto di investire con convinzione sullo smart working, sviluppando know-how, competenze e strumenti dedicati alla sua implementazione in azienda con una logica “chiavi in mano”, dunque facilmente customizzabile su ogni tipologia di realtà.
Nello specifico quello che proponiamo ai clienti è l’approccio tramite il nostro metodo C.O.R.E.
Per uno smart working di successo secondo noi è infatti necessario vincere 4 vincoli:
- Culturale: è necessario ingaggiare e motivare i manager e gli smart worker
- Organizzativo: è fondamentale la gestione degli spazi, della strumentazione tecnologica e la valutazione della performance
- Regolativo: vanno predisposti accordi, procedure, formazione e informazioni ad hoc e conformi alla Legge
- Economico: vanno individuati KPI che consentano di misurare i risparmi per l’azienda i collaboratori e i benefici per l’ambiente
Lo smart working dal nostro punto di vista è una modalità di organizzazione del lavoro che riesce a soddisfare le esigenze di produttività dell’azienda e quelle di conciliazione vita lavoro del dipendente. Ha una logica win-win-win: genera vantaggi per l’azienda, per i dipendenti e per l’ambiente.
L’arrivo della tanto attesa Legge n.81 del 2017, che disciplina lo smart working (o Lavoro Agile), possiamo affermare che evidenzia come Variazioni srl abbia agito con lungimiranza.
Pur in assenza di una cornice legislativa, negli ultimi anni non sono mancate sperimentazioni di smart working tra le aziende. Che caratteristiche hanno le aziende con cui lavorate? Che misure sono state implementate? Quale impatto hanno avuto?
Nel corso di questi anni abbiamo accompagnato, e tutt’oggi accompagniamo, davvero diverse tipologie di aziende nell’implementazione dello smart working. Il caso più emblematico è sicuramente la rete Smart Companies di Bergamo che vede protagoniste UBI Banca Spa, Volvo Spa, Banco BPM, Italcementi Spa e il Comune di Bergamo, e che per la prima volta in Italia nel biennio 2014-2016 ha avviato una sperimentazione in rete dello smart working, misurandone gli impatti.
Ma abbiamo avuto l’opportunità di accompagnare anche realtà di dimensioni medie e in alcuni casi piccole imprese. È interessante notare come le motivazioni siano spesso molteplici e differenti a seconda della realtà aziendale. Ma l’aspetto più stimolante sono sicuramente i risultati ottenuti e che calcoliamo grazie alla Smart Impact (uno dei nostri prodotti cui accennavo in precedenza), che consente di quantificare i vantaggi per l’azienda, i collaboratori e l’ambiente.
Per dare dei numeri torno sulla sperimentazione della rete Smart Companies. In 6 mesi, con circa 1.000 smart worker che in media avevano la possibilità di effettuare due giorni a settimana in smart working, i risultati ottenuti sono stati i seguenti:
- Sono state utilizzate il 50% delle giornate messe a disposizione, dunque non se ne abusa
- Il 90% degli smart worker ha lavorato da casa
- Sono stati risparmiati 37.000 km al giorno e 65,4 tonnellate di Co2
- Ogni smart worker ha risparmiato in sei mesi 80 euro di spese di trasferta e 50 euro di altre spese, dimostrando una percezione di netto miglioramento sul work-life balance
- E’ stata evidenziata una riduzione di malattie e permessi per un totale di 45.000 euro
- 61.000 euro di risparmi ottenuti in totale per le aziende per via di voci retributive non riconosciute perché non dovute come ad esempio l’indennità di pendolarismo
- Il 94% dei manager ha dichiarato che la produttività degli smart worker è rimasta costante e in alcuni casi è addirittura aumentata
E invece quali sono le difficoltà che riscontrate maggiormente?
Le maggiori criticità risiedono in alcuni aspetti che capita di vedere dati per scontati. Per tradurla con uno slogan: non basta un buon regolamento per realizzare uno smart working di successo. Spesso notiamo che le aziende focalizzano la loro maggiore preoccupazione sulla norma e non su altri aspetti che sono fondamentali. Ciò non stupisce vivendo e operando in un Paese che, citando il Senatore Pietro Ichino, “tende, soprattutto in materia di lavoro, all’iper-regolazione”. I veri vincoli non sono di natura normativa, non lo erano ieri quando si sperimentava lo smart working senza una norma ad hoc e non lo sono oggi avendo finalmente un testo di Legge dedicato.
I veri vincoli sono di natura organizzativa e relazionale. Approcciare lo smart working significa orientarsi verso una nuova modalità di organizzazione del lavoro che richiede spesso un processo di change management che va a toccare aspetti molto delicati come: la capacità di gestione del team a distanza da parte dei manager, il rapporto e la fiducia tra manager e collaboratore, la capacità di lavorare per obiettivi e quindi prioritariamente saperli definire, e infine la capacità dello smart worker di organizzare il lavoro in una nuova ottica.
Se non si riesce ad ingaggiare i manager e gli smart worker da questo punto di vista è davvero difficile che lo smart working abbia successo e molto probabilmente non ci si mette nelle condizioni di sfruttarne appieno il potenziale.
Prima ha citato la vostra esperienza con alcuni grandi aziende. Cosa pensa invece dello smart working nelle PMI? È possibile?
In un Paese come il nostro, che vede nel suo tessuto produttivo il 95% di PMI, non possiamo non porci questa sfida. Dalla nostra esperienza possiamo affermare che è sicuramente possibile che una PMI riesca a implementare lo smart working in maniera vincente, perché i principi che sono alla base di questa nuova modalità di organizzazione del lavoro valgono per ogni realtà, di qualsiasi dimensione. Anche per le PMI, come per le grandi aziende, è fondamentale che i responsabili aziendali vedano nello smart working un’opportunità di crescita per tutto l’ambiente di lavoro.
Gli esempi certamente non mancano. Mi viene in mente Akros Srl, un’azienda nostra cliente di Negrar, in provincia di Verona, che con 6 dipendenti ha richiesto un accompagnamento all’implementazione dello smart working. È una realtà davvero interessante dove le parole chiave della mission aziendale sono: fiducia, libertà, autonomia.
Lo stesso può dirsi di AF Maglieria Srl, piccola impresa mantovana del settore tessile, che ha preso parte al progetto Smart Working Mantova (promosso dal Comitato per l’Imprenditoria Femminile della CCIAA di Mantova, vede protagoniste 10 aziende; Variazioni srl si occupa della consulenza tecnica), implementando una sperimentazione dello smart working per due figure: un impiegato amministrativo e un’operaia, nel primo caso con strumentazione tecnologica nel secondo caso senza. Non esistono dunque particolari vincoli allo sviluppo dello smart working nelle PMI se non quelli che le aziende vogliono porsi.
Che impatto pensa che avrà l’approvazione della legge 81/2017? State già riscontrando maggior interesse da parte delle aziende?
Come dicevo, viviamo in un Paese dove la proliferazione di norme è spesso eccessiva. In questo caso no: siamo di fronte ad uno strumento davvero utile che sta già scardinando le resistenze da parte delle imprese, soprattutto quelle delle PMI. La legge ha uno spirito smart ed è sicuramente utile per ciò che riguarda aspetti molto delicati, in primis il riconoscimento per gli smart worker della copertura assicurativa contro gli infortuni sul lavoro.
Dopo la sua approvazione abbiamo notato un aumento delle richieste da parte delle aziende e crediamo che sarà un trend in costante crescita. Ma, sono costretto a ripetermi, non bisogna pensare che sia sufficiente superare il vincolo normativo per uno smart working vincente, così come non basta un pc o una location “remota” per rendere il lavoro smart: quello che afferma Variazioni, con il suo metodo, è che è necessario che si realizzi un processo di miglioramento organizzativo che porti all’incremento del livello di soddisfazione sia dei/delle collaboratori/trici che del datore di lavoro: solo allora potremo dire di avere introdotto lo smart working.
Anche le PA hanno mosso i primi passi con l’approvazione finale del testo di riforma del Pubblico Impiego avvenuta a marzo 2017, che ha confermato l’obiettivo di offrire ad almeno il 10% dei lavoratori forme di flessibilità entro il 2018. Qual è l’effettiva portata di questa riforma? Quali sono le differenze nell’implementazione di un piano di lavoro agile tra pubblico e privato?
Anche la PA sta evidenziando la necessità di un cambiamento nell’organizzazione del lavoro e nella gestione delle risorse umane. Ciò è evidenziato sia dall’approvazione del testo di riforma del Pubblico Impiego, sia dalla Direttiva sul Lavoro Agile per la PA presentata dal Ministro Madia. Con la presenza del Comune di Bergamo nelle rete Smart Companies abbiamo potuto notare come anche nella PA, se lo si vuole, si possono raggiungere ottimi risultati in termini di innovazione e orientamento al futuro. Credo che sia presto per giudicare l’effettiva portata della riforma, solo una volta a regime potremo dire quali impatti avrà avuto sia sui dipendenti sia sui cittadini-utenti dei servizi.
Due sono le grandi differenze a mio modo di vedere nell’implementazione dello smart woring tra pubblico e il privato: la disponibilità economica e quindi la relativa velocità di realizzazione del progetto; la cultura dei manager nella gestione delle risorse umane in un’ottica di maggiore autonomia, lavorando per obiettivi. Credo che questi due aspetti siano maggiormente presenti nel privato ad oggi. Infine, è necessaria una forte volontà di assunzione di responsabilità da parte dei manager e della “macchina amministrativa”, non è un caso che i casi di sperimentazione dello smart working (già possibili a normativa previgente la Legge n. 81/2017) siano davvero rari nella PA.
Sono stati fatti dei primi passi in avanti sicuramente importanti che, siamo convinti, consentiranno anche alle PA di vincere la sfida dello smart working nel futuro prossimo.