Completa flessibilità di orari e di spazi, abolizione di timbrature e di postazioni fisse. Senza dover ricorrere al tele-lavoro, troppo rigido nei requisiti e troppo poco adatto a promuovere l’autonomia del dipendente: è lo smart-working di Siemens, un progetto rivoluzionario che ormai sta facendo scuola. Promosso dalla casa madre tedesca, è sbarcato in Siemens Italia nel 2011. Dopo la fase di implementazione, oggi è ormai una realtà consolidata per 1.700 dipendenti (su 3.800 circa in totale) distribuiti in sette filiali italiane: Milano, Genova, Padova, Torino, Bologna, Firenze e Roma.
Il nome del progetto – Siemens Office – dice già molto: portarsi l’ufficio in valigia. Il punto è rivoluzionare il vecchio paradigma “presenzialista” e promuovere la piena e radicale flessibilità di tempi e di spazi. Dei tre pilastri della conciliazione vita-lavoro (trasferimenti monetari, servizi per l’infanzia e flessibilità degli orari), è di certo quello più innovativo, tanto da aver spinto di recente il Comune di Milano a lanciare la giornata dello smart-working con decine di aziende del territorio che per un giorno hanno abolito la timbratura.
Ma di cosa si tratta? “Di una differente concezione delle modalità di lavoro che consente al dipendente, fermo restando le esigenze di servizio e nell’ambito generale dell’orario di ufficio, di gestire i propri tempi come ritiene, ovviamente in accordo con il proprio responsabile”, spiega Liliana Gorla, a capo della direzione Risorse Umane. A differenza del tele-lavoro, “il dipendente non è necessariamente tenuto a lavorare da casa, ma decide come, dove e quando lavorare – prosegue Liliana Gorla – sulla base della pianificazione delle attività condivisa col responsabile”. Così, alcuni dipendenti si gestiscono di giorno in giorno, altri pianificando la propria settimana. In ogni caso non hanno la necessità di convalidare la propria presenza attraverso la timbratura, che ha solo una finalità di sicurezza.
La flessibilità è intesa in termini non solo temporali ma anche spaziali: sono infatti state abolite le postazioni fisse, il dipendente si siede dove desidera ed ogni scrivania è dotata di prese per il portatile. Gli uffici sono colorati e multi-tasking: c’è l’open space, ci sono gli spazi più raccolti per lavorare con maggiore tranquillità e ci sono le cabine in vetro dove poter fare le conference call senza essere disturbati.
Siemens Office non è entrato all’interno della contrattazione di secondo livello: “L’iniziativa arriva dalla casa madre – precisa Liliana Gorla – il sindacato è stato neutro e non ha ostacolato il progetto”. L’adesione a questa modalità di lavoro è volontaria e individuale nelle aree dove questo modello è stato adottato e chi vi aderisce firma un contratto con il quale dichiara di lavorare in un ambiente consono al lavoro. L’azienda inoltre fornisce ai dipendenti il pc portatile, il cellulare, un piccolo trolley e un armadietto dove poter tenere i propri averi. Oltre alla dotazione tecnica, il dipendente riceve un contributo per le spese di internet pari all’80% dell’abbonamento con un tetto di 32 euro al mese. Non essendoci più il cartellino da timbrare e gli orari fissi da rispettare, gli “straordinari”, naturalmente, vengono meno.
Una piccola rivoluzione copernicana che si fonda su due principi: la responsabilizzazione dei dipendenti e una cultura organizzativa che premia i risultati, indifferentemente dal tempo “fisico” passato in ufficio. E che ben si adatta a chi ha esigenze di conciliare le responsabilità di cura con gli impegni lavorativi. Come Barbara Stucchi, HR Specialist – Organizational Design, 50 anni, tre figli di 12, 14 e 25 anni, da 27 anni in Siemens. Prima dell’arrivo di Siemens Office faceva avanti e indietro ogni giorno da Lodi alla Bicocca: “un tragitto che varia dai 50 minuti alle due ore a seconda del traffico”, spiega Barbara. Oggi in ufficio ci viene tre giorni a settimana, gestendosi gli orari autonomamente, i restanti due giorni lavora da casa. Ad organizzare in questo modo la settimana “sono stata io in accordo con il mio responsabile – spiega Barbara – ma a volte a seconda delle esigenze, mie e dell’azienda, posso decidere di fare il contrario: stare a casa tre giorni e venire in ufficio due”. Da quando ha aderito a Siemens Office, “la mia vita è nettamente migliorata – precisa Barbara Stucchi – non sono più costretta a svegliarmi alle 5,30 tutte le mattine, risparmio in carburante e in baby-sitter”.
Il vantaggio non è solo per i dipendenti: “non abbiamo svolto un business case a riguardo – precisa Gorla – ma la mia percezione è che ci sia stato un aumento della produttività”. Le persone sono più concentrate perché sanno che, a parità di mansioni svolte, possono gestire autonomamente l’orario di lavoro per raggiungere gli obiettivi. E sono più responsabili, perché sanno che se qualcuno “bara”, lo svantaggio è per tutti. Lo spiega bene Christian Labozzetta, 36 anni, responsabile del team “technical solution center” che fornisce supporto ed assistenza tecnico-applicativa ai clienti utilizzatori della strumentazione della divisione Healthcare.
“Il nostro team deve fornire un servizio dalle 8 alle 18 – precisa Christian Labozzetta – all’interno di questa fascia le varie sotto-squadre si organizzano autonomamente. Per esempio, un sub-team di 5 persone responsabile per uno dei prodotti di punta ha scelto di lasciare a rotazione una persona in ufficio e consentire agli altri quattro di lavorare da casa”. Con l’auto-organizzazione “la responsabilità di ciascuno nei confronti dell’azienda e nei confronti degli altri colleghi è aumentata – aggiunge Labozzetta – non c’è l’interesse a rompere un equilibrio che funziona molto bene e che si basa sulla reciproca fiducia”. In altre parole: responsabilizzando i dipendenti viene meno il “controllo” esercitato dall’alto al basso, perché è interesse di tutti far funzionare la “macchina”.
Anche il coinvolgimento dei dipendenti nella fase di implementazione risponde a un’ottica di responsabilizzazione collettiva. All’epoca si erano creati dei “team di progetto” ad hoc e quello di cui faceva parte Christian coinvolgeva la sua squadra insieme al marketing e alle vendite: “il nostro problema era poter conciliare la rigidità dei tempi dei clienti a cui dobbiamo garantire un servizio e la nuova flessibilità degli orari – spiega Labozzetta – all’inizio eravamo spaesati e resistevamo al cambiamento. Poi abbiamo cominciato ad auto-organizzarci sugli orari e a pensare i nuovi spazi, sulla base delle nostre esigenze. A due anni di distanza abbiamo sviluppato una coscienza maggiore di quello che dovrebbe essere il lavoro: un’attività orientata ai risultati e allo stesso tempo al benessere di ciascuno. Abbiamo cambiato paradigma”.
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