Il Ministro dello Sviluppo Economico ha presentato lo scorso 27 settembre a Roma il rapporto Restart, Italia!. Durante TechCrunch Italy – l’evento che riunisce e presenta le start-up più innovative a livello europeo e globale, che si è tenuto per la prima volta in Italia – Corrado Passera è intervenuto per spiegare i risultati dello studio promosso dal Ministero e anticipare alcune delle iniziative del Governo contenute nel pacchetto “Crescita2”. Misure volte a creare un ambiente favorevole e “ospitale” per l’innovazione sociale e tecnologica al servizio del rilancio economico delle imprese italiane.
Ma cosa sono le startup? Nuove, piccole aziende innovative capaci di svilupparsi, espandersi sul mercato, e generare conoscenza e nuova cultura imprenditoriale grazie a un elevato tasso
di innovazione, idee originali e prodotti. E’ necessario però che le regole consentano davvero di scommettere e investire su queste realtà, e premino le sperimentazioni virtuose monitorandone gli sviluppi. Le proposte elaborate dalla task force sulle startup sono volte a minimizzare il ruolo diretto dello Stato come filtro, così da ridurre burocrazia eccessiva, lentezze ed eccessi di discrezionalità amministrativa, e a massimizzare invece il suo ruolo indiretto nel favorire l’iniziativa privata quando genera crescita e innovazione. Le startup come risposta alla crisi: come motore di occupazione, specialmente giovanile, e stimolo per la creazione di un sistema economico più snello ed efficiente. E’ quel che, del resto, ci raccomandano da tempo le istituzioni europee.
Una definizione: i criteri
Il rapporto definisce startup tutte quelle società di capitali, non quotate e residenti o soggette a tassazione in Italia, che soddisfano i seguenti criteri:
a. sono detenute direttamente e almeno al 51% da persone fisiche, anche in termini di diritti di voto;
b. svolgono attività di impresa da non più di 48 mesi;
c. non hanno fatturato – ovvero hanno un fatturato, così come risultante dall’ultimo bilancio approvato, non superiore ai 5 milioni di euro;
d. non distribuiscono utili;
e. hanno quale oggetto sociale lo sviluppo di prodotti o servizi innovativi, ad alto valore tecnologico;
f. si avvalgono di una contabilità trasparente che non prevede l’uso di una cassa contanti, fatte salve le spese legate ai rimborsi.
Interessante notare come tra i requisiti sia esplicitamente menzionato il fattore innovativo e tecnologico. Le startup non sono infatti tutte le nuove imprese, ma quelle innovative. Un criterio tanto difficile da definire quanto essenziale per valutare il reale impegno in ricerca e sviluppo. Indicatori importanti possono essere la percentuale di lavoratori altamente qualificati, il trattarsi di uno spin-off universitario, e le risorse dedicate alle attività di R&S. Nell’ottica di favorire poi la massima trasparenza, le startup tecnologiche dovrebbero essere registrate in una apposita directory online, pubblica e che incentivi anche un processo di peer review.
Il contributo delle startup all’innovazione sociale
Un capitolo del Rapporto è dedicato alle “startup a vocazione sociale”. Si tratta di imprese che utilizzano la tecnologia per fornire nuovi e migliori servizi alle persone, per tutelare i bisogni della società – che vanno dall’ambito sanitario a quello della formazione e della cultura, e fino alla disabilità – e non solo quelli del mercato. E’ quindi essenziale che queste iniziative, che hanno per definizione ritorni economici più bassi di quelli dei progetti di natura commerciale, abbiano la possibilità di nascere e svilupparsi attraverso benefici e agevolazioni riservati.
Tra le startup a vocazione sociale sono annoverate anche le “rescue company”, definite come “attività d’impresa finalizzata a salvaguardare una parte dei posti di lavoro e creare continuità di business con aziende in crisi e a rischio di parziale o completo fallimento”.
Figura 1. Uno specchietto che illustra le maggiori tipologie di startup a vocazione sociale
Fonte: Rapporto Restart, Italia! p. 43.
Cosa si può fare?
Il Rapporto propone un pacchetto di soluzioni di varia natura che possono incentivare la creazione di startup innovative e aiutarne lo sviluppo. Tra queste la prima è senza dubbio la semplificazione amministrativa e la riduzione degli oneri fiscali, questioni che in Italia sono da anni, e particolarmente dall’inizio della crisi economica, presenti all’interno del dibattito pubblico, richiamate da imprenditori e rappresentanti istituzionali. C’è poi l’opzione del “work for equity”, la possibilità cioè per le startup di remunerare una collaborazione esterna consentendo al fornitore di entrare nel capitale sociale della startup, riducendo così le esigenze di cassa.
Di vitale importanza poi il capitolo crescita: come agevolare la sostenibilità di lungo periodo e sviluppo dell’impresa nel tempo? Mettendo a disposizione gli strumenti per un migliore accesso alle risorse finanziarie, come fondi di venture capital, incentivi fiscali alle aziende che investono in startup, maggiori garanzie di accesso al credito bancario, e piattaforme online per la raccolta di capitale, sotto forma di investimento o debito, come il “crowdfunding”. Il “finanziamento da parte della folla” consente infatti di raccogliere capitali puntando sulla fiducia dei piccoli investitori, spesso semplici cittadini, rispetto alla nuova idea imprenditoriale. Da ultimo, una volta che il progetto ha acquisito una certa stabilità, è essenziale favorirne la quotazione in borsa attraverso la creazione di un mercato di capitali dedicato alle startup a vocazione sociale denominato Borsa Sociale. E’ altresì importante, se qualcosa va storto, fornire una procedura celere e semplificata per il fallimento, che consenta di eliminare tutte le conseguenze in capo alle persone fisiche dichiarate fallite e ai membri dell’organo amministrativo che non abbiano commesso reati.
Cosa può fare la politica per fornire concrete opportunità di sviluppo, occupazione e innovazione strutturale grazie alla nascita di imprese innovative in settori strategici per la crescita del sistema economico italiano?
Il Governo deve lanciare una sfida ai territori perché liberino energie e investano nel nuovo. La soluzione proposta è l’istituzione di un fondo, gestito da un Gruppo di lavoro dedicato, per co-finanziare interventi immediatamente cantierabili in grado di migliorare la capacità di un territorio di ospitare startup. I progetti selezionati saranno finanziati con un contratto di insediamento che regoli gli impegni dei vari soggetti pubblici e privati coinvolti, e permetta di semplificare le procedure per l’attuazione degli interventi. L’insieme dei contratti di insediamento costituirà il “Piano nazionale per gli ecosistemi startup”, la raccolta dei progetti pilota e delle aree innovative che costituiranno gli esempi viventi di territori “intelligenti” e accoglienti.
“Nessun governo – conclude il Rapporto – può imporre alla popolazione di diventare innovativa, di creare nuove imprese, di guardare avanti con fiducia. Ma un buon governo può eliminare gli ostacoli all’innovazione, può facilitare il processo di creazione delle nuove imprese, può essere al fianco di chi guarda avanti con fiducia e costruisce il futuro. Può aiutare tutto il Paese ad affrontare e ripensare i vecchi modelli che non funzionano più e a gestire il mutamento.”
Riferimenti
Il rapporto Restart, Italia!
Con le start-up rilanciamo l’occupazione, Fabio Savelli, Corriere della Sera, 27 settembre 2012
Il sito di TechCrunch Italy