Recentemente è stata pubblicata un’indagine condotta da 12 organizzazioni territoriali di Confindustria attive nel Nord del Paese, il cui è obiettivo è analizzare l’evoluzione degli strumenti retributivi all’interno delle imprese associate. La ricerca, che ha coinvolto circa 800 imprese per un totale di 140.000 dipendenti, fornisce alcuni spunti interessanti per comprendere l’andamento dei salari nel corso dell’ultimo anno e la diffusione di formule integrative, come il welfare aziendale.
Cresce la retribuzione nell’Italia settentrionale
Come si può vedere dalla Figura 1, l’indagine ha riguardato una serie di territori del Nord Italia. Si tratta quindi di una rilevazione parziale e di certo non generalizzabile a tutto il Paese.
Stando ai risultati, all’interno del campione di aziende considerate dalla survey la crescita dei salari è stata pari all’1,8% tra il 2020 e il 2021. Si tratta di un dato molto interessante, soprattutto se confrontato con la recente stima fatta dall’OCSE che evidenzia invece una forte stagnazione delle retribuzione nel nostro Paese nel corso degli ultimi 20 anni.
Tornando all’indagine di Confindustria, da questa emerge che oltre il 71% delle imprese interrogate eroga forme variabili di retribuzione collettive e/o individuali (Figura 2).
Su quali basi sono definite queste formule integrative della retribuzione? Stando alla ricerca, l’erogazione si basa soprattutto sul fatturato e sul margine operativo dell’azienda, sulla riduzione delle assenze, sui livelli di produzione raggiunti, sulla riduzione del numero di infortuni e sui livelli di customer satisfaction.
Cresce anche il welfare aziendale
Le misure e i benefit di welfare aziendale sono invece tra le materie maggiormente regolate tra strumenti integrativi della retribuzione. Oltre la metà delle aziende (52,2%) prevede misure di welfare, mentre il 43% misure di conciliazione vita-lavoro (Figura 3).
Nella maggior parte dei casi (35%) il welfare aziendale viene istituito dall’impresa in modalità “on-top”, cioè attraverso la contrattazione di secondo livello, un regolamento aziendale o un atto liberale. Il 30% delle imprese che fanno welfare invece prevede la possibilità di convertire – in tutto o in parte – il Premio di Risultato (PdR); infine il 34% prevede entrambe le forme.
Come evidenziato dalla Figura 4, anche dall’indagine di Confindustria emerge che il welfare tende ad essere più presente in alcune tipologie di imprese, come quelle di dimensioni maggiori (che hanno più di 100 dipendenti) e quelle di alcuni settori produttivi specifici (come il comparto industriale e quello dei servizi).
Per quanto riguarda la conversione del PdR, circa un lavoratore su tre sceglie di usufruire di beni e prestazioni di welfare piuttosto che ricevere il premio in denaro. Anche questa scelta sembra fortemente condizionata dalle dimensioni aziendali (Figura 5).
Nelle imprese più grandi, infatti, la preferenza del lavoratore per il welfare si registra nel 44% dei casi. La percentuale scende invece al 16% tra le realtà che hanno tra i 26 e i 100 collaboratori e al 7% in quelle con meno di 25.
Inoltre è interessante notare che all’interno degli accordi che regolamentano la conversione del Premio di Risultato è prevista, mediamente, una maggiorazione dell’importo pari al 20% qualora si scelga il welfare.
La frammentazione del sistema italiano
L’indagine di Confindustria descrive quindi un contesto produttivo italiano in cui non solo la retribuzione media dei lavoratori cresce, ma dove si diffondono sempre di più i benefit e gli strumenti che vanno ad integrarla.
I dati e le informazioni riportate vanno però contestualizzate. L’indagine prende infatti in considerazione esclusivamente alcune aree del Nord e del Centro-Nord dove la produttività è molto elevata. L’Italia è però caratterizzata da una forte frattura territoriale dal punto di vista economico e industriale ed è perciò molto difficile che la crescita retributiva qui analizzata si riscontri anche nel resto del Paese.
Inoltre, si deve considerare che si parla di alcuni settori specifici – cioè quelli che interessano maggiormente le imprese iscritte alla confederazione degli industriali – come il comparto manifatturiero e quello dei servizi alle imprese. Questi sono notoriamente settori in cui le innovazioni contrattuali, come il welfare aziendale, si diffondono maggiormente.
In tema welfare, appare poi evidente anche il gap esistente tra le piccole e le grandi organizzazioni. Le realtà che contano meno di 25 dipendenti sembrano di fatto avere minori possibilità di introdurre strumenti legati al benessere e all’armonizzazione dei tempi di vita e di lavoro.
Per questo motivo è cruciale continuare a fare leva su quegli strumenti che possono favorire una diffusione più inclusiva del welfare aziendale e degli altri istituti contrattuali innovativi. Nel corso degli ultimi mesi il nostro Laboratorio ha voluto raccontare e valorizzare una serie di esperienze che – attivando filiere di produzione di valore (economico e sociale) corte – sembrano essere in grado di limitare la frammentazione e le disuguaglianze.
Abbiamo quindi iniziato a mettere a tema le prospettive del welfare aziendale territoriale (o “a filiera corta”) e abbiamo scelto di raccontare alcune storie che mettono in luce le peculiarità di questi interventi.