Il welfare aziendale è stato uno dei grandi assenti nella Legge di Bilancio 2023. Dopo l’aumento temporaneo dei fringe benefit 1 a 3.000 euro (di cui vi abbiamo parlato nel dettaglio qui), e il dibattito che ne è seguito, ci si aspettava un intervento da parte del Legislatore, anche e soprattutto per dirimere una volta per tutte l’annosa questione della soglia esentasse dei fringe. Non è andata così. E questo non è sicuramente d’aiuto per quelle imprese decise ad investire nel welfare aziendale.
Proprio per questo appare prioritario che quest’anno siano previsti interventi che rivedano la normativa sul tema. Di seguito capiamo perché approfondendo i dati sul welfare aziendale, offrendo alcune riflessioni sui fringe benefit e, infine, indicando alcuni interventi che potrebbero essere assunti nel corso di quest’anno.
Welfare aziendale, un fenomeno sempre più diffuso
Come ha evidenziato anche Emmanuele Massagli, Presidente di ADAPT e di AIWA, l’associazione italiana dei provider di welfare aziendale, la scelta di non occuparsi della normativa dedicata alle misure e ai servizi che le organizzazioni forniscono ai propri collaboratori già nella Legge di Bilancio è difficile da comprendere data la sempre maggiore diffusione di questo fenomeno.
Oggi il welfare di origine occupazionale è infatti presente in 10 Contratti collettivi nazionali tra quelli sottoscritti dalle sigle sindacali Cgil, Cisl e Uil. In totale interessano 2.416.647 lavoratori, impiegati in 159.360 imprese. A livello di contrattazione di secondo livello, invece, secondo le principali stime – come quelle di OCSEL per Cisl e Fondazione di Vittorio per Cgil – il welfare aziendale interessa circa 1 contratto aziendale e territoriale su 3.
Ulteriori dati del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, aggiornati al dicembre 2022 – riportati di recente anche da SlowNews per il progetto ABNE – A Brave New Europe su Slow News – evidenziano che su 13.608 accordi “premiali” attivi 8.261 prevedono misure di welfare aziendale (il 60,7%). I lavoratori beneficiari di prestazioni di welfare attraverso i contratti di secondo livello sono in totale 2.572.732 (figura 1).
È invece più complesso quantificare le formule di welfare aziendale diffuse unilateralmente, cioè dalle aziende senza il coinvolgimento delle parti sociali. Secondo le stime di AIWA, l’Associazione Italiana Welfare Aziendale, sarebbero circa 10.000 le imprese che adottano questa modalità di fruizione dei beni e servizi di welfare: i lavoratori interessati sarebbero dunque 2,2 milioni.
Dalle stesse ricerche emerge come la diffusione del welfare aziendale ricalchi alcune delle linee di frattura economiche, sociali e territoriali che da decenni caratterizzano il sistema produttivo e del mercato del lavoro italiano. Il welfare tende infatti a concentrarsi nelle grandi imprese, nelle multinazionali e nelle organizzazioni multi-localizzate, ad affermarsi con intensità variabile nei diversi settori produttivi (a discapito dei comparti, come quello agricolo e quello edile), nonché ad essere più diffuso nelle Regioni del Nord, rispetto a quelle del Centro e, in particolar modo, del Sud (se si desidera approfondire questo tema, si rimanda al Quinto Rapporto sul secondo welfare).
L’enfasi (eccessiva) sui fringe benefit
Guardando alla normativa, dopo anni di interventi importanti dal 2020 in poi il Legislatore sembra aver ridotto il welfare aziendale ai soli fringe benefit. La soglia di deducibilità dei fringe è stata infatti temporaneamente raddoppiata (sempre con scadenza entro l’anno di riferimento) nel 2020 e nel 2021; e anche nel 2022 è stata alzata prima a 600 euro e, successivamente, a 3.000 euro. In assenza tuttavia di interventi strutturali sulla materia nel suo complesso.
Come spiegato qui, i fringe benefit possono essere un’opportunità per molte imprese che vogliono sperimentare il welfare aziendale. Si tratta infatti di uno strumento semplice, adottabile anche dalle piccole realtà con meno possibilità organizzative richieste per lo sviluppo di piani strutturati. C’è però il rischio che questi buoni siano utilizzati dalle aziende come una “compensazione” della retribuzione, piuttosto che come utile occasione per accedere a servizi di natura sociale. C’è infatti differenza nell’utilizzare la quota di fringe per voucher spesa e carburante, o comunque altri benefit “accessori”, oppure per servizi riguardanti la famiglia, la cura, l’assistenza e il work-life balance.
In questo senso, come evidenziato anche dall’Associazione dei provider AIWA, l’aumento della soglia fino a 3.000 è stato un errore che rischia di svilire gli interventi di natura sociale. In un’intervista a Secondo Welfare, Massagli ha recentemente affermato: “dato che, in media, il budget welfare di un lavoratore è di circa 800/1.000 euro i fringe benefit dovrebbero essere portati ad un valore annuale massimo di 600 euro”.
Gli operatori del settore sottolineano la centralità del ruolo dei fringe benefit e del welfare per imprese e lavoratori. A questo riguardo Fabrizio Ruggiero, Amministratore Delegato di Edenred Italia, ci ha detto che ”il senso di innalzare a 3000 euro la soglia dei fringe benefit nel 2022 è stato coerente con l’eccezionalità del momento, con la necessità di offrire un aiuto immediato alle famiglie, oggi bisogna pensare a medio-lungo termine superando la logica emergenziale. Sappiamo quanto i fringe benefit contribuiscaono in maniera efficace ad aumentare il potere d’acquisto dei lavoratori e a offrire un supporto economico per affrontare un ampio panorama di bisogni legati alla vita quotidiana, soprattutto se inseriti in un contesto più ampio di welfare aziendale”.
“Oggi il benessere in azienda ha assunto un ruolo rilevante, sono sempre di più in Italia le organizzazioni virtuose che credono in questo strumento, sia come asset strategico che come soluzione per favorire la conciliazione vita-lavoro. Per il 2023, dopo il bonus benzina rinnovato a 200 euro on top, ci aspettiamo l’innalzamento e la stabilizzazione a livello normativo della soglia esentasse dei fringe benefit. Strumento che se valorizzato e utilizzato in un’ottica integrata all’interno di piani articolati, è capace di svolgere un ruolo sociale ancora più efficace”.
Quali soluzioni per rilanciare il welfare aziendale nel 2023?
Alla luce di quanto sopra riportato, di seguito avanziamo alcune idee per il futuro del welfare aziendale italiano allo scopo di rendere queste misure e servizi più accessibili a imprese e lavoratori/trici.
Innanzitutto ci sembra saggio strutturare definitivamente una nuova soglia dei fringe benefit a 600 euro, in modo da aggiornare una normativa che risale al 1986 (!), che sia quindi coerente con l’aumento dell’inflazione dell’ultimo anno e che, soprattutto, superi il ricorso a misure una tantum come avvenuto negli ultimi anni. Inoltre si potrebbe facilitare l’utilizzo dei fringe per prestazioni e misure sociali e sanitarie. Inserendo queste voci tra quelle che possono usufruire del vantaggio fiscale, si potrebbe ad esempio promuovere dei “voucher welfare” o delle “welfare card” destinati all’acquisto diretto ed esclusivo di servizi sanitari, per i figli e la famiglia o per il sostegno a familiari anziani e non autosufficienti.
In questa direzione sono nate già alcune esperienze. Proprio a seguito dell’aumento dei fringe a 3.000 euro, la piattaforma welfareX® ha creato i Social Fringe Benefit. Si tratta di buoni di diverso taglio – da 100, 200 e 500 euro – che danno la possibilità ai dipendenti delle aziende di acquistare dei servizi gestiti esclusivamente dai consorzi e dalle cooperative sociali di cui si avrà necessità.
Sarebbe poi necessario valorizzare percorsi destinati alla rilevazione e all’ascolto dei bisogni dei lavoratori e delle lavoratrici. Un fronte su cui da qualche tempo sta lavorando anche Secondo Welfare, che con Walà ha sviluppato WIN – What I Need, uno strumento pensato per raccogliere con una metodologia innovativa le necessità di chi lavora. Si potrebbero prevedere così degli sgravi fiscali per questi interventi e per strumenti e/o figure professionali – come il Welfare Manager o l’Assistente sociale di fabbrica – che puntano a “facilitare” l’attivazione di misure di welfare attente ai bisogni dei lavoratori.
C’è poi la dimensione della flessibilità organizzativa e in primis lo smart working. La pandemia ha dimostrato che molte organizzazioni e collaboratori non intendono tornare indietro rispetto alla previsione di una maggiore flessibilità dei tempi lavoratori. Per questo sarebbe auspicabile incentivare quelle aziende che avviano nuove sperimentazioni in questa direzione, come quella della settimana lavorativa di 4 giorni, collegandole esplicitamente a piani di welfare.
Infine, si dovrebbero prevedere sgravi fiscali e incentivi per quelle imprese che fanno welfare “in rete”, anche e soprattutto con il territorio. Facciamo riferimento a quelle iniziative che – attraverso la contrattazione, la collaborazione tra le parti sociali e la costituzione di reti di impresa o multi-stakeholder – puntano a coinvolgere il tessuto economico locale, il Terzo Settore e l’attore pubblico, allo scopo di creare servizi per i lavoratori, le loro famiglie e, in alcuni casi, anche per il territorio.
Recentemente vi abbiamo raccontato un’esperienza parmense in cui una rete di aziende del territorio 2 ha dato origine al progetto WellDone, allo scopo di diffondere conoscenza e cultura proprio intorno al tema del welfare d’impresa. L’obiettivo di questa iniziativa è proprio quello di “fare rete per fare welfare”: si tratta perciò di uno di quegli interventi che andrebbero sostenuti e incentivati a livello economico e fiscale.
Attraverso questo welfare aziendale territoriale (o “a filiera corta”) si può infatti facilitare la diffusione delle pratiche di welfare nelle organizzazioni che, per dimensioni o per settore di appartenenza, hanno meno opportunità. Inoltre si possono coinvolgere in modi diversi gli stakeholder del territorio, generando così un circolo virtuoso per tutto il tessuto economico e sociale locale.
Vedremo se e come nei prossimi mesi il Legislatore saprà cogliere queste necessità, che appaiono non più rimandabili alla luce dei cambiamenti avvenuti negli ultimi anni e alle richieste che arrivano dal mondo produttivo. E non solo.
Note
- Misure che riguardano una vasta gamma di servizi e soluzioni che le imprese possono destinare ai propri dipendenti, godendo di specifici benefici fiscali. Tra le formule più comuni ci sono: card o voucher acquisto da spendere presso catene commerciali o negozi (anche della grande distribuzione online), buoni benzina, beni e servizi connessi allo sviluppo della mobilità sostenibile, polizze assicurative.
- Al momento, anche grazie al coordinamento dell’associazione Parma, io ci sto!, hanno aderito alla rete il Gruppo COLSER-Auroradomus, il Gruppo Chiesi, Davines, Dallara, Crédit Agricole, Caruso, Caffeina, Manpower, Ad Store, Parmacotto Group, FoodLab, Lincotek, Stern Energy, Pizzarotti, Delicius e GSK Italia.