Fino a ora il piano Industria 4.0 ha scontato una visione ingegneristica e tecnologica delle trasformazioni di impresa, in un contesto di manifattura che sembra ancora orientato al passato e che, anche per questo, non ha trovato sponda in una corrispondente evoluzione dei modelli contrattuali di riferimento. Inutile parlare di un investimento sulle competenze senza un parallelo intervento sui cambiamenti legati alla organizzazione del lavoro, alla trasformazione del rapporto uomo-macchina, alla gestione del personale e agli altri profondi cambiamenti di natura non tecnologica, ma che della tecnologia sono presupposto e conseguenza.
Rischia pertanto di rimanere sul piano delle buone intenzioni l’idea di investire sulle competenze delle persone senza procedere contestualmente a un robusto investimento sulle infrastrutture che abilitano i nuovi modelli di impresa prima ancora delle tecnologie di nuova generazione. Il tema, da mettere al centro del confronto, è il rinnovamento dei sistemi di welfare e di relazioni industriali che restano ancorati a un modello di economia e di società tipico del Novecento industriale e che devono invece ora contaminarsi e rinforzarsi vicendevolmente.
Pensiamo solo, in questa prospettiva, alle enormi potenzialità del welfare aziendale, a un più maturo e consapevole utilizzo nella contrattazione di prossimità delle misure di incentivazione fiscale per la welfarizzazione del premio di risultato e anche alla leva strategica dei fondi interprofessionali una volta liberati da inutili vincoli pubblicistici e burocratici che ne frenano uno sviluppo coerente ai processi di Industria 4.0. È questa la strada obbligata per incidere profondamente sulle dinamiche della produttività del lavoro e non solo su quelle redistributive fino al punto di concorrere alla riscrittura sostanziale dello scambio lavoro contro retribuzione e non semplicemente delle sue regole formali.
Industria 4.0 e il nuovo welfare
Michele Tiraboschi, Il Sole 24 Ore, 17 gennaio 2018