Siemens è una delle maggiori realtà industriali presenti nel nostro Paese; ha un giro d’affari di 2 miliardi di euro e conta circa 3.200 collaboratori. Mossa dalla convinzione che il welfare aziendale sia uno strumento per incrementare il benessere delle persone e, al contempo, sia un’importante leva competitiva, Siemens offre diverse iniziative orientate alla valorizzazione della persona nel contesto lavorativo (ne avevamo già parlato qui). Coerentemente con questa impostazione, l’azienda è stata tra le prime in Italia ad introdurre lo smart working all’interno della propria organizzazione, con un progetto pilota avviato nel 2011. Dopo 6 anni di sperimentazione e la firma dell’accordo sindacale, il 1° gennaio 2018 il lavoro agile è stato esteso a tutti i collaboratori. A un anno da questo passo, Federica Fasoli, Head of HR di Siemens Italia, ci ha raccontato il percorso fatto da Siemens.
Quali sono le motivazioni che hanno spinto Siemens Italia allo sviluppo di un progetto di smart working già nel 2011?
Lo smart working è stato concepito sin da subito non soltanto come una iniziativa di welfare, anche se certamente ha un impatto positivo sul fronte della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei collaboratori, ma come strumento utile per migliorare la nostra competitività. Nella nostra azienda trattiamo prodotti innovativi, lavoriamo sullo sviluppo di tecnologie e soluzioni digitali. La tradizionale rigidità oraria è in totale contraddizione rispetto ad un lavoro orientato all’innovatività dei prodotti, alla ricerca, al costante affiancamento che garantiamo ai nostri clienti. Per noi da sempre ciò che conta davvero sono gli obiettivi raggiunti, non le ore trascorse in ufficio. Lo smart working quindi è il modello organizzativo coerente al modo di lavorare che da sempre ci caratterizza.
L’introduzione dello smart working ha dunque contribuito a sviluppare in azienda processi organizzativi innovativi?
Lo smart working ha accelerato l’implementazione di un modello di lavoro moderno che, per le ragioni che ho appena spiegato, era già un obiettivo cui tendere. Si è trattato quindi di una manovra sinergica e siamo partiti con la forte convinzione che, soltanto se implementato sul serio, lo smart working sarebbe potuto diventare parte integrante di un Business Model orientato all’innovazione. Per questo il pilota è partito da subito prevedendo flessibilità 7 giorni su 7 e libera scelta da parte dei manager sul modello da realizzare.
Personalmente credo che in Italia si faccia fatica a far decollare lo smart working perché, dalla maggior parte delle organizzazioni, viene elargito come un “regalo”, una concessione per equilibrare vita e lavoro e non come uno strumento che può far crescere l’azienda.
Dal progetto pilota siete arrivati nel 2017 alla firma dell’accordo sindacale. Qual è stato il percorso che vi ha portato fin qui?
Il pilota è partito con il coinvolgimento di 200 smart worker individuati prevalentemente, ma non esclusivamente, tra i collaboratori che rivestivano ruoli amministrativi. La sperimentazione si è rivelata estremamente efficace ed è stata progressivamente estesa alle divisioni di business fino a raggiungere, nel 2015, 1800 lavoratori. A quel punto si è deciso di coinvolgere i sindacati e di allargare il lavoro agile a tutti. A giugno 2017 è stato firmato l’accordo e dal 1° gennaio 2018 lo smart working è diventato “il” modello organizzativo di Siemens.
Ciò che fin da subito abbiamo rilevato è che questa modalità di lavoro flessibile ha aumentato la nostra competitività sul mercato e ha sviluppato un approccio imprenditoriale nelle persone; i questionari erogati ogni due anni ai dipendenti confermano inoltre il benessere che si è generato. Il nostro approccio è “lavora dove e quando vuoi, ma lavora bene”, con responsabilità e imprenditorialità e su obiettivi condivisi col responsabile e con i colleghi. Questo radicale cambiamento culturale ci incentiva ad essere più autonomi e responsabili rispetto alle attività di lavoro, con l’obiettivo non secondario di migliorare il bilanciamento tra lavoro e vita privata.
In che modo l’azienda ha accompagnato management e collaboratori al cambiamento? Quali sono state le reazioni?
Inizialmente si sono generati incredulità e sospetto, reazioni tipiche nel momento in cui vengono meno i tradizionali vincoli di lavoro. Per questo abbiamo investito in un’importante attività formativa e informativa. E’ però nella prassi che manager e collaboratori hanno potuto trovare conferma della verità di ciò che era stato proposto, sul fronte del miglioramento del clima aziendale, della produttività e dei risultati.
A seguito della firma dell’accordo sindacale abbiamo ritenuto fondamentale proporre nuovamente la formazione – che continua tuttora – in particolare per i manager che, venuta meno la leva del controllo della presenza, hanno avuto la possibilità di approfondire un nuovo modello di leadership per la gestione dei collaboratori. Anche in questo caso la garanzia dei risultati ottenuti si sta rivelando lo strumento più efficace per convincerli della validità dell’iniziativa.
Sul fronte dei lavoratori generalmente i cambiamenti organizzativi mettono in difficoltà la popolazione aziendale, penso in particolare – nel caso dello smart working – al venir meno della postazione fissa di lavoro. Come hanno vissuti i vostri collaboratori questa fase di adattamento?
Il nostro piano di smart working prevede che non ci siano più uffici e scrivanie assegnate ma, proprio perché per noi non si è trattato di una politica di riduzione dei costi ma di un investimento per migliorare l’approccio al mercato, non è stato ridotto il numero di scrivanie, perciò chi lo desidera può recarsi quotidianamente in ufficio. È indice di un equilibrio nelle modalità di utilizzo dello smart working il fatto che, nelle mense aziendali, il numero medio di pasti quotidiani consumati non si è ridotto. Questo non significa che nessuno lavora in smart working ma che se ne fa un uso equilibrato e responsabile.
Abbiamo citato più volte le rappresentanze sindacali: in che modo il loro coinvolgimento è stato un valore aggiunto nella stesura dell’accordo?
Azienda e sindacato si sono trovati concordi sull’idea di normare quello che fino al 2016 era una politica su base volontaria. Quando Siemens ha proposto alle rappresentanze sindacali di fare l’accordo ha trovato una controparte collaborativa, nonostante non sia stato semplice stilarlo. Sono stati necessari parecchi mesi di confronto, ma entrambe le parti hanno collaborato attivamente e responsabilmente per favorire il futuro di successo dell’azienda e conseguentemente dei lavoratori. Nel rendere lo smart working una prassi aziendale, il grande consenso del sindacato ha aiutato inoltre nella fase di diffusione e informazione sull’iniziativa e, anche oggi, supporta l’azienda osservando e raccogliendo i punti di vista dei lavoratori. Non è stato previsto infatti un sistema di monitoraggio strutturato – proprio per garantire la natura flessibile dello strumento – ma la verifica costante sull’andamento del processo viene fatto dal team HR, presente nelle singole divisioni, in affiancamento ai sindacati. Il confronto con l’azienda è garantito inoltre dal tavolo sindacale che, come previsto dall’accordo, si riunisce una volta all’anno per raccogliere l’input dei lavoratori.
La vostra esperienza dimostra come, se adeguatamente governato, lo smart working sia una leva per ripensare – in un’ottica di maggior produttività e benessere – l’organizzazione, le relazioni e persino gli spazi
È doveroso al riguardo citare Casa Siemens, la sede milanese del quartier generale di Siemens Italia inaugurata nella primavera di quest’anno in via Vipiteno. Il nuovo palazzo realizza, anche sul fronte dell’infrastruttura real estate ed IT, il modello smart working. Con il lavoro agile infatti cambia il modo di concepire il lavoro ma cambiano anche gli spazi all’interno degli uffici dotati di connettività e tecnologie che privilegiano il concetto “mobile first”. Sono così stati previsti numerosi luoghi progettati per finalità e modalità di lavoro diverse: aree silenziose per attività di concentrazione, spazi di creatività, aree di interazione, Think Tank, numerose sale riunioni e molto altro.