Martedì 22 settembre a Roma è stato presentato il Rapporto 2020 di Welfare Index PMI – promosso da Generali Italia con la partecipazione di Confindustria, Confagricoltura, Confartigianato e Confprofessioni – che ha analizzato il livello di welfare attraverso 6.500 “interviste” ai responsabili di piccole e medie imprese italiane. Il documento di quest’anno, tra le altre cose, si è concentrato sull’impatto della pandemia di Covid-19 sul tessuto imprenditoriale del nostro Paese e ha cercato di comprendere quali sono stati i suoi effetti sul fronte delle politiche di welfare aziendale.
I principali risultati dell’indagine
Come negli anni precedenti, Welfare Index PMI ha intesto raccogliere informazioni sul ruolo del welfare nelle imprese con meno di 1.000 dipendenti, invitando il management e i responsabili aziendali di tali realtà a rispondere ad un questionario (o a un’intervista telefonica). I dati riportati di seguito risentono dunque della peculiare modalità di campionamento. Nel momento in cui si prende in considerazione un campione volontario di imprese si dà infatti per scontato che chi partecipa all’indagine sia già a conoscenza di cos’è il welfare aziendale e, allo stesso tempo, sia probabilmente esperto, o quanto meno consapevole, del ruolo che questo può giocare sotto diversi punti di vista.
Fatta tale premessa, i dati sui comportamenti delle PMI del nostro Paese sul piano del welfare e delle politiche di conciliazione appaiono molto interessanti. Il rapporto si propone infatti di monitorare le iniziative delle imprese – di tutti i settori produttivi e tendenzialmente di tutte le classi dimensionali – suddividendole in dodici aree: previdenza integrativa, sanità integrativa, servizi di assistenza, polizze assicurative, conciliazione vita-lavoro, sostegno economico, formazione, sostegno all’istruzione di figli e familiari, cultura e tempo libero, sostegno ai soggetti deboli, sicurezza e prevenzione, welfare allargato al territorio e alle comunità.
Dal Rapporto emerge che nel corso degli ultimi 4 anni le imprese hanno incrementato tanto l’ampiezza quanto l’intensità delle iniziative di welfare adottate rispetto alle 12 aree identificate. Le imprese "attive", cioè con iniziative in essere in almeno 4 aree, nel 2016 erano il 25%; in soli quattro anni sono più che raddoppiate, raggiungendo il 52%. Ancor più significativa è la crescita delle imprese "molto attive", cioè con iniziative in almeno 6 aree: queste sono infatti triplicate, passando dal 7% nel 2016 al 22% nel 2019 (figura 1).
Figura 1
Fonte: Welfare Index PMI 2020
Il report evidenzia come le imprese di grandi dimensioni siano "avvantaggiate" in materia di welfare: nelle realtà con più di 250 addetti quelle definite come “molto attive” (con attività che coprono almeno 6 aree di intervento) sono oltre il 70%. Nelle organizzazioni con meno di 10 dipendenti è invece molto difficile trovare un piano di welfare ricco e strutturato: c’è da dire però che nel corso degli ultimi 4 anni si è registrata una crescita generale delle imprese “molto attive”, indipendentemente dal numero di addetti. Da notare è anche la forte diffusione del welfare aziendale tra le imprese del Terzo Settore, che fin dal 2016 dimostrano tassi molto più alti rispetto agli altri settori economici e che si sono mantenuti costanti nel tempo (figura 2).
Figura 2
Fonte: Welfare Index PMI 2020
Di seguito, risulta di particolare interesse osservare le prestazioni più diffuse tra le imprese intervistate (figura 3). In generale, ci sono due aree di intervento che fanno rilevare un tasso di iniziativa superiore al 50%: sicurezza e prevenzione degli incidenti sul luogo di lavoro (59%, escludendo gli interventi obbligatori per legge) e misure per favorire la conciliazione vita-lavoro e la genitorialità (51%). Vi sono poi cinque ambiti che raggiungono percentuali che vanno dal 30% al 50%: si tratta delle coperture assicurative (45%), la formazione per i dipendenti (43%, esclusa la formazione professionale obbligatoria), la sanità integrativa (42%), il sostegno economico ai dipendenti (35%) e la previdenza integrativa (31%, considerando le sole iniziative non obbligatorie).
Le aree restanti sono meno “mature”: il welfare allargato alla comunità, per i servizi di assistenza e le iniziative di inclusione sociale hanno tassi di iniziativa vicine al 20%, mentre le aree della cultura e tempo libero e del sostegno all’istruzione dei figli intorno al 10%
Figura 3
Fonte: Welfare Index PMI 2020
Per quanto riguarda le fonti attraverso le quali il welfare viene introdotto in azienda, come evidenziato dalla figura 4, sembra esserci una netta prevalenza degli strumenti che non prevedono la partecipazione del sindacato (come l’atto liberale e il regolamento aziendale). Ciò fa riflettere circa il potenziale ruolo che le rappresentanze potrebbero avere nella strutturazione del piano di welfare e su quelli che invece possono essere gli effetti del loro scarso coinvolgimento. Come vi abbiamo raccontato qui, il dialogo tra le parti sociali consente infatti di facilitare alcuni passaggi essenziali nello sviluppo del welfare aziendale. Si pensi ad esempio al ruolo delle rappresentanze nei percorsi di formazione e di coinvolgimento dei lavoratori, oppure nell’analisi dei loro bisogni sociali. Il sindacato ha una posizione che gli potrebbe consentire di essere un attore strategico quando si parla di welfare aziendale invece, spesso a causa di alcuni limiti che caratterizzano sia il comparto sindacale che il tessuto produttivo e imprenditoriale italiano, esso ha ancora oggi un ruolo marginale nella contrattazione di questo fenomeno (specialmente nella contrattazione di secondo livello).
Figura 4
Fonte: Welfare Index PMI 2020
Il welfare aziendale alla prova della pandemia
In conclusione è interessante osservare quelle che sono state le risposte delle imprese del nostro Paese alle sfide poste dalla pandemia di Covid-19. Il rapporto mette in evidenza come il 79% delle aziende rispondenti abbia confermato le iniziative di welfare in corso, mentre il 28% ne ha introdotte di nuove o ha potenziato quelle esistenti. In questa direzione, le organizzazioni che avevano già una lunga tradizione nel campo del welfare hanno dimostrato di poter mettere in gioco risorse e strumenti attraverso cui anche le comunità locali hanno potuto reagire alla situazione di criticità. Tra le azioni promosse, infatti, l’80% delle realtà che hanno avviato misure nel corso del lockdown ha diffuso materiali e fornito informazioni di tipo sanitario ai lavoratori e il 12% delle imprese ha attivato canali di supporto e servizi di consulto medico e assistenza sanitaria a distanza. Il 26% ha anche attuato iniziative aperte alla comunità esterna e di sostegno al sistema sanitario nazionale (figura 5).
Figura 5
Fonte: Welfare Index PMI 2020
Come evidenziato dalla figura 6, fatta eccezione per la voce "Costi", la presenza e il rafforzamento delle azioni di welfare aziendale nel corso della crisi pandemica sembrano aver prodotto degli effetti positivi. Da un punto di vista prettamente organizzativo, invece, l’esperienza di crisi sembra aver cambiato radicalmente la cultura di gestione dell’impresa: il 91% delle imprese ha infatti dichiarato di avere acquisito maggiore consapevolezza della centralità della salute e della sicurezza dei lavoratori e oltre il 70% ha affermato che in futuro il welfare aziendale avrà maggior rilievo. Infine, il 65% ha dichiarato che l’azienda contribuirà maggiormente alla sostenibilità del territorio in cui opera.
Figura 6
Fonte: Welfare Index PMI 2020
In riferimento alle conseguenze della pandemia di Covid-19, i risultati individuati da Welfare Index PMI appaiono simili a quelli della “Open Call” promossa dal nostro Laboratorio tra marzo e maggio 2020, dalla quale è stato poi tratto il volume “Organizzazioni solidali al tempo del Covid-19” (che potete consultare qui). La survey descrive l’impatto della pandemia e del lockdown sull’andamento delle attività del sistema produttivo e, allo stesso tempo, le principali risposte di welfare aziendale e di Responsabilità Sociale d’Impresa messe in atto da aziende e parti sociali.
Riferimenti