Il prossimo potrebbe essere quello della GKN di Campi Bisanzio, la fabbrica in provincia di Firenze conosciuta per la lotta dei suoi lavoratori. La crisi dell’azienda, di proprietà del fondo di investimento Melrose, è iniziata nel luglio 2021, con l’annuncio della chiusura dell’impianto, i licenziamenti e il presidio degli operai, che dura ancora oggi. A oltre un anno e mezzo di distanza, una delle soluzioni che si prospettano per dare un futuro allo stabilimento e alle sue centinaia di dipendenti potrebbe essere un workers buyout, uno strumento che nel nostro Paese ha una storia decennale e una diffusione tra le più grandi d’Europa.
Lavoratori imprenditori
Un workers buyout, o WBO, secondo Eurofound, è un processo di ristrutturazione in cui i dipendenti acquistano la maggioranza o la totalità delle quote di proprietà della propria azienda e, di fatto, ne diventano i proprietari.
A seconda del quadro giuridico nazionale, i dipendenti coinvolti possono prima dover costituire una nuova entità per soddisfare i requisiti legali per l’acquisto dell’azienda originaria. Questa può essere un’associazione transitoria tra dipendenti (di solito alla ricerca di nuovi investitori) o una vera e propria nuova entità legale, di solito una cooperativa di lavoratori.
È il caso dell’Italia, dove i lavoratori dell’azienda da salvare, perché in crisi o perché il proprietario non ha intenzione di proseguire l’attività, si costituiscono in cooperativa, investono proprie risorse (generalmente ricorrendo a Naspi, cioè l’indennità mensile di disoccuapazione, o TFR, il Trattamento di fine rapporto) e subentrano nella proprietà.
Dall’approvazione della cosiddetta legge Marcora nel 1985, questi interventi possono essere sostenuti dallo Stato, attraverso CFI, una partecipata dal Ministero dello Sviluppo Economico che ha proprio il compito di accompagnare, anche economicamente, queste realtà. Tra 2011 e 2021, CFI ha sostenuto 88 WBO per un totale di 2.286 lavoratori. Una nicchia, che però sembra avere potenzialità, soprattutto nei periodi di crisi, in funzione anticiclica. Lo scorso anno la partecipata, che non si occupa solo di workers buyout, ha sostenuto 31 cooperative e 1.630 lavoratori con 20,1 milioni di euro, il 48% a sostegno dei WBO.
Il progetto Small2Big
Proprio in questi giorni CFI ha annunciato l’avvio del progetto europeo “Small2Big – SMALL size equity investments TO support social enterprise in becoming BIGger”, co-finanziato dal Fondo Sociale Europeo+ nell’ambito della call Transaction costs to support social finance intermerdiares.
“Con un investimento di 8 milioni di euro, CFI sosterrà i progetti più meritevoli sviluppati sia da cooperative sociali che da workers buyout. Gli interventi su ciascuna Pmi arriveranno sino a 200.000 euro”, spiega l’organizzazione in un comunicato.
Oltre alla riduzione dei costi di istruttoria e alla riduzione della remunerazione del capitale investito a un massimo del 2% del valore dell’intervento, il progetto prevede l’erogazione di supporto professionale personalizzato e anche l’attivazione di strumenti finanziari complementari per aumentare il sostegno alla crescita dell’impresa.
“Sostenendo la capitalizzazione e la crescita anche delle realtà di minore dimensione, cercheremo di fare di CFI un vettore e un attore importante per la realizzazione di questo disegno che è parte integrante, costitutiva e qualificante, della crescita e dello sviluppo dell’Unione”, ha dichiarato il presidente di CFI Mauro Frangi.
Progetti simili, nell’ambito della stessa call, sono partiti anche Francia, Germania e Spagna. Il fenomeno WBO, infatti, non è solo italiano.
La diffusione in Europa
Anche in Europa gli esempi di aziende salvate dai lavoratori sono numerosi, ma concentrati soprattutto in alcuni Paesi. I WBO, si legge in uno studio pubblicato nel 2022 da alcuni ricercatori italiani, sono più comuni in Francia, Italia e Spagna, mentre casi più isolati si trovano in Grecia, Turchia, Finlandia e Regno Unito.
Dati comparabili tra uno Stato e l’altro sono ancora difficile da avere, ma quelli forniti dalle organizzazioni che riuniscono le cooperative nei principali Paesi UE possono aiutare a definire le dimensioni del fenomeno.
In Spagna la confederazione delle cooperative di lavoratori COCETA, per esempio, è composta da circa 17.600 cooperative di lavoratori, per un totale di oltre 305.000 posti di lavoro e, negli ultimi cinque anni, ha sostenuto oltre 500 workers buyout.
Anche in Francia, i WBO sono diffusi. Secondo i dati della Confédération générale des Scop, delle 300 nuove cooperative create nel Paese lo scorso anno, l’8% è nato dall’acquisizione di un’azienda in difficoltà mentre il 15% dal trasferimento di un’azienda sana, una possibilità che in Italia è poco diffusa. Quasi un quarto delle nuove realtà nate sono quindi workers buyout.
Risorse per i WBO: il piano UE
Per far conoscere anche questa opzione e per diffondere, più in generale, lo strumento WBO, la Commissione UE e la Banca europea per gli investimenti (BEI) hanno organizzato lo scorso 14 marzo un workshop sul tema, nell’ambito del più ampio evento “FI CAMPUS 2023 – Financial instruments in changing times”.
“Di solito – hanno spiegato gli organizzatori – i WBO si verificano in aziende di piccole dimensioni e implicano una quantità significativa di debiti, spesso garantiti dai beni dell’azienda”. Da qui, l’idea di “gettare le basi per sostenere i WBO attraverso gli strumenti finanziari del Fondo Sociale Europeo+ come modo per preservare i posti di lavoro e le competenze della forza lavoro dell’UE”.
Il tema vale anche per l’Italia. “Le nostre risorse finanziarie sono attualmente in grado di soddisfare la domanda. Ma rischiano di diventare insufficienti in caso di WBO di dimensioni maggiori o di un numero maggiore di operazioni per anno, che sono gli obiettivi cui tendiamo”, ha spiegato Alessandro Viola di CFI durante il workshop.
Tra i relatori c’era anche Alessandro Celoni di Banca Etica. L’istituto dal 2011 ha sostenuto la nascita di WBO con prestiti per un totale di otre 40 milioni di euro, pari al 3,2% del suo portfolio di crediti. Complessivamente, l’istituto ha finanziato oltre 50 cooperative, più della metà di tutte quelle create in Italia tramite workers buyout. “Potremmo definirci i leader del settore” ha detto in tono scherzoso Celoni che, tornando serio, ha ragionato anche sulle chiavi di successo per i WBO. “Il problema non è finanziare l’avvio dei workers buyout, ma il bisogno di investitori, visto che in Italia parliamo soprattutto di industrie”, ha spiegato.
“I WBO – ha concordato Viola – sono impegnativi non solo nella fase preliminare, che è cruciale, perché si prende la decisione di iniziare, ma anche dopo la nascita, soprattutto nei primi due anni”. L’auspicio è che il sostegno del Fondo Sociale Europeo+ possa arrivare proprio in questi momenti. Commissione Ue e BEI dicono di lavorare per questo. Per cominciare, verrà realizzata una ricerca sui WBO nell’Unione Europea. Un primo passo per conoscere meglio queste realtà e, quindi, migliorare le modalità con cui possono essere sostenute.