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Che ruolo hanno oggi le persone all’interno dell’organizzazione? Quanto pesano le loro esigenze rispetto alla strategie complessive? Come e quanto è possibile andare incontro alle loro esigenze? Sono le domande che sempre più imprese si stanno ponendo per ripensare il modo di rapportarsi con i propri collaboratori.

Lavoratrici e lavoratori danno infatti molta più attenzione ad aspetti che prima erano poco considerati quando si parlava di lavoro. Conciliazione dei tempi, welfare, benefit, benessere e felicità: sono i concetti che oggi risultano centrali per chi lavora, spesso anche più di stipendio e stabilità lavorativa.

Sul nostro portale segnaliamo da tempo questo cambiamento in atto, che ora sembra confermato da alcune ricerche di recente pubblicazione che indicano una rinnovata “centralità della persona” e, quindi, una nuova logica che regola la relazione tra l’organizzazione e le sue persone. In cui il welfare aziendale potrebbe giocare un ruolo importante. Ma andiamo con ordine.

Una nuova visione del lavoro?

Secondo il recente 7° Rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale1, il 93,7% dei lavoratori e delle lavoratrici occupati in Italia considera molto importante il benessere e la felicità quotidiana. Sulla base dei dati raccolti, per incrementare il benessere è  anzitutto necessario dedicare più tempo a sé stessi e alla propria famiglia. In questo senso, l’82,8% del campione del Censis si è dichiarato più attento rispetto al passato al proprio benessere psicofisico, alla sua salute, alla gestione dello stress e alle relazioni.

Le persone al centro: come cambia il welfare aziendale dopo la pandemia

Secondo il Censis, il lavoro non occupa più una posizione centrale nella vita delle persone come accadeva in passato e non basta a definire la posizione sociale di una persona. Non stupisce dunque che l’87,3% degli occupati ritiene un errore fare del lavoro il centro della propria vita. Inoltre per il 52,1% il lavoro oggi influenza meno la vita privata rispetto al passato. Anche per questo, il 67,7% degli occupati vorrebbe ridurre il tempo dedicato all’attività lavorativa nel prossimo futuro.

Questi dati sono probabilmente collegati al fatto che sempre più persone si dichiarano insoddisfatte del proprio lavoro. Questo dipende da più fattori. Da un lato c’è la retribuzione: per il 62% degli occupati e delle occupate il proprio stipendio non consente di realizzare le proprie ambizioni ed è perciò inadeguato alle proprie aspettative. Dall’altro la posizione lavorativa: il 43,1% di lavoratori e lavoratrici ritiene di ricoprire una posizione inferiore rispetto al titolo di studio o alle competenze.

La felicità e il lavoro

Risultati e spunti molto simili arrivano poi dalla quarta edizione della ricerca promossa dall’Associazione Ricerca Felicità 2024. Stando all’indagine, che ha coinvolto 1.000 persone attive nel mercato del lavoro attraverso interviste2, solo il 49% del campione si ritiene felice del proprio lavoro. Tale percentuale è particolarmente negativa tra i lavoratori e le lavoratrici del Nord-Ovest (46%), tra i colletti blu3 (44%) e tra i più giovani (44%) (figura 1).

Figura 1. L’indice di felicità per il proprio lavoro. Fonte: Associazione Ricerca Felicità, 2024

A ciò è collegato il fatto che al 45% degli intervistati piacerebbe avere la possibilità di cambiare azienda o mestiere nei prossimi 12 mesi. In merito, secondo Sandro Formica, VicePresidente e Direttore scientifico dell’Associazione Ricerca Felicitàil lavoro ha un ruolo attivo nell’alimentazione della felicità. Dalla nostra ricerca emerge chiaramente uno scollamento nel percepito dei lavoratori: se è vero per il 76% che il loro lavoro migliora l’azienda, non si registra invece reciprocità in termini di soddisfazione dei bisogni, che per il 35% non sono soddisfatti dal proprio lavoro. Man mano che viene data centralità al lavoratore, lo scollamento si fa ancor più esplicito: per il 41% il lavoro non dà un senso alla vita, per il 47% non aiuta a capire sé stessi”.

Alla domanda relativa agli aspetti considerati più importanti per la ricerca di un nuovo lavoro, gli intervistati hanno risposto che al primo posto c’è quello che la ricerca definisce come empowerment (30%), concetto che fa riferimento alle opportunità di crescita, al contenuto del lavoro, all’autonomia, alle aspirazioni e all’attenzione alla salute mentale. Successivamente, lo stipendio e il welfare incidono per il 24%; di seguito, si trovano flessibilità e work-life balance, che incidono per il 23%, mentre la comunità di lavoro, che contempla le persone, i valori e l’essere apprezzati, è importante per il 20%.

Il ruolo potenziale del welfare aziendale

Come visto, dunque, gli esiti di queste ricerche mettono in luce un nuovo modo di intendere e concepire il lavoro e l’attività lavorativa. Sono sempre di più le persone che mettono al primo posto il loro benessere e le loro esigenze: rispetto al passato è meno importante una posizione lavorativa stabile, in grado di fornire una retribuzione elevata e prestigio. Si stanno perciò affermando nuove logiche e nuove dimensioni a cui viene posta attenzione anche nell’ambito lavorativo.

In questo quadro, come detto, le organizzazioni sono chiamate ad affrontare queste nuove esigenze e non farsi trovare impreparate. Nello specifico devono essere pronte a mettere in piedi risposte altrettanto nuove, in grado di coinvolgere e far sentire partecipi lavoratori e lavoratrici. Si tratta, oramai, di una vera e propria esigenza strategica, necessaria per migliorare il clima organizzativo, incrementare la produttività e limitare il turn over.

Welfare aziendale e fringe benefit: i trend attesi nel 2024

Il primo passo da fare per le imprese deve essere quello di promuovere azioni e interventi inerenti l’ascolto delle proprie persone. Questo significa avviare delle procedure per coinvolgere attivamente lavoratori e lavoratrici, specialmente se l’organizzazione ha un sistema di welfare aziendale che può essere rafforzato e migliorato per affrontare le nuove aspettative di chi lavora. In merito, ad esempio, vi abbiamo recentemente raccontato dell’interessante esperienza dei Welfare Coach di Leonardo, che ha finanziato la formazione di alcuni suoi dipendenti (operai, amministrativi, ingegneri, ecc) per svolgere una funzione di ascolto nei confronti dei propri colleghi. Queste figure, una volta a settimana si occupano di aiutare gli altri dipendenti nell’individuazione dei bisogni e delle possibili soluzioni che l’azienda mette (o può mettere) a disposizione di chi lavora.

Un’altra opportunità che può rivelarsi particolarmente utile è quella dell’analisi dei bisogni di lavoratori e lavoratrici. Come vi abbiamo raccontato in una serie di approfondimenti (che potete trovare qui) nel momento in cui un’organizzazione vuole investire nelle proprie risorse umane è necessario partire da una corretta analisi dei bisogni della popolazione aziendale. Un passo in più, dunque, rispetto al mero ascolto, che implica una conoscenza approfondita – anche e soprattutto attraverso dati quali-quantitativi aggiornati – delle necessità che le persone possono manifestare. Perché solo in questo modo è possibile elaborare degli strumenti che siano realmente efficaci.

L’ascolto dei dipendenti che favorisce l’inclusione

Grazie a questo passaggio è possibile sviluppare interventi mirati al benessere delle persone, cercando di soddisfare, per quanto possibile, i loro desideri. Non si tratta affatto di un passaggio scontato anche perché, come vi abbiamo raccontato di recente, le priorità e le necessità dei lavoratori sono in costante evoluzione. Similmente anche le organizzazioni, soprattutto mediante il proprio sistema di welfare aziendale, devono evolversi migliorando la propria capacità di ascoltare, valutare e agire di conseguenza.

 

 

Note

  1. L’indagine è stata realizzata attraverso una serie di interviste rivolte a un campione di 1.000 italiani con più di 18 anni.
  2. Le interviste sono state condotte dal 1 al 7 marzo con rilevazione CAWI (Computer  Assisted  Web Interviewing) da sistemi multipli a scelta dell’intervistato. I nominativi invitati per l’indagine provengono dai panel online di R-Dogma e dei suoi partner. L’analisi dei dati e dei risultati è stata realizzata in partnership con Research Dogma, centro di ricerca e consulenza specializzato sulle tematiche di capitale umano.
  3. Termine con cui ci si riferisce agli operai o comunque al personale che svolge un lavoro manuale più o meno qualificato all’interno di un’organizzazione, ndr.
Foto di copertina: Gustav Fringo, Pexelsitalian