L’evoluzione del Welfare Aziendale (WA) non è più dovuta solo alla diffusione e alla conoscenza delle migliori prassi o alla nuova stagione della contrattazione collettiva decentrata, così come non si deve unicamente agli interventi di sostegno e d’incentivazione di fonte normativa che nell’ultimo triennio si sono susseguiti a gran ritmo. Siamo già oltre. Siamo entrati in una fase nuova che sta conducendo le funzioni HR delle aziende e i provider delle piattaforme web che gestiscono i Piani di Welfare Aziendale (PWA) verso due ambiti disciplinari potenzialmente molto innovativi sul piano della condivisione e della co-progettazione degli interventi: la gamification e il design thinking.
Gamification e Welfare Aziendale
Semplificando un po’ le cose possiamo dire che la gamification è l’utilizzazione di tecniche e di elementi mutuati direttamente dal game-design per applicarli in contesti reali al fine di ottenere determinati risultati comportamentali. Si tratta, in sostanza, dell’uso di modalità ludiche utili per attivare un predefinito target di persone (che può essere l’obiettivo di uno specifico business o un gruppo da coinvolgere in una qualche attività) al quale far provare un maggiore coinvolgimento e divertimento nelle operazioni che quelle stesse persone sono chiamate a (o che si desidera siano in grado di) svolgere: il tutto, appunto, attraverso un gioco. Ma ciò di cui parliamo (e le sue possibili applicazioni) tutto sono tranne che un gioco: per governare queste dinamiche, infatti, occorre progettare esperienze basate su leve motivazionali intrinseche da stimolare attraverso complesse meccaniche interdisciplinari che si basano su game-design, psicologia positiva e scienze comportamentali.
Se l’approccio metodologico e progettuale è corretto “gli impatti disruptive che la gamification può avere in seno a un’organizzazione aziendale garantiscono significativi ritorni sull’investimento”. Lo sostengono gli estensori dell’”Enterprise Gamification Meter”, la prima indagine italiana sulla gamification per l’employee engagement condotta nel 2017 da Wingage analizzando un cluster di 106 aziende e realizzata in collaborazione con Fabio Viola, considerato uno dei cinque migliori gamification designer del mondo.
Ma tutto ciò cosa c’entra con il Welfare Aziendale? C’entra. E riguarda, in particolare, la tecnologia (piattaforme web e App) che caratterizza i servizi di supporto al WA offerti dai provider. Come noto queste soluzioni sono sempre più spesso richieste dalle aziende per gestire i PWA al fine di favorirne l’accesso e semplificarne la fruizione da parte dei lavoratori beneficiari. Non solo: le piattaforme di cui parliamo, almeno quelle più evolute, sfruttano modalità d’interazione che mirano a coinvolgere il lavoratore beneficiario dei PWA considerandolo anche (se non sempre di più) come un consumatore.
L’interesse per la gamification si collega allo sforzo volto a conseguire alcuni obiettivi come, ad esempio, quello di attivare comportamenti che possano alzare il livello di gradimento e il tasso di adesione ai programmi di WA e soprattutto migliorare i dati relativi alla conversione dei Premi di Risultato (PdR) in servizi di WA i quali, nonostante l’opzione sia ormai prevista in migliaia di accordi integrativi, stentano a decollare (tra le cause dei modesti livelli di “welfarizzazione” dei PdR occorre annoverare, ovviamente, la riottosità dei lavoratori a rinunciare a quote cash della loro retribuzione variabile e anche il fatto che la corresponsione del PdR in denaro, pur se fiscalmente meno conveniente rispetto alla sua trasformazione in servizi di welfare, salvaguarda pur sempre la contribuzione ai fini pensionistici).
Per migliorare la welfarizzazione dei PdR i servizi resi dal provider, opportunamente “gamificati”, potranno trasformare il beneficiario del PdR (convertibile in WA) da soggetto passivo dell’offerta di quei servizi (e come tale magari poco interessato a fruirne) a soggetto attivo (o maggiormente attivabile) e dunque più propenso a quella conversione. Questo cambio di “ruolo” potrà essere favorito, nelle attese di chi si sta muovendo in tal senso, proprio grazie all’impiego d’innovative forme d’incentivazione e di informazione che potranno spingere verso il compimento di quelle azioni che potranno condurre i partecipanti al “gioco” a maturare una maggiore motivazione alla conversione del PdR nei servizi di WA offerti dal portale gamificato dal provider.
Dalla gamification il provider (e il datore di lavoro suo committente) ne trarrà un vantaggio perché potrà ottenere un maggior tasso di conversione dei PdR inteso sia come numero di lavoratori che presceglieranno questa opzione, sia come ammontare complessivo dei PdR welfarizzati (per il provider ciò corrisponderà a maggiori ricavi posto che questi sono calcolati sul valore economico dei servizi di WA erogati dalla sua piattaforma, mentre per il datore di lavoro ciò potrà accrescere il complessivo saving di carattere fiscale e contributivo anch’esso legato ai volumi generati delle conversioni dei PdR in servizi di WA).
Un altro vantaggio (anche in tal caso reciproco, per il provider e per il datore di lavoro) deriverà dal fatto che far compiere al lavoratore determinate azioni “ludiche” comporterà l’ottenimento di specifici feedback che consentiranno di profilare con più precisione i beneficiari e capirne meglio i bisogni, permettendo una serie di successive e conseguenti azioni (anche in termini di ulteriore gamification) che mireranno ad espandere il potenziale bacino dei concreti fruitori dei servizi.
Tale impostazione non deve stupire perché è del tutto allineata a quanto sta già accadendo nelle aziende in altre aree del people management: queste tecniche, infatti, sono ormai impiegate nell’ambito del recruiting, nella gestione dei talenti e nell’attivazione di processi motivazionali e di formazione per il personale. Più in generale, poi, anche da qui potrebbe passare lo sviluppo di processi di engagement e di retention maggiormente in grado di sintonizzarsi con le aspettative e gli stili delle nuove generazioni di lavoratori: tra non molto la Generazione Y, quella dei Millennials, diventerà quella più presente nei luoghi di lavoro, mentre a tendere arriveranno le prime coorti della Generazione Z, i Post-millennials, nati e cresciuti con il digitale.
Welfare Aziendale e design thinking
Altre possibili innovazioni che potranno riguardare la progettazione dei servizi di welfare nelle aziende derivano da un’altra metodologia che si sta imponendo: il design thinking i cui effetti riescono ad incrementare sensibilmente la capacità delle organizzazioni nel prendere decisioni efficaci ed efficienti, creando condivisione tra tutti i gli stakeholder coinvolti. Tali effetti derivano dall’aver spinto i team aziendali a sviluppare liberamente il pensiero creativo dei suoi componenti sul modello, appunto, di quello di un designer. Ciò, secondo i fautori di questo approccio, produrrebbe gruppi più coesi e determinati, in grado di avere una visione dei problemi capace di far emergere con immediatezza le potenziali soluzioni innovative.
Anche stavolta ci si chiederà cosa c’entri tutto ciò con il Welfare Aziendale. C’entra. E ce lo dimostra una pratica applicazione della metodologia che si deve ad una realtà italiana molto attenta all’innovazione (come, del resto, la sua stessa denominazione sociale chiaramente evoca). E’, infatti, alla padovana Innova Srl – società specializzata in servizi di welfare aziendale e territoriale – che si deve la nascita di “WelfareDesign”, il primo laboratorio di co-progettazione dedicato al WA che utilizza come strumento un toolkit che ha l’obiettivo di accompagnare un predefinito gruppo di persone lungo un percorso d’identificazione e di selezione dei servizi di WA basato, appunto, sulla metodologia del design thinking con la quale giungere, in maniera partecipata e partecipativa, all’ideazione di nuove soluzioni centrate sui bisogni dei beneficiari dei servizi di WA.
Messo a punto grazie ad una co-progettazione che ha visto impegnati, oltre agli esperti di Innova, alcuni HR manager ed operatori del Terzo Settore, WelfareDesign, come si legge nell’omonimo sito internet, “supporta e stimola l’innovazione nelle organizzazioni in modo efficace e divertente” ed essendo il toolkit prescelto quello di un vero e proprio “gioco da tavolo” (con tanto di scatola, carte e dadi), il progetto è riuscito ad associare al design thinking anche le logiche ludiche prima richiamate (sia pure non utilizzando tecnologie informatiche il che, però, non sembra essere in contrasto con l’epoca in cui viviamo: anche Fabio Viola, il guru del game-design che abbiamo citato in precedenza, nella sua attività utilizza proprio un mazzo di carte per realizzare brainstorming e generare engagement in molteplici ambiti disciplinari).
WelfarDesign: come funziona
Una delle criticità dei PWA è quella di progettarli in maniera coerente agli obiettivi perseguiti, in primis quello della congruità dei servizi rispetto ai bisogni ai quali s’intende dare risposta. WelfareDesign si prefigge esattamente questa finalità per il cui conseguimento è prevista, anzitutto, la costituzione di un gruppo di lavoro la cui composizione è frutto di una preliminare indicazione fatta dai lavoratori dell’azienda che intende avvalersi di questo strumento di co-progettazione. I prescelti, delegati dai colleghi e supervisionati da un facilitatore esterno messo a disposizione da Innova, “giocheranno” sulla base di un modulo della durata di quattro (o al massimo otto) ore al termine del quale si riesce a pervenire ad una proposta progettuale completa.
Il “gioco” si svolge utilizzando un mazzo di carte: le “carte delle buone prassi” del WA. La consultazione di queste carte serve a dare la spinta motivazionale ai partecipanti al tavolo di lavoro e a far conoscere i possibili servizi dei quali far beneficiare i propri colleghi. Le buone prassi sono state, infatti, categorizzate nei classici ambiti nei quali si esplicano gli interventi di WA e per ciascuno di essi i partecipanti potranno riferirsi anche alle esperienze che, in ciascun campo, sono già state fatte da altre imprese che hanno investito nell’ideazione e nella realizzazione di strutturati progetti di WA.
Per fare qualche esempio: nell’ambito dei servizi per la persona e la famiglia spiccano le best practice di Corneliani e Calzedonia; nell’area dei servizi di “time saving” ritroviamo la Ferrero; quanto alle iniziative di WA che derivano da miglioramenti organizzativi del lavoro i partecipanti potrebbero pescare la carta della Tetra Pak o di UBI Banca; sulle iniziative di formazione i riferimenti sono quelli di Piscine Castiglione e di Berto’s; per l’area salute e benessere le carte delle buone prassi sono invece quelle di Thun, Ferrari e Barilla mentre per il sostegno al reddito Luxottica e Brunello Cucinelli saranno alcuni degli esempi dai quali partire. Ma non ci sono solo i “soliti noti” del WA: le “carte delle buone prassi” riportano anche esempi di virtuose e innovative PMI (come 7Pixel e Colorificio San Marco) con il che, in nessun caso, i “giocatori” appartenenti ad imprese di piccola o media dimensione potranno ritenere la propria partecipazione poco significativa rispetto all’obiettivo della definizione di un realistico progetto di WA per la propria realtà lavorativa.
Secondo Fabio Streliotto, CEO di Innova Srl, “il gioco dà un ritmo immediato al gruppo di lavoro e guida le persone nella fattiva definizione di un piano d’azione capace di essere tradotto in pratica, anche in poche ore di attività, senza rilevanti impatti sull’organizzazione delle aziende ed anzi con un notevole risparmio di tempo e di risorse rispetto alle tradizionali riunioni e con il vantaggio di avvalersi di uno strumento altamente coinvolgente”. Inoltre, sottolinea Streliotto, “WelfareDesign abbatte le barriere e mette attorno al tavolo figure solitamente lontane tra loro: il dirigente e l’operaio uniti nel gruppo di lavoro, tramite il gioco condividono un obiettivo comune che è quello di vincere la ‘partita’ costruendo il piano di welfare per la loro azienda, partendo dal basso e con in tasca la delega, ricevuta dai colleghi, a ‘giocare’ anche per loro”.
Dopo il necessario periodo di rodaggio del laboratorio, sarà interessante conoscere quali innovazioni esso avrà saputo generare e come queste si siano potute tradurre in pratica. Così come sarà interessante sapere se e come tali innovazioni avranno, poi, effettivamente incontrato il gradimento dei lavoratori beneficiari dei PWA progettati in questo modo. Se i risultati saranno quelli che Innova si attende, le esperienze man mano maturate “giocando” consentiranno di poter aggiornare le “carte delle buone prassi” affinché i “giocatori” delle successive “partite” possano essere facilitati nella progettazione di programmi ancora più avanzati che potranno arricchire sempre di più le esperienze e i progetti di WA.
Riferimenti
– Jane McGonigal, La realtà in gioco, Maggioli Editore-Apogeo Educational, Rimini, 2011
– Michael Sailer, Jan Ulrich Hense, Sarah Katharina Mayr, Heinz Mandl, How gamification motivates: an experimental study of the effects of specific game design elements on psychological need satisfaction, in “Computers in Human Behavior”, n. 69, Elsevier, Amsterdam, 2017