La storia di Faac – società italiana, specializzata in automazioni per cancelli, ingressi e porte automatiche – cambia radicalmente nel 2012, quando Michelangelo Manini, figlio unico del fondatore della Faac, Giuseppe, muore ad appena 50 anni. Senza eredi, Giuseppe Manini regala il 66% dell’azienda di famiglia all’Arcidiocesi, insieme alle proprietà immobiliari e 140 milioni di liquidità in banca.
Le linee guida indicate negli anni successivi dall’Arcidiocesi sono chiare: prima di tutto attenzione al welfare dei dipendenti. Ogni lavoratore del gruppo Faac gode di una polizza sanitaria aggiuntiva, mentre i figli dei dipendenti assunti in Italia possono usufruire di tre settimane di campo estivo gratuito. Secondo: gli utili devono restare in azienda per fare sviluppo, cioè acquisizioni per consolidare il business.
Il rapporto fra il «prima» e il «dopo» lo spiegano i numeri: quando la Faac arriva nelle mani della Chiesa è una realtà da 284 milioni di euro di fatturato, realizzato in larga parte in Italia, e un migliaio di dipendenti. Nel 2017 l’azienda chiude con un fatturato consolidato di 427 milioni di euro, i dipendenti salgono a 2.500, e 43 milioni di utile netto.
Faac: il "capitalismo nel nome di Dio" funziona
Domenico Affinito e Milena Gabanelli, Corriere della Sera, 8 novembre 2018