Recentemente l’Osservatorio sulla Contrattazione di Secondo Livello (Ocsel) di Cisl ha pubblicato il suo sesto rapporto, dal titolo “La contrattazione decentrata alla prova dell’imprevedibilità”. Il documento raccoglie un campione di accordi “di secondo livello”, cioè sottoscritti a livello aziendale e territoriale dalle imprese e dai sindacati (o dalle parti sociali) nel corso del biennio 2019-2020. Ci sembra quindi interessante mostrarvi come si è evoluta questa pratica a seguito della pandemia.
La contrattazione di secondo livello nell’anno del Covid
Come detto, il report di Cisl analizza un campione non rappresentativo di accordi; in totale si tratta di 2.827 contratti di secondo livello, di cui 922 relativi al 2019 e ben 1.905 relativi al 2020.
Grazie al documento appare chiaro come durante lo scorso anno anche la contrattazione sia stata estremamente condizionata dall’emergenza pandemica. Se, infatti, nel 2019 le parti sociali si sono concentrate – come negli anni precedenti – soprattutto su tematiche come il salario e il welfare, per il 2020 hanno dovuto sottoscrivere quasi esclusivamente accordi legati alla crisi.
Quasi il 90% dei contratti contiene infatti istituti legati alla riorganizzazione dovuta al Covid. Si tratta di soluzioni adottate dalle parti per far fronte alle difficoltà causate dalla pandemia, che cercano di proporre strumenti per permettere all’impresa di riorganizzarsi e di evitare il rischio di ridurre gli organici. Si tratta di accordi che facilitano l’accesso alla Cassa Integrazione (ordinaria o straordinaria) oppure che introducono interventi per facilitare il pensionamento dei dipendenti e attivare percorsi di ricollocazione degli esuberi in altre imprese.
Tra gli istituti più presenti ci sono poi l’orario e l’organizzazione del lavoro (entrambi presenti nel 16% del campione). Anche in questo caso si tratta di contratti che intervengono per rivedere le modalità di lavoro, con lo scopo di garantire maggiore sicurezza e ridurre i rischi
La contrattazione del welfare aziendale e la pandemia
Il welfare aziendale non sembra invece essere un elemento ricorrente tra gli accordi sottoscritti nel 2020. Se nel 2019 è proseguito il trend positivo evidenziato negli anni precedenti (qui trovate maggiori informazioni) che vede il welfare presente in circa un rinnovo contrattuale su tre, nel 2020 si può osservare una forte inversione di tendenza.
In particolare, stando al database di Ocsel, nell’anno del Covid solo il 5% (118 in totale) dei contratti e dei rinnovi sottoscritti prevede misure e benefit per i dipendenti. Di questi oltre il 42% è stipulato in aziende del Nord, il 41% in organizzazioni multilocalizzate, mentre solo il 12% del Centro e il 5% del Sud.
Questa frammentazione nella diffusione del welfare aziendale è condizionata anche dalla dimensione delle organizzazioni. Il 39% degli accordi che regolamenta welfare riguarda infatti imprese con più di 250 addetti, il 38% di realtà tra i 50 e i 249 e solo il 23% aziende con meno di 50 dipendenti.
Per quanto riguarda invece i settori produttivi, i benefit di welfare sono presenti soprattutto nel comparto manifatturiero, in quello dei servizi e in quello dei trasporti e della logistica.
Maggiore spazio alla flessibilità
L’emergenza innescata dalla pandemia sembra quindi aver stravolto la contrattazione di secondo livello. Come evidenziato dal report di Ocsel, l’imprevedibilità degli effetti scaturiti dal Covid-19 ha colto impreparate le imprese e le parti sociali. La contrattazione è stato uno strumento cruciale per provare a porre rimedio agli effetti della crisi e per cercare di introdurre misure per ridurre le possibilità di contagio e garantire maggiore sicurezza sul luogo di lavoro.
Come evidenziato anche da un recente documento di CGIL e Fondazione Di Vittorio, l’emergenza ha però portato a una contrazione della contrattazione del welfare aziendale.
Allo stesso tempo si deve evidenziare un incremento rilevante di quegli accordi che regolamentano lo smart working, che passano dal 3% al 5% del totale. Pur trattandosi di un istituto diffusosi notevolmente per le restrizioni legate al Covid-19, il fatto che molte aziende abbiano deciso di introdurlo attraverso la contrattazione non era scontato. La Legge n. 81/2017 che disciplina questa materia non prevede infatti il coinvolgimento della parte sindacale, ma solo un accordo individuale tra datore di lavoro e dipendente.
Lo smart working nell’era post-Covid
Ciò che sembra chiaro è che, soprattutto a seguito della pandemia, il tema della flessibilità dei tempi nei luoghi di lavoro è diventato un aspetto sempre più dirimente per le imprese. Questo vale sia in termini di welfare – o meglio di work-life balance – sia per quanto riguarda l’evoluzione del rapporto lavorativo e lo sviluppo di nuovi sistemi di misurazione della performance e di raggiungimento degli obiettivi.
Come vi abbiamo raccontato qui, oltre a essere parte delle misure di armonizzazione dei tempi di vita e di lavoro, le prestazioni legate alla gestione del tempo – come lo smart working – sono ormai parte integrante delle strategie di gestione delle risorse umane.
In questa direzione, come evidenziato anche dall’Ocsel, le parti sociali possono essere un prezioso punto di sintesi per le imprese e possono rivestire un ruolo fondamentale nel favorire tra i lavoratori il cambiamento culturale che lo smart working richiede. Passare infatti da una logica “di controllo” da parte del proprio responsabile ad un lavoro che mette in primo piano il raggiungimento degli obiettivi è un cambio di paradigma non indifferente che richiede di essere adeguatamente governato sia tra i lavoratori (non solo gli smart worker) sia a livello di management e di vertici aziendali.
Inoltre il sindacato può supportare le imprese nella definizione di quei riferimenti generali che vanno a definire il regolamento (sedi di lavoro ammissibili, possibilità o meno di utilizzare la propria strumentazione tecnologica, ecc) e utili poi nella stesura dell’accordo individuale tra impresa e lavoratore.
Perciò, nonostante la normativa non preveda la partecipazione del sindacato negli accordi di smart working, le rappresentanze dei lavoratori possono ritagliarsi un ruolo significativo in tema di lavoro agile. Nell’era post-Covid, in cui lo smart working rappresenta una realtà della vita quotidiana, è necessario riflettere circa il coinvolgimento dei sindacati in tutti quegli aspetti che interessano la dimensione organizzativa del lavoro, dalla definizione degli obiettivi fino alle pratiche per la rilevazione dei livelli di benessere e soddisfazione dei lavoratori.