Un libro insolito sul Reddito di Cittadinanza, che offre un punto di vista critico con al centro le voci dei beneficiari e le loro esperienze. Stiamo parlando del volume scritto da Maristella Cacciapaglia, un lavoro di ricerca che si avvale di metodi etnografici per analizzare un territorio vulnerabile, proprio come chi richiede di beneficiare di un reddito minimo. Si tratta di Taranto che, tra dinamiche di impoverimento e storture del mercato del lavoro poco contestate, è il luogo dove vivono i protagonisti di Con il Reddito di Cittadinanza. Un’etnografia critica, edito da Meltemi.
Un approccio etnografico che accompagna “verso la gente”
Come in “Tales of the Field” di Van Maanen (1988), lo stile narrativo accompagna lettori e lettrici “verso la gente”, allontanandosi da leggi, statistiche o amministratori. Tramite il loro vissuto, l’autrice intende comprendere e far comprendere la condizione simbolica, materiale ed esistenziale in cui i beneficiari del Reddito di Cittadinanza vivono tutti i giorni, ma anche la loro esperienza rispetto ai processi di una politica pubblica tra le più discusse degli ultimi tempi.
In particolare, in modo insolito e in un certo senso provocatorio, Maristella Cacciapaglia sceglie di porre i confini della sua ricerca sul Reddito di Cittadinanza come politica attiva del lavoro che si rivolge alle fasce più vulnerabili della popolazione.
A partire da un approccio teorico che ripercorre il carattere coercitivo del workfare – legittimato da un’immagine stereotipata dei più poveri – e insieme il cambiamento che interessa da tempo il lavoro e che lo rende vulnerante anziché emancipativo, specialmente per chi è ai margini, Maristella Cacciapaglia ragiona su un importante paradosso: il lavoro, che è sempre più slegato dai diritti, è diventato la chiave per accedere e mantenere i diritti del welfare.
Come già scriveva tempo fa Chiara Saraceno, “il lavoro non basta”. Anche per questo motivo, in tanti propongono, anzi ripropongono, un reddito di base incondizionato, persino universale, un “vero” Reddito di Cittadinanza. La stessa autrice lo fa nel libro, concentrandosi altresì sui rischi di tale proposta. E sottolineando come quel che è stato introdotto in Italia ne riprende solamente il nome, rendendo ancora più eclatante il paradosso che lega il lavoro povero e la fuoriuscita da una condizione di povertà.
Taranto: uno specchio del mercato del lavoro italiano
Il libro spiega come questo paradosso assuma un carattere segnatamente tangibile nella città di Taranto dove, per molto tempo, tanti operai hanno rinunciato alla propria salute e a quella dei propri cari pur di difendere un lavoro dignitoso, quantomeno da un punto di vista socio-economico, consci del fatto che non ci fossero altre opportunità lavorative nelle vicinanze. Quelle tarantine sono, in effetti, opportunità che rispecchiano in toto un mercato del lavoro ostile, a tratti sterile, difficile, con lavori mal pagati, contrattualizzati secondo forme che non rispettano la realtà dei fatti, o non contrattualizzati affatto.
Tali problematiche riguardano in tanti casi anche i laureati, sicuramente la maggior parte dei giovani alle prime esperienze lavorative, e le donne. Si intrecciano altresì problematiche scolastiche, abitative, sociali più in generale, che vengono attenzionate superficialmente rispetto a quelle ambientali. Eppure, in un dibattito pubblico inferocito contro i beneficiari del Reddito di Cittadinanza, queste storie fanno poca eco, e non solamente a Taranto.
Chi legge il libro viene immerso da subito nel contesto tarantino. Solo in seguito si incontrano i beneficiari del Reddito di Cittadinanza coinvolti, quali protagonisti indiscussi sia del contesto sia della policy. Le loro storie lavorative, così come le condizioni simboliche e materiali in cui vivono quotidianamente, frantumano le immagini stereotipate. È stato già anticipato che molti di loro sono intrappolati in traiettorie lavorative povere, discontinue, se non interrotte e mai più riprese, piuttosto che “gli sdraiati sul divano” o i “poveri in vacanza”. Non sorprendentemente, in tanti hanno richiesto il Reddito di Cittadinanza alla ricerca di un lavoro, e non solo per beneficiare di un reddito minimo.
Quel che fa notare Maristella Cacciapaglia, però, è che il lavoro a cui aspirano – attraverso una politica pubblica – è un lavoro formale, economico e non di comunità, a tempo indeterminato, ben remunerato e, soprattutto per i più giovani e i più consapevoli, in linea con le proprie passioni. Solo con queste caratteristiche il lavoro è “vero”, ancora sinonimo di identità, riconoscimento e inserimento sociale. Sempre per loro, non è il “lavoretto” a garantire tutto ciò, né tantomeno lo fa quello di cura o quello “a gratìs” in tanti casi. Un aspetto, secondo l’autrice, che non può essere tralasciato nelle trasformazioni del welfare verso la sostenibilità.
Una strada possibile? L’ascolto dei beneficiari
Per questo “lavoro vero”, anzi, i beneficiari intervistati dall’autrice hanno legittimato gli elementi coercitivi del Reddito di Cittadinanza, o meglio li hanno considerati dei vincoli benefici, “per tornare a contare nella società”. Tuttavia, questa loro determinazione non è stata sovente supportata da servizi minimi per il lavoro, da offerte di lavoro dignitose o da manifestazioni di fiducia da parte degli imprenditori locali. Il loro punto di vista non è stato preso in considerazione dai processi partecipativi per la politica urbana, così come da fenomeni crescenti di innovazione e imprenditoria sociale.
Il Reddito di Cittadinanza – sottolinea l’autrice – è così elemento di cristallizzazione delle condizioni di vulnerabilità, più che di emancipazione, soprattutto per quei beneficiari meno giovani, meno qualificati o meno flessibili, che non hanno potuto contare su altre risorse o su elementi di serendipità.
Al fine di valorizzare e di non tradire le aspettative delle fasce più vulnerabili della popolazione, ciò che propone in conclusione Maristella Cacciapaglia è di dare voce a queste persone, di includerle nei processi decisionali, di costruire con loro percorsi di emancipazione individuale e collettiva. Proprio un territorio marginale e che si sta ripensando come quello di Taranto potrebbe trarre vantaggi dalle esperienze di queste persone, dalle strategie adattive che necessariamente adoperano tutti i giorni, dalle loro forme alternative di attivazione, dalle loro manifestazioni di resilienza.