Questo articolo è stato pubblicato sul numero 1/2023 di Rivista Solidea, pubblicazione promossa dall’omonima Società di mutuo soccorso e parte del network del nostro Laboratorio. |
La pandemia ha posto in risalto le difficoltà dell’attore pubblico, evidenziandone i limiti strutturali, ma allo stesso tempo sembra aver accelerato il protagonismo di Mercato, Terzo Settore e comunità.
Nuovi attori hanno dato prova di grande capacità di mobilitazione, mettendo in campo interventi innovativi, ricorrendo alle nuove tecnologie (il cui utilizzo, in molti casi, ha garantito la vicinanza ai destinatari ultimi degli interventi), alla costituzione di reti multiattore e al consolidamento di pratiche di co-programmazione e co-progettazione.
Si è iniziato così a parlare di welfare di prossimità, per indicare quell’insieme di interventi e misure frutto di un’analisi dei bisogni che si sviluppa su una dimensione territoriale di vicinanza e che prevede il protagonismo degli stessi beneficiari nella co-definizione delle prestazioni.
Rischio di dimenticanza collettiva?
Considerate queste premesse, risulta condivisibile pensare che con il superamento della pandemia ci possa essere il rischio di una dimenticanza collettiva delle riflessioni maturate nel corso degli ultimi anni, e che, insieme al mancato completamento del percorso riformatore sul Terzo Settore (ex legge delega n. 106 del 2016), permanga il divario tra le retoriche di riconoscimento e la concretezza degli interventi riguardanti gli ETS, con una considerazione sostanzialmente ancillare del loro ruolo.
Grazie all’attività di ricerca svolta negli ultimi mesi, il Laboratorio di Percorsi di secondo welfare ha raccolto molteplici testimonianze di operatrici e operatori di ETS che, a diverso titolo, hanno partecipato a percorsi di co-progettazione negli anni 2021-2022. L’aver lavorato durante i momenti più drammatici della crisi socio-sanitaria, ha portato gli ETS a ripensare il proprio ruolo e i termini della collaborazione con gli Enti Pubblici, chiedendo a questi ultimi di riconoscere maggiormente il proprio contributo nei processi di co-programmazione e co-progettazione.
Per questo oggi è decisivo comprendere come le conoscenze e le competenze apprese durante questi percorsi possano essere valorizzate nell’organizzazione di appartenenza e condivise con i colleghi che non hanno avuto modo di prendere parte al processo.
Inoltre, sembra esserci un desiderio sempre più forte da parte degli ETS di contribuire alla definizione dell’agenda politica al fianco dell’attore pubblico, nella direzione di una collaborazione volta alla costruzione di sistemi territoriali di intervento.
Rispetto a quest’ultimo punto, occorre evidenziare la problematicità di progettazioni di breve durata. La costruzione e la messa in campo di progetti pensati per durare un anno – poco più o poco meno – ostacola la sistematizzazione dei risultati raggiunti e non consente che gli apprendimenti positivi possano essere valorizzati e resi prassi.
L’importanza della “memoria” come valore identitario
Ed è qui che entra in gioco la “memoria”. Considerati questi limiti, come si può tenere traccia degli apprendimenti fatti? Come possono diventare un bene condiviso? E ancora: come si può dare organicità alle esperienze collezionate e restituirvi un senso unitario che possa essere la base per una programmazione strategica e di lungo periodo?
La memoria assume, così, un valore identitario, per cui il gruppo – in questo caso gli ETS e chi vi lavora all’interno – basa la sua stessa coscienza di unità e conoscenza condivisa.
Le realtà del Terzo Settore percepiscono oggi la necessità che il lavoro svolto prima e durante la pandemia sia riconosciuto, anche e soprattutto in maniera formale, con l’apertura di spazi di collaborazione istituzionalizzati, ricorrendo con sempre maggiore sistematicità alle possibilità offerte dagli strumenti della co-programmazione e co-progettazione.
In questo passaggio da uno scenario in cui le Amministrazioni locali guardano strumentalmente al Terzo Settore inteso come “stampella”, a uno scenario in cui i soggetti pubblici assicurano il “coinvolgimento attivo degli ETS nella programmazione, nella progettazione e nell’organizzazione degli interventi e dei servizi”, così come disciplinato dall’art. 55 del Codice del Terzo Settore, potrebbe a ragione inserirsi lo strumento della Valutazione di Impatto Sociale (VIS).
VIS: un valore strategico per costruire e fissare memorie
La valutazione dell’impatto sociale ha un ruolo strategico. Serve alle organizzazioni per condividere un racconto dell’esperienza fatta, in modo tale da poter trasmettere ciò che si è appreso a chi non ne è stato diretto protagonista, e costruire così un bagaglio di memorie comuni. Benché sia difficile, trattandosi di persone, quantificare con esattezza il cambiamento generato da un intervento sociale, fare valutazione significa cercare di scovare gemme e storture. Questa conoscenza può diventare consapevolezza, e ispirare servizi in grado di generare un maggior beneficio alle persone cui si rivolgono.
Può orientare con maggiore precisione i processi decisionali che anticipano l’elaborazione delle politiche, grazie anche a una maggior familiarità dei bisogni espressi e latenti, dei miglioramenti possibili e degli effetti indesiderati che si potrebbero generare. Inoltre, può restituire un quadro dei contesti e dei processi che hanno favorito quegli stessi impatti, narrando come gli attori e le attrici in gioco si sono mossi, come hanno interagito tra di loro e a quali relazioni hanno dato vita. Può, quindi, consentire al Terzo Settore di leggere non solo “quanto” ha prodotto, ma anche “come” ha realizzato quegli esiti.
L’importanza della memoria: il nuovo numero della Rivista Solidea
Il racconto e, più precisamente, la diffusione di questo racconto è ciò da cui partire per alimentare un sapere condiviso e molteplice. Una volta realizzata, la valutazione d’impatto sociale deve essere però comunicata. I risultati dell’analisi d’impatto devono essere pubblicati sul proprio portale online o sul portale della rete associativa di riferimento, specificando obiettivi, metodologia della ricerca, esiti prodotti e valutazione dell’intervento sulla base dei risultati emersi. Resa pubblica, incrementa un patrimonio conoscitivo di cui potenzialmente tutti possono usufruire, per apprendere e lasciarsi suggestionare. Diventa un bene comune disponibile nel tempo.
Se la memoria è, dunque, la capacità di tenere traccia degli stimoli ricevuti e delle relative risposte, luogo a cui attingere per richiamare informazioni che potrebbero sbiadire e perdersi, è importante che il lavoro svolto dagli ETS possa essere anche qualcosa a cui fare simbolicamente ritorno.
Non solo per conservare un’immagine di ciò che è stato appreso e sperimentato in ambito sociale, ma anche per mostrare la direzione verso cui muovere passi, con l’intenzione di co-programmare e co progettare interventi migliori. In questo senso, la valutazione di impatto sociale può essere un valido strumento attraverso cui costruire e fissare memorie.