Nel corso dell’ultimo decennio, in molti Paesi è aumentata la spesa sanitaria privata delle famiglie. Non vi è correlazione fra questo incremento e il livello di spesa o di qualità del servizio pubblico. In Svezia, nota in tutto il mondo per il suo welfare universalistico, la spesa privata è cresciuta del 37%, tanto quanto in Germania o in Francia. Anche l’Italia ha registrato un fenomeno analogo (+27%). Da noi però i privati spendono quasi interamente di tasca propria, senza l’intermediazione di mutue o assicurazioni, molto attive negli altri Paesi. Si tratta di un collo di bottiglia, che rende più oneroso lo sforzo finanziario dei singoli utenti e rallenta i flussi di risparmio privato verso questo settore. Naturalmente non stiamo parlando di «privatizzare la sanità», ma solo di forme complementari e integrative di servizio.
Una ricerca di Welfare Italia (nata da una collaborazione fra Censis e Unipol) mette bene in luce il forte potenziale che la white economy oggi ha nel nostro Paese. L’espressione non si riferisce solo alla sanità in senso stretto, ma a tutto il complesso di servizi, prodotti, tecnologie e professionalità per la prevenzione, la cura, la riabilitazione, l’assistenza personale. Il comparto vale già oggi il 6% della produzione totale e occupa 2,7 milioni di addetti. Ma i margini di crescita sono molto ampi, considerando l’invecchiamento della popolazione. La promozione di un moderno «mercato sociale», alimentato da risorse non pubbliche e aperto ad una molteplicità di soggetti profit e non profit, è la strada per sfruttare appieno questo potenziale.
Oggi meno del 20% delle famiglie dispone di strumenti per la copertura integrativa delle spese socio-sanitarie. Si stima però che circa cinque milioni di famiglie potrebbero essere interessate a sottoscrivere strumenti di questo tipo. Assicurazioni, fondi mutualistici, enti locali, imprese e sindacati: a loro il compito (e l’opportunità) di rispondere in modo efficiente ed efficace a questa domanda di protezione, capace di attivare importanti circoli virtuosi sul piano economico e occupazionale.
Questo articolo è stato pubblicato anche sul Corriere della Sera del 10 luglio 2014