Il XXII Rapporto Rota, pubblicato di recente, dedica quest’anno un ampia sezione a misurare gli impatti della pandemia Covid sui sistemi sociali e di welfare. Compito non semplice nel quadro del quotidiano bombardamento di cifre, pareri e opinioni (di esperti, ma purtroppo, spesso, di non esperti) che si confrontano attorno al tema degli effetti del Covid e dell’efficacia delle politiche di contrasto.
Contagi e mortalità: la situazione a livello globale
Tra le poche certezze acquisite dai ricercatori vi è quella per cui – tanto più di recente, con la diffusione dei vaccini – misurare il numero di contagi risulti sempre più fuorviante (troppo dipendente dalla variabile efficacia dei sistemi di test e tracciamento), mentre uno degli indicatori più affidabili per verificare la gravità della pandemia rimane costantemente il tasso di mortalità per Covid.
Anche in questo caso, tuttavia, rimangono problemi irrisolti: su tutti, da un lato, vi è il rischio di sovrastimare gli impatti della pandemia includendo anche quei decessi in cui il Covid è solo l’ultima – e spesso nemmeno la più importante – patologia che colpisce determinati soggetti; dall’altro, al contrario, si segnala la mancata registrazione di molti decessi per Covid, frequente in molti Paesi africani o asiatici, il che evidentemente porta a sottostimare i dati reali.
Fino a metà gennaio 2022, le statistiche ufficiali riportano la cifra di 5,5 milioni decessi nel mondo dall’inizio della pandemia, ma di recente l’Organizzazione mondiale della sanità ha stimato come tale cifra sia in difetto, ritenendo più credibile una quota attorno a 8 milioni di morti.
Per capire dove finora nel mondo la pandemia ha colpito più gravemente, una stima accettabile si ottiene pesando l’incidenza della mortalità per Covid nella fascia d’età superiore ai 65 anni (visto che questa riguarda circa il 90% del totale dei decessi causati dalla pandemia). Così facendo, i Paesi più colpiti finora risultano alcuni latinoamericani e africani e, in Europa, soprattutto le nazioni dell’Est. L’Italia si trova al 55° posto al mondo, al 18° in Europa, all’11° considerando la sola Unione europea (tabella 1).
La situazione dell’Italia
In Italia, le province fin qui più colpite dal Covid risultano Aosta (con 1.124 morti anziani ogni 100.000 anziani), Gorizia (806), Sondrio (708), Isernia (693). Si osservano anche rilevanti differenze tra la prima ondata, che ebbe effetti particolarmente gravi in Lombardia (fino a settembre 2020 le province italiane con più anziani morti per Covid risultavano, nell’ordine, Monza, Milano, Lodi, Varese, Como, Cremona), e le successive ondate del 2021, durante le quali sono invece state colpite maggiormente alcune province del Nordest: Rimini, Udine, Gorizia, Bologna, Trieste. Tra le città metropolitane, nel complesso, Milano resta finora la più colpita dalla mortalità per Covid, precedendo Bologna, Trieste e Torino; le metropoli centro meridionali, invece, hanno subito una prima ondata Covid decisamente meno impattante (rispetto a quella vissuta al Nord), mentre seconda e terza ondata hanno raggiunto valori simili (o superiori) a quelli registrati in diverse metropoli settentrionali.
Un altro indicatore significativo – specie, come noto, in termini di tenuta del sistema sanitario – è relativo alla quota di posti letto occupati nei reparti di terapia intensiva; nel corso della prima ondata pandemica, il valore più alto si registrò ad aprile 2020 (con una media quotidiana di 2.975 posti letto occupati), seguito da una rilevante diminuzione – soprattutto per effetto del lockdown quasi totale vigente all’epoca – a maggio (882) e ancor più nei successivi mesi estivi, raggiungendo il minimo a luglio (58). I ricoveri in terapia intensiva durante la seconda e la terza ondata hanno poi registrato quasi sempre valori superiori a quelli della prima ondata, con una media quotidiana di posti letto occupati sempre superiore a 3.000: dai 3.231 a novembre 2020 fino ai 3.307 di aprile 2021.
Oggi, con la nuova ondata invernale, si è risaliti da una media di 490 posti letto occupati a novembre 2021 ai 1.576 delle prime tre settimane di gennaio 2022. Le regioni italiane maggiormente dotate di terapie intensive sono Val d’Aosta (con 26,3 letti ogni 100.000 abitanti), Veneto (20,4), Emilia (20), mentre le regioni più scoperte sono Puglia (12 posti letto), Umbria (10,3), Campania (9,6) e Calabria (8,9) (dati a novembre 2021; fonte: Ministero della salute).
Gli effetti sul sistema sanitario
La pressione della pandemia sul sistema sanitario, ovviamente, non si esaurisce con la necessità di curare i pazienti Covid. Intanto, è sempre bene ricordare che, se il numero di morti per Covid ha raggiunto nell’ultimo anno in Italia la cifra di circa 84.000 morti, quello dei decessi per tumori è stato pari a 180.000 e per malattie cardiovascolari a 233.000 (fonti: Ministero della salute, Istat).
In prospettiva, tra gli addetti ai lavori, cresce la preoccupazione per un aumento di mortalità per le più diffuse patologie: infatti, a causa dell’emergenza Covid (e delle conseguenti parziali/totali chiusure di reparti e servizi sanitari, oltre che della riduzione di personale, in parte dirottato a reparti Covid), nel primo semestre del 2020 il complesso delle prestazioni sanitarie si è ridotto in Italia di -41% rispetto a un anno prima, nel secondo semestre le variazioni sono state un po’ meno gravi, ma pur sempre negative (-14%), quindi nel primo semestre 2021 si è registrata sì una lieve ripresa (+1%) ma rispetto al livello bassissimo di prestazioni registrato nello stesso periodo dell’anno precedente. In alcune regioni poi (Piemonte, Liguria, Friuli, Puglia, Calabria e Sicilia) il numero di prestazioni sanitarie erogate ha continuato a declinare anche nel 2021 (fonti: Spadea, Gnavi, 2020; Gimbe 2021; Sant’Anna, Agenass, 2021)1.
La questione dei vaccini
Sul fronte dei vaccini, i dati raccolti finora confermano una loro indubbia efficacia, specialmente nel contrastare i livelli più gravi delle patologie indotte dal Covid.
In Europa, ad esempio, si è rilevato come nei Paesi con un elevato tasso vaccinale si abbia in genere un corrispondente basso livello di mortalità (nel periodo vaccinale, ossia da marzo 2021 in poi), mentre là dove – come nella gran parte dell’Europa orientale – si è vaccinato poco, si registrano (come già sottolineato) i livelli più alti di mortalità, pur con qualche eccezione. Per esempio, il Portogallo, pur col più alto tasso di vaccinazioni, ha un livello medio di mortalità, oppure l’Italia o il Regno Unito – vista la copertura vaccinale piuttosto elevata – dovrebbero presentare livelli inferiori di mortalità; viceversa, l’Albania ha vaccinato poche persone ma registra un numero relativamente basso di morti.
Questi dati evidenziano dunque come, sebbene la campagna vaccinale giochi oggi il ruolo più rilevante nel contrasto alla pandemia, continuano a incidere in misura elevata anche altri aspetti: la quota di popolazione già infettata (e dunque almeno parzialmente immune), la durata dell’immunizzazione conferita dai vaccini, l’età della popolazione (l’efficacia dei vaccini in genere è minore tra gli anziani), nonché ovviamente le azioni di contenimento (più o meno restrittive) e i diversi livelli di efficacia dei sistemi sanitari nazionali.
Per approfondire
Baldi E. et al. (2020), Covid-19 kills at home: the close relationship between the epidemic and the increase of out-of-hospital cardiac arrests, «European Heart Journal», 0, pp.1-11.
Gimbe (2021), Impatto della pandemia Covid-19 sull’erogazione di prestazioni sanitarie
Sant’Anna, Agenass (2021), Analisi della capacità di resilienza dei sistemi sanitari regionali;
Spadea T., Gnavi R. et al. (2020), Monitoraggio dell’impatto indiretto di Covid-19 su altri percorsi assistenziali, «E&P Repository», repo.epiprev.it
Per approfondimenti su questo tema si rimanda al paragrafo 1.1 del XXII Rapporto Rota