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Indagare le relazioni tra soddisfazione e benessere fisico e mentale, guardando alle caratteristiche, al nesso di causalità e alle teorie relative ai concetti di salute e felicità, oltre ad alcuni fattori fondamentali del “ben vivere sociale”, quali l’istruzione e il volontariato. È  l’obiettivo del libro Salute e felicità. Gli indicatori, le determinanti, le sfide future in Italia e in Europa” a cura di Leonardo Becchetti e Lorenzo Semplici, edito nella Collana Studi e Ricerche de Il Mulino. Gli autori, attraverso l’analisi di dati raccolti a livello europeo, hanno così individuato un indice statistico che può essere d’aiuto per definire meglio la direzione delle policy per lo sviluppo sociale ed economico. Abbiamo letto il volume e ve ne proponiamo qui una panoramica.

L’invecchiamento della popolazione e le implicazioni per il welfare e le reti familiari

Nel primo capitolo, viene descritta la situazione demografica di progressivo innalzamento dell’età media degli abitanti del pianeta. Il tasso di crescita della popolazione anziana risulta il più rapido di quello della totalità della popolazione e, secondo le proiezioni dei dati delle Nazioni Unite, attorno al 2075 una situazione la quota di persone ultrasettantacinquenni sarà pari alla quota degli individui al di sotto dei 15 anni. La crescita demografica nella fascia più anziana è un fenomeno generalizzato che, come evidenziato dalla seconda Assemblea Mondiale sull’Invecchiamento della Popolazione nel 2002, interessa sia i paesi sviluppati che quelli in via di sviluppo e sottosviluppati. Le dinamiche evolutive sottolineano che tra il 2010 e il 2050 l’invecchiamento della popolazione sarà il fattore dominante anche in Europa, con un conseguente squilibrio di spesa in termini di contributo di spesa tra la popolazione in età lavorativa e la popolazione in età da pensione. Secondo le proiezioni di Eurostat si passerà dalla presenza di una persona anziana ogni quattro potenziali lavoratori ad un rapporto di uno a due.

Questo trend si inserisce in un quadro di crisi occupazionale, di insostenibilità del welfare e di peggioramento delle condizioni di benessere di famiglie e di individui e ha notevoli implicazioni economiche sul sistema sanitario, pensionistico e di protezione sociale in generale; sulla divisione sociale del lavoro; sulle politiche abitative. ‘In particolare, le variazioni strutturali della popolazione appena richiamate comporteranno la riduzione delle entrate fiscali, l’aumento delle pensioni e l’incremento della domanda dei servizi socioassistenziali, soprattutto nel settore della sanità’ (p.19).

Si tratta, per gli autori, di una situazione ineluttabile di cambiamento con cui è necessario imparare a convivere e coglierne le opportunità, sapendone vedere gli aspetti positivi. La sfida non è arginare il fenomeno, ma governarlo, trasformando il processo di invecchiamento in un’occasione di utilità sociale. ‘Le politiche sociali [..] devono avere chiaro questo obiettivo [..] costruire le infrastrutture necessarie per valorizzare l’utilità sociale del processo di invecchiamento e con esso l’anzianità dei cittadini’ (p.25-26). ‘Questo perché l’invecchiamento demografico da un lato e il calo del tasso di natalità dall’altro creano stress sui sistemi di welfare – da quello pensionistico, a quello di garanzia sociale di natura assistenziale – ed implicano la necessità di interventi mirati, come politiche d’integrazione lavorativa e d’inclusione socioculturale degli anziani’ (p.27).

Una nuova prospettiva: considerare gli anziani fautori di produttività sociale

L’opportunità di strategie globali per un invecchiamento attivo (active ageing) è stata ben evidenziata dal Consiglio Europeo di Stoccolma nel 2001 e, nel, 2002, il Word Health Organization lo ha definito come il processo che consente alle persone di realizzare le loro potenzialità di benessere fisico, sociale e psichico durante l’intero arco della vita e di partecipare alla vita sociale. Questo fenomeno ha avuto storicamente diversi nomi e diverse focalizzazioni – successfull ageing, ancorato all’aspetto finanziario, negli anni Settanta; productive ageing, improntato al passaggio dal mondo del lavoro alla pensione, negli anni Ottanta – ed è dagli anni Novanta che se ne è colta la multidimensionalità. A livello europeo, nel 2012, è stato infatti costruito l’Indice di Invecchiamento Attivo, che misura la possibilità degli anziani di realizzarsi pienamente in termini di occupazione, partecipazione sociale e culturale, mantenimento dell’autonomia – per dare un’idea della situazione nazionale, si riporta la posizione dell’Italia: 14° posto su 28 Stati europei -.

‘Questa strategia multidimensionale si muove sia a livello individuale che sociale ed invita ad operare nel senso di una maggiore collaborazione tra le istituzioni ai livelli nazionali, richiedendo di fatto l’integrazione di tutte le strutture, siano esse politiche, siano esse civili, per porre in essere una politica nazionale unitaria e coordinata’ (p.35). Becchetti e Semplici hanno realizzato un’analisi dei punti di forza e debolezza nelle politiche di active ageing in Canada, Nuova Zelanda, Svezia, Regno Unito e Stati Uniti d’America (p.37-39), dove ben risulta che la programmazione e gli interventi hanno natura multisettoriale. Anche in Italia, negli ultimi venti anni, vi è stata un’evoluzione, passata attraverso il Piano Sanitario Nazionale e gli interventi più significativi sono avvenuti a Trento, in Veneto, in Liguria e in Umbria.

Le determinati dell’active ageing su cui agire

Nel secondo capitolo, argomentate le ragioni dell’indagine, la base dati e la metodologia della ricerca condotta, gli autori indagano l’impatto delle principali determinanti sulla salute. Questo aspetto, visto che il rilevante aumento della domanda di servizi sanitari rischia di essere economicamente insostenibile, è centrale nell’agenda politica, sociale ed economica.

Ricorrendo alla Survey of Health, Ageing and Retirement in Europe (SHARE), che compara le dinamiche della salute per 19 paesi dell’area OCSE, Becchetti e Semplici indagano, con statistiche descrittive, il rapporto tra istituzione e felicità; tra vita sociale, volontariato e felicità; tra spesa sanitaria, condizioni di salute e felicità; tra benessere soggettivo, condizioni di salute e felicità. Veniamo così a comprendere che la domanda di salute, come ogni bene non di mercato, cresce con gli anni di istruzione. Ragionando in termini di produttività ed efficienza allocativa, gli individui istruiti, coscienti delle loro condizioni di salute e dei beni di mercato che contribuiscono a migliorarla, disponendo di livelli di reddito più alti, investono in modo migliore il loro tempo – direttamente o indirettamente, a seguito delle visite dai dottori -. Un ulteriore fattore importante per la qualità della salute in età adulta sono le relazioni e ogni forma di incontro umano con l’altro, che contribuiscono all’allenamento delle funzioni mentali e fisiche e all’irrobustimento del capitale psicologico necessario e far fronte alle sfide dell’età. ‘Chi svolge attività di volontariato si reca con minore frequenza dal medico – 5,46% dei volontari contro il 6,85 dei non volontari -’ (p.88) e ha indicatori di funzionalità più favorevoli. Viste le determinati soggettive della salute, gli autori indagano anche l’impatto del ruolo della spesa sanitaria nazionale, in termini percentuali del PIL e pro capite, sugli indicatori di salute oggettivi.

Quanto la presenza o meno di determinate malattie è attribuibile a fattori istituzionali legati alle scelte di interventi politici? E’ dimostrato che, nei paesi dell’UE, un aumento della spesa pubblica per l’assistenza sanitaria ha un effetto positivo e significativo sulla salute: ‘una percentuale più alta di PIL investita nella spesa sanitaria comporti un numero di malattie croniche inferiore [..], a valori più alti di spesa sanitaria pro capite corrisponde un aumento di malattie croniche minore (p.101). In questa situazione gli indicatori soggettivi sono rilevanti o meno nella determinazione degli indicatori oggettivi futuri? L’insoddisfazione in termini di salute è significativamente correlata con i futuri cambiamenti nel numero di malattie croniche? I risultati di Becchetti e Semplici, illustrati nel volume, dimostrano che il nesso fra salute soggettiva percepita e salute oggettiva futura sono forti e robusti.

La costruzione di un modello europeo, nazionale e regionale

Il terzo capitolo, frutto della sintesi e della rielaborazione delle analisi presentate nel testo, è dedicato ad individuare una modalità – un indice – che offra un quadro completo e immediato della situazione del benessere, sia a livello europeo, nazionale e regionale sotto il profilo della salute. Le variabili considerate in grado di stimare il numero di malattie croniche e la loro variazione da una rilevazione all’altra – e oggetto di regressione – sono state gli aspetti sociodemografici, gli stili di vita e la spesa per la sanità.

A livello europeo, la misurazione dell’errore di stima del calcolo del valore predetto del numero di malattie croniche è risultato inferiore al 2% e quindi un buon predittore. A livello nazionale, ugualmente la stima realizzata si è dimostrata ottima e con un errore molto basso, riaffermando che le variabili – individuate secondo le argomentazioni prodotte nei primi due capitoli – testate ‘catturano, anche per i singoli paesi, in maniera sostanzialmente integrale, gli aspetti che determinano la presenza o meno del numero delle malattie croniche‘ (p.126).

A livello regionale, vista l’assenza di un campione significativo per le regioni italiane nel database SHARE, l’analisi è stata svolta ricorrendo al Benessere Equo Sostenibile (BES), un indice Istat e Cnel che fornisce una visione multidimensionale del benessere. Il contributo originale di Becchetti e Semplici sta nell’averlo pesato rispetto alle preferenze – priorità direttamente individuate dai cittadini nell’ambito del Forum del Terzo Settore – indicate con il Tasso standardizzato di mortalità per tumore e l’Indice di stato psicologico. Secondo gli stessi autori, questo approccio è supportato e giustificato da due ragioni: ‘rendere partecipi i cittadini della costruzione degli indicatori di benessere al fine di eliminare la barriera fra i numeri, la politica e la vita di tutti i giorni, dando loro la possibilità di determinare ed orientare le politiche in ambito sanitario’ e ‘rendere consapevoli i cittadini della molteplicità degli aspetti che concorrono alla determinazione della propria condizione di salute’ (p.136).

Considerazioni conclusive

Questo volume è interessante perché propone un punto di vista secondo cui la salute non è un capitolo di costo, ma una delle capacità fondamentali dell’essere umano. Comprendere dove e come intervenire per consentire di allargare la percentuale di popolazione che può continuare a goderne permette di realizzare un più ampio e solido sviluppo sociale ed umano. In quest’ottica, gli strumenti quantitativi presentati da Becchetti e Semplici potrebbero generare un intervento politico, anche di tipo bottom-up, migliore. Infatti, determinare quali strumenti reddituali o di welfare state compensano gli individui che subiscono una riduzione del proprio benessere psicologico o fisico potrebbe rendere più efficace il welfare state. Ugualmente, individuare e gestire le componenti dell’infelicità, cui è associata un’incidenza più alta di determinate malattie, potrebbe portare ad una riduzione degli oneri statali in ambito sanitario.

Inoltre il testo ben si inserisce nei recenti studi sulla socialità che mettono in discussione il paradigma economico classico storicamente basato su una assunzione riduzionalista dell’individuo, che veniva presentato come homo oeconomicus interessato solo a massimizzare la propria utilità personale. In realtà l’essere umano è caratterizzato da un sistema complesso di preferenze, molto spesso irrazionali. Secondo il paradosso di Easterlin, dimostrato nel 1974, infatti all’aumentare del tenore di vita in termini di PIL non si registra un analogo aumento di felicità. Una lettura, come quella di Becchetti e Semplici, che identifica come fondamentali i fattori della socialità – relazioni stabili e forti, preferenze altruistiche, interazioni, partecipazione e coesione – è quindi utile perché restituisce una visione del mondo più completa e uno scenario teorico migliore entro cui proporre dei modelli di azione. Come gli stessi autori sottolineano ‘il mondo [..] è più complesso e ricco di realtà e contraddice quest’assunto: si pensi alle donazioni di sangue, al volontariato, all’acquisto di prodotti equosolidali, alle manifestazioni contro il riscaldamento globale’ (p.8).