La riforma pensionistica Fornero ha avuto due grandi meriti: il contenimento della spesa e l’introduzione di nuove regole uguali per tutti. Il sacrificio chiesto agli italiani è stato elevato. Ma eravamo davvero in una situazione di emergenza finanziaria, peraltro non ancora interamente superata.
La riforma ha subìto nel tempo vari aggiustamenti, soprattutto per risolvere il problema degli esodati. A causa di una sottovalutazione delle loro conseguenze, i nuovi criteri rischiavano di lasciare alcune categorie «senza stipendio e senza pensione». La stragrande maggioranza di questi lavoratori ha dovuto così essere «salvaguardata» con deroghe ad hoc . In un Paese imbevuto di cultura corporativa, la strada delle deroghe è però sempre pericolosa: si sa quando inizia ma non quando finisce.
Il decreto 90 sulla pubblica amministrazione, attualmente in fase di conversione in Parlamento, offre un esempio emblematico di questa sindrome: il testo contiene alcune misure che causeranno ulteriori smottamenti della riforma. Vi è innanzitutto la settima deroga «esodati», che consentirà a 4 mila insegnanti di andare in pensione con le regole pre Fornero, avendo maturato i requisiti previsti («quota 96» sommando età e anzianità contributiva) entro il 2012. Si tratta, si badi bene, di persone che negli ultimi due anni hanno continuato a lavorare con regolare stipendio e che con gli esodati non c’entrano nulla. Tuttavia il loro caso è stato fatto rientrare, per il rotto della cuffia, nella logica delle «salvaguardie». Nell’insieme, i costi delle deroghe sinora approvate lieviteranno a più di 11 miliardi di euro, con comprensibili preoccupazioni da parte del ministero dell’Economia.
Altre norme del decreto riguardano i dipendenti pubblici. Le varie amministrazioni potranno mettere a riposo «d’ufficio» i propri funzionari a partire da 62 anni (con deroghe per professori, medici, magistrati), senza penalizzazioni. L’obiettivo è la cosiddetta staffetta fra generazioni: un funzionario anziano (presumibilmente inefficiente) esce e fa posto a un giovane. Qui siamo lontani mille miglia dalla logica delle salvaguardie. Come tante volte in passato, si stravolgono le regole previdenziali per raggiungere finalità di altra natura, in questo caso il ricambio del personale.
Siamo sicuri che valga la pena imboccare di nuovo la via dei prepensionamenti? L’operazione non è a costo zero: si risparmia lo stipendio del dipendente anziano, ma si deve pagare subito la sua pensione. Anche i guadagni di efficienza sono tutti da dimostrare. Il collocamento a riposo discrezionale rischia di diventare merce di scambio fra amministrazioni e dipendenti, in barba a genuine logiche organizzative e meritocratiche.
La staffetta generazionale è già stata sperimentata in altri Paesi europei e persino in Italia, nel settore privato, con risultati deludenti. Ciò suggerirebbe prudenza, nonché una riflessione dettagliata su costi e benefici. A leggere la documentazione sui siti di governo e Parlamento, si rimane colpiti dall’assenza di una qualsiasi base tecnica che giustifichi il provvedimento. Attenzione: per rincorrere un obiettivo incerto e forse illusorio, rischiamo di minare nel profondo l’architettura della riforma Fornero, compromettendone efficacia finanziaria ed equità distributiva. Meglio pensarci bene.
Questo articolo è stato pubblicato anche sul Corriere della Sera del 31 luglio