Il tema delle piattaforme è sempre più centrale nel dibattito attuale, specialmente a partire dalla pandemia. Le piattaforme ci permettono di comprare e ricevere cibo e prodotti, ci mettono in comunicazione con fornitori di servizi di welfare, possono aiutarci a trovare un lavoro. A quale prezzo? Con quali conseguenze sul nostro diritto all’autodeterminazione e sulla tutela del lavoro?
Abbiamo chiesto a Giacomo Pisani di raccontarci i contenuti principali del suo ultimo libro, Piattaforme digitali e autodeterminazione. Relazioni sociali, lavoro e diritti al tempo della “governamentalità algoritmica” , dedicato proprio a questo tema. |
Al centro del volume c’è il diritto all’autodeterminazione della persona: questo, all’interno dell’economia delle piattaforme, è costantemente minacciato attraverso strategie algoritmiche che mirano a prevedere e ad “orientare” il comportamento degli utenti. A partire dall’analisi comportamentale ottenuta grazie all’enorme mole di dati estratti dagli utenti, le piattaforme mettono in atto strategie tese a forzare le loro azioni, inserendoli in relazioni caratterizzate da strutturale asimmetria di conoscenza.
Le piattaforme riescono così a mettere in atto forme di controllo sempre più costante e capillare, intromettendosi in maniera penetrante in tutti gli ambiti di relazione. La capacità di stimolare precise traiettorie del desiderio e dell’identità degli utenti si traduce in una totale esposizione di questi ultimi al potere algoritmico, il quale minaccia il diritto alla libera autodeterminazione della persona.
Il caso delle piattaforme che si occupano di lavoro
Ciò è tanto più evidente all’interno di quelle piattaforme in cui sono erogate prestazioni di tipo lavorativo, a cui viene dedicato, all’interno del volume, un focus specifico. Si tratta di piattaforme assai eterogenee, in cui muta anche la misura dell’intermediazione. Alcune piattaforme, ad esempio, mettono in contatto lavoratori e clienti, mentre la prestazione si svolge fisicamente altrove (basti pensare a piattaforme di consegna del cibo come Deliveroo o Glovo, o di trasporto come Uber o Lyft). In altri casi, la prestazione si svolge interamente online: basti pensare, ad esempio, alle piattaforme di “crowdworking”, come Amazon Mechanical Turk o Upwork.
Sempre più spesso si assiste, in questo genere di piattaforme, all’impiego di algoritmi deputati a prendere decisioni automaticamente, ovvero in base a istruzioni inserite nel sistema al momento della programmazione. Essi vengono utilizzati per rendere immediatamente operative certe decisioni, senza la necessità di ulteriori interventi umani. Su Amazon Mechanical Turk, ad esempio, vengono fissati i limiti di tempo per completare un’azione. Scaduto il tempo, l’utente viene immediatamente rimosso dall’azione e il compenso non viene corrisposto se essa non è stata terminata. Inoltre, in alcuni casi – come all’interno della piattaforma Figure Eight – automatizzato è anche il processo di selezione, che avviene attraverso dei quiz preliminari somministrati all’utente. Gli utenti sono tuttavia tenuti all’oscuro dei criteri utilizzati per la selezione. Molte piattaforme utilizzano, inoltre, algoritmi predittivi per stimolare il lavoratore e favorire una sua migliore corrispondenza alle esigenze degli utenti, mimetizzando la prescrittività dei compiti assegnati. In questo modo, la piattaforma mira a presentarsi come mero “intermediario” neutrale, cancellando ogni parvenza di intromissione nelle relazioni e nelle scelte.
Diritto del lavoro e tutela del consumatore
Nel volume viene ricostruita la giurisprudenza che ha riguardato, in Italia e in Europa, il lavoro di rider e autisti, la cui qualificazione ha imboccato, negli ultimi tempi, un’interessante tendenza. Il paradigma che si sta imponendo, infatti, è quello della subordinazione. Il lavoro dei cosiddetti crowdworkers, invece, nella maggior parte dei casi continua a svolgersi al di fuori dello sguardo del diritto.
Eppure, le sfide aperte dall’economia delle piattaforme non si limitano all’ambito del diritto del lavoro. La sfera lavorativa non è la sola a essere investita da dispositivi di controllo e orientamento algoritmico. Piuttosto, la stessa agibilità delle piattaforme da parte degli utenti è condizionata alla sottomissione a dispositivi che influenzano l’autonoma capacità di decisione della persona. Quest’ultima, allora, all’interno dell’economia delle piattaforme, è minacciata a un livello che precede la configurazione delle singole prestazioni lavorative. La tutela dell’autonoma capacità di decisione della persona, allora, non può che passare attraverso una proposta normativa che si estenda al di là dell’ambito lavorativo, in modo da risultare complanare al livello in cui il diritto all’autodeterminazione della persona è oggi minacciato.
Dati personali, rilevanza collettiva
Il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR) riconosce agli utenti alcuni diritti e strumenti per poter esercitare la propria sovranità sui dati personali che li riguardano. Tuttavia, essi hanno carattere individuale, essendo esercitabili dal singolo utente, laddove gli interessi in gioco hanno una portata evidentemente collettiva. La cosiddetta “governamentalità algoritmica”, infatti, funziona attraverso la creazione di correlazioni e assemblaggi: gli utenti vengono inseriti all’interno di relazioni orizzontali, entro le quali le loro possibilità di azione sono condizionate in base alla condivisione di particolari caratteristiche ritenute significative. Per fare un esempio, una persona può essere “catalogata” in base alla sua appartenenza al gruppo di persone avente la passione per il basket, nonché alla sua predilezione per le scarpe della Nike. L’insieme delle strategie algoritmiche di cui è bersaglio è il risultato dell’intersezione fra le strategie dirette ai vari gruppi a cui appartiene.
In questo quadro, è necessario garantire adeguata rappresentazione agli interessi collettivi in gioco. Il libro giunge all’elaborazione di un modello di “amministrazione condivisa”, che attualizza, all’interno dell’orizzonte digitale, il principio di sussidiarietà orizzontale. La possibilità di garantire il diritto all’autodeterminazione della persona viene riconosciuta sul piano della definizione istituzionale delle regole che determinano il rapporto fra piattaforme digitali e utenti. Viene quindi considerata la possibilità di riconoscere, all’interno di un paradigma di tipo sussidiario, la capacità istituente di formazioni sociali collettive orientate alla realizzazione dell’interesse generale. All’interno di tali formazioni, gli utenti, oggi in condizione di debolezza, possono giungere all’identificazione di interessi collettivi, mediando fra posizioni e obiettivi individuali o particolaristici, a partire dal proposito di garantire universalmente il diritto all’autodeterminazione della persona.
La proposta si propone di svolgere una funzione di respiro potenzialmente più ampio, assumendo l’autodeterminazione della persona come principio di una più complessiva democratizzazione delle istituzioni del web, in una logica multilevel e multistakeholder.
Per approfondire
Pisani G. (2023), Piattaforme digitali e autodeterminazione. Relazioni sociali, lavoro e diritti al tempo della “governamentalità algoritmica”, Modena, Mucchi.