I dati Ocse che mettono sono la prova del nove per capire in quali dei 26 paesi che fanno parte dell’organizzazione sta prendendo piede quello che le analiste del welfare hanno da tempo definito come il modello dual earner – dual carer, dove cioè entrambi i componenti della coppia si dedicano – in egual misura – al lavoro e alla cura, e che si fonda sull’idea di un’economia a full-time ridotto. A quasi vent’anni dalla sua prima formulazione, quel paradigma resta ancora sostanzialmente sulla carta. Con poche eccezioni: guardando infatti a entrambi i dati sul “gap” (nel lavoro e nella cura), sono paesi scandinavi, Canada e USA ad avvicinarsi maggiormente all’equilibrio ideale. La Francia invece accelera sul lavoro retribuito, ma resta indietro rispetto alle mansioni di casa.
I paesi bassi meritano una parentesi tutta loro. Nel 2000 infatti il governo incentivò il part-time lungo sia per le donne che, almeno sulla carta, per gli uomini. Ma nonostante gli uomini olandesi siano oggi tra i più disponibili alla cura, un’attenta lettura dei dati spinge a ipotizzare che quella riforma non sia riuscita nel suo intento. Nel lavoro retribuito infatti lo squilibrio tra uomo e donna è ancora enorme: 114 minuti a favore dei maschi portano l’Olanda al diciannovesimo posto nella performance. Che cosa dicono questi numeri? Che il lavoro part-time resta ancora una prerogativa quasi esclusivamente femminile e che la conciliazione vita-lavoro è, in sostanza, un affare per donne.
Il part time rafforza le differenze tra uomini e donne: il paradosso olandese
Camilla Gaiaschi, La Ventisettesima Ora, 10 marzo 2014