Negli Stati Uniti dopo la pandemia si è assistito ad un notevole aumento delle dimissioni volontarie tra i lavoratori, ribattezzato con il termine “great resignation“, grandi dimissioni: lasciare il lavoro, spesso indefinitamente, per cambiare vita. Tanto che Oltreoceano è cresciuta l’inattività (non si ha un impiego, ma neanche lo si cerca, a differenza di chi è statisticamente definito disoccupato).
Anche in Italia il fenomeno c’è stato, seppure più in piccolo, ma ha avuto un esito diverso: non il cambio di vita ma, più semplicemente, il cambio di lavoro. Sul Corriere della Sera Massimiliano Jattoni Dall’Asén spiega che i dati italiani mostrano un aumento delle dimissione volontarie (+13,8% nel 2022) ma anche un aumento degli occupati. Secondo L’Università Cattolica le dimissioni volontarie di massa avvenute nel nostro Paese negli ultimi due anni (+3,6 milioni) hanno registrato come contropartita ampi tassi di ricollocazione in più settori economici. A differenze degli USA, quasi 2 milioni di dimissionari si sono ricollocati rapidamente nel mercato del lavoro.
A essere interessati dal fenomeno della great reallocation sono soprattutto i giovani, in cerca di posti di lavoro maggiormente soddisfacenti da un punto di vista umano e in grado di garantire più conciliazione tra vita privata e lavoro. “Dunque, queste dimissioni” sostiene Jattoni Dall’Asén “sono, di fatto, l’espressione di un mercato del lavoro vitale e che permette ancora ai lavoratori di licenziarsi per cercare un impiego più confacente. E non è un caso che tutto questo avvenga nelle aree del Paese caratterizzate da una maggiore vitalità: soprattutto quelle del Nord”.