"Il lavoro giusto non è solamente quello che assicura una remunerazione equa a chi lo ha svolto, ma anche quello che corrisponde al bisogno di autorealizzazione della persona e, perciò, che è in grado di dare pieno sviluppo alle sue capacità e ai sui desideri".
"In un’era in cui la condivisione sta ridefinendo il concetto di economia, welfare e sociale, è più che mai urgente attivare e rigenerare una nuova generazione d’imprese, luoghi ed economie capaci di fare della varietà l’elemento di competizione: una competizione che non si costruisce solo misurandosi con gli altri competitor (spesso inseguendoli sulla terra delle economie di scala) ma che è capace di intercettare quella domanda di beni e servizi capaci di non rendere superflue le persone, le relazioni e i significati (costruendo cioè economie coesive e di scopo)".
Su Che Fare un’interessante riflessione di Paolo Venturi e Annibale D’Elia sul ruolo del lavoro nelle economie contemporanee "che fanno della tecnologia il dispositivo su cui innestare nuovi modelli di business: modelli orientati a massimizzare il profitto attraverso conversazioni sistematiche con l’ecosistema che le circonda. Ciò che accomuna la gig economy, on demand economy, app economy è innanzitutto un “uso” dell’attività lavorativa radicalmente diversa da quella che abbiamo conosciuto, in quanto il lavoro, spesso, è svuotato della sua vera natura e assume utilità nella misura in cui “fa funzionare” un sistema sempre più distribuito e frammentato, dove i confini e l’identità dell’occupazione tendono a sfumare e a diventare impersonali e liquidi tanto quanto quelli dell’impresa".
Fa’ il lavoro giusto
Paolo Venturi e Annibale D’Elia, Che Fare, 10 gennaio 2017