Da Reggio Emilia a Pordenone passando per Vicenza e Treviso. L’epicentro del mismatch italiano, del (clamoroso) mancato incontro tra domanda e offerta di lavoro, è qui. E la vicina Lombardia non è da meno. Sembra incredibile che nel Paese dei Neet e con un tasso di disoccupazione giovanile al 32,7% gli imprenditori non trovino giovani da assumere. Eppure capita persino che in Sardegna non si trovino in loco abbastanza diplomati degli istituti alberghieri. Nella campagna elettorale delle promesse e della spesa pubblica, del mismatch probabilmente non si parlerà, invece che fare i conti con le contraddizioni della società è più comodo per i candidati litigare in tv sul colore politico del Jobs act. Il mercato del lavoro invece ha bisogno, a monte, di più domanda di occupati ma a valle anche di tenaglie e cacciavite per far funzionare i servizi di impiego. Perché come sintetizza Elena Burani dell’ufficio studi della Camera di Commercio di Reggio Emilia: «Le trasformazioni dell’impresa sono strutturalmente più veloci di quelle della scuola, il mercato corre e le istituzioni arrancano».
Il distretto del mobile Ikea
Ma partiamo dal Friuli Venezia Giulia e dal distretto del mobile Ikea dove si sono affermate medie aziende che lavorano per il colosso scandinavo. La Friulintagli è la più importante con 500 milioni di fatturato e 2 mila addetti e sta reclutando periti in Puglia e Campania perché nel Nordest non ne trova. Ne ha già inserite alcune decine ma visti i flussi che si annunciano si sta ponendo il problema alloggi. Soluzioni tipo studentato o agevolazioni per calmierare i costi dell’affitto. Problemi analoghi hanno la Tre Bi, la Media Profili e altre imprese limitrofe che, al pari di Friulintagli, non si limitano a fornire mobili a Ikea ma sviluppano soluzioni e nuovi prodotti. Hanno bisogno di personale in grado di condurre il reparto e sovraintendere agli impianti automatizzati e così si sono rivolti, tramite le agenzie private del lavoro, alle scuole della Puglia e della Campania.
Spiega Paolo Candotti, direttore dell’Unione industriali di Pordenone: «Questi giovani hanno bisogno di un’ulteriore formazione professionale in azienda. Servono infatti figure specifiche come lo squadrabordista che conduce le macchine del legno o pressopiegatori che sanno lavorare la lamiera e l’inox e i montatori meccanici. Per questo motivo con la Regione abbiamo attivato un progetto per formare 50 giovani con un tirocinio di sei mesi per coprire il disallineamento tra profili richiesti e preparazione». Le aziende friulane si lamentano quindi di avere pochi giovani che escono dalle scuole tecniche e «troppi liceali» e stiamo parlando comunque di una fase ancora precedente al 4.0, che renderà ancora più grave la carenza di figure specializzate.
Nel Reggiano mancano migliaia di figure tecniche
Spostiamoci in Emilia, l’input è lo stesso. Racconta Fabio Storchi ex presidente di Federmeccanica: «Solo nel Reggiano manca qualche migliaio di figure tecniche. La mia azienda ne cerca 15 dopo che abbiamo portato l’organico da 190 a 240 in relativo poco tempo. Vogliamo ingegneri e tecnici specializzati, del resto il momento è estremamente positivo e le aziende del territorio esportano alla grande. E sto parlando solo di ampliamento dei vecchi programmi produttivi senza ragionare sui programmi del digitale, che per ora purtroppo riguardano solo le aziende di eccellenza». La Camera di Commercio di Reggio Emilia ha quantificato il mismatch di cui parla Storchi e ne è venuto fuori che il 29,8% delle assunzioni previste dalle imprese reggiane riguarda «figure di difficile reperimento» e questo dato sopravanza le percentuali dell’Emilia Romagna (24,4%) e la stima per l’intera Italia (21,5%).
Dai dati nazionali troviamo un aiuto a compilare anche una sorta di lista nera delle professionalità che non si trovano: secondo la fonte Anpal la maggiore difficoltà di reperimento riguarda informatici, fisici e chimici ma subito dopo sono proprio i tecnici della produzione a mancare così come i conduttori di impianti. Persino gli operatori delle cure estetiche nel 53% dei casi sono difficili da reperire e qualche punto più in basso troviamo gli autisti di mezzi di trasporto.
Le cause del disallineamento? Una miscela che potremmo sintetizzare così: pochi candidati con formazione adeguata, molti senza nemmeno le competenze di base necessarie e, ancora, tanti aspiranti con caratteristiche personali giudicate poco adatte alle mansioni richieste. Spesso poi le professionalità richieste ci sono ma in una regione distante.
Il mismatch è territoriale e salariale
Se dai profili si passa alle singole abilità quella maggiormente richiesta è «la flessibilità» (termine quanto mai ampio) seguita dalla capacità di lavorare in gruppo e dall’autonomia. Ma allora è legittimo avanzare il dubbio che gli imprenditori non trovino «le persone giuste» più che i profili giusti? Ovvero non trovino giovani disponibili a cambiare mansione, ai turni, a coprire il sabato o la domenica se necessari e che si accontentino di una paga sotto i mille euro. «È giusto cercare di scavare nelle dichiarazioni degli imprenditori – risponde Bruno Anastasia direttore di Veneto Lavoro – perché l’affermazione ricorrente è non-trovo-quello-che-voglio-io, quindi un ragazzo già formato, che abiti vicino, che sia flessibile e costi poco. Quindi più che una mancanza in assoluto delle figure che si cercano il mismatch è territoriale e salariale».
Quelle persone ci sono ma altrove e con altre paghe. «E gli imprenditori cercano poco perché non hanno tempo e cercano male». E anche sull’indisponibilità culturale dei giovani Anastasia tira il freno. «Siamo sicuri che i giovani vogliano sottrarsi al lavoro manuale? Non siamo davanti a una generazione che si laurea al 100%, anzi. Poi il lavoro di cui stiamo parlando è assai diverso dal passato, potremmo definirlo semi-manuale». Per il direttore di Veneto Lavoro comunque il corretto allineamento tra domanda e offerta è difficile da ottenere in assoluto. Prendiamo il caso della medicina. «Servono medici che devono studiare per forza nelle facoltà di medicina, quindi la corrispondenza tra domanda e offerta è semplicissima, eppure alla fine mancano i medici e alcune specializzazioni vanno deserte».
Il presidente dell’Anpal Maurizio Dal Conte
Dal suo studio di presidente dell’Anpal Maurizio Dal Conte ha ben presente le contraddizioni che stanno dietro al mismatch. Ricorda come si faccia fatica a trovare anche figure professionali come i traduttori e i formatori e nella fascia bassa in qualche caso camerieri e cassiere. Assicura che si sta lavorando per avere nuovi strumenti di conoscenza, «miglioreremo l’indagine Excelsior che rimane la previsione più affidabile delle professionalità richieste divisa per territorio». Purtroppo le banche dati regionali non si parlano tra loro e gli stessi confini amministrativi – specie al Nord – lasciano il tempo che trovano nell’economia dei flussi.
Subito dopo «c’è la necessità di riorientare la formazione professionale, non possiamo dare al mercato una minestra precotta, dobbiamo sapere cosa ci chiede e agire di conseguenza». Ma saranno gli Its, i nuovi istituti tecnici a fare il miracolo, a dare per tempo all’industria i periti di nuova generazione che mancano? «Sicuramente gli Its hanno un placement medio dell’80%, il miglior tasso d’occupazione che conosciamo ma crearli costa. Bisogna costruirli coinvolgendo università, imprese, Camere di Commercio e ai costi di una start up. Con la legge di Bilancio c’è stato un primo finanziamento straordinario, bisogna moltiplicarli senza abbassare la qualità ma occorre cambiarne anche la governance, così com’è è troppo complicata». Tanto per avere le proporzioni del ritardo oggi dagli Its escono in Italia 8 mila diplomati mentre in Germania li frequentano 800 mila ragazzi.
Questo articolo è stato pubblicato sul Corriere della Sera del 14 gennaio 2018 e qui riprodotto previo consenso dell’autore