La legge 107/2015 e i successivi decreti e documenti attuativi hanno lasciato alle scuole ampio margine di autonomia nel decidere come raggiungere gli obiettivi di fondo, che però contengono gli obblighi stringenti. La legge fa riferimento alla necessità di avviare convenzioni con enti e aziende e all’importante ruolo che in tal senso le Camere di Commercio dovrebbero svolgere.
In realtà, quasi tutta la fatica ricade sul personale delle scuole, chiamato a contattare enti e imprese e a proporre a ciascuno di essi convenzioni per uno, due o pochi più studenti alla volta. Il Ministero della Pubblica Istruzione nel 2017 ha stanziato 140 milioni di euro per retribuire le migliaia di tutor interni alle scuole, conteggiando circa un milione e mezzo di studenti partecipanti, ne deriva uno stanziamento di 93 euro annui per studente. La mole di lavoro è assai superiore alle ore di lavoro teoriche coperte da questi fondi e questo può portare i docenti a un burn-out professionale per riuscire a seguire anche decine o addirittura centinaia di studenti nel corso di un anno scolastico, oppure li induce a trovare strategie per minimizzare lo sforzo.
A questo si aggiunge la mancanza di incentivi indirizzati a imprese e altri enti che si rendano disponibili ad accogliere i ragazzi nelle loro strutture, sulla base di un progetto formativo, che non deve essere simile a un rapporto di lavoro. Accogliere dei ragazzi per tre settimane legati ad un progetto formativo richiede tempo e attenzione da parte dell’ente che li accoglie. Alcune aziende, che hanno vocazioni tecniche o professionali legate alla preparazione degli studenti possono vedere un ritorno perché in alcuni casi il contatto con i ragazzi permette di fare una pre-selezione in vista di future assunzioni. Ma questi sono casi sporadici e prevalentemente legati a aziende che già da diversi anni ospitano tirocini di studenti con formazioni tecniche o professionali. Questo avviene in quei territori nei quali vi è una presenza significativa di aziende, soprattutto della filiera manifatturiera.
Le regioni dal giugno 2016 hanno iniziato ad adottare dei protocolli per migliorare la qualità degli interventi istituendo tavoli di coordinamento e protocolli di collaborazione e cercando di indirizzare una parte dei fondi europei per la formazione nella creazione di opportunità di alternanza.
In questo articolo vi presentiamo i primi risultati di una ricerca avviata nel giugno 2017, e ancora in corso di realizzazione, sull’attuazione dell’alternanza scuola-lavoro nelle Marche. Lo studio raccoglie e analizza il punto di vista di chi lavora nelle scuole attraverso 30 interviste qualitative con docenti, tutori e responsabili dell’alternanza di 15 istituti di diverso indirizzo (professionale, tecnico, liceale) di tutte le province della regione Marche.
L’organizzazione dell’alternanza
Nonostante il numero degli studenti coinvolti sia cresciuto ogni anno molti docenti rifiutano di partecipare per contrarietà agli obiettivi didattici dell’alternanza oppure per non accettare carichi di lavoro non esplicitamente e adeguatamente previsti dal contratto. Nel corso degli ultimi due anni numerosi collegi docenti sono stati teatro di accese discussioni. Il risultato è una forte delega ad alcune figure volontarie o "decise pressioni" dei dirigenti scolastici per rendere di fatto vincolante la partecipazione di tutti i docenti. In ogni scuola è stato comunque nominato dal collegio docenti un responsabile dell’alternanza, che solitamente non coincide con il dirigente scolastico. Si tratta infatti di un incarico che richiede molto tempo e dedizione, specialmente da quando l’alternanza deve coinvolgere tutte le classi e tutti gli studenti. I dirigenti delegano a un docente volontario nel quadro delle cosiddette "funzioni strumentali" ovvero un normale docente che, incentivato con poche centinaia di euro al massimo, decide di assommare al lavoro di insegnante, quello di responsabile del coordinamento di tutti i progetti di alternanza.
Le situazioni sono le più varie: nelle scuole tecniche dove l’alternanza si faceva già da anni c’erano già le competenze e le figure dei tutor che dovevano preoccuparsi che ciascun studente avesse il proprio progetto. In queste scuole è più facile trovare altri insegnanti che, magari in linea con la propria preparazione professionale, accettino di svolgere questo ruolo. Di norma, anche il coordinatore svolge funzioni tutor, ma in alcuni casi segue solo i progetti più ampi che coinvolgono più classi.
Nei licei, l’alternanza si è imposta come un fulmine a ciel sereno e trovare chi se ne facesse carico non è stato facile. A Pesaro spicca il caso di un solo docente che si è sobbarcato l’onere di tutti i progetti, circa 800, di un’intera scuola per il biennio del terzo e quarto anno. Un buon disegno organizzativo è quello che è riuscito a darsi un liceo della città costiera di Fano nel quale oggi ogni classe ha il suo tutor interno. Essendo i docenti più o meno volontari e con modesti incentivi economici, il loro impegno e la loro preparazione al compito variano considerevolmente. Questa è una delle ragioni per le quali la qualità dei progetti varia enormemente.
L’altra ragione è la grande varianza nella rispondenza del territorio circostante alle proposte che vengono dagli istituti. Abbiamo detto che la vocazione produttiva, se c’è, facilita le scuole che preparano gli studenti a svolgere alternanza in quegli ambiti. Dobbiamo considerare anche il numero delle aziende, la loro salute economica, e la disponibilità di altri enti, pubblici, no profit o privati di accogliere questi ragazzi. Secondo le testimonianze dei docenti, questa disponibilità dipende moltissimo dalle singole persone che svolgono ruoli di responsabilità dentro questi enti. Nella maggior parte dei casi, se non c’è alcun tornaconto economico, tale disponibilità si configura quasi come una missione civile e come tale può variare assai anche da un anno all’altro.
La presenza di aziende medie (superiori ai 50 dipendenti) non sembra essere di grande aiuto. Queste imprese di solito organizzano i tirocini con una maggiore qualità di progetto formativo, ma accolgono periodicamente un piccolo numero di studenti. Dalle interviste realizzate, emerge che nelle Marche alcune delle grandi aziende con cui il MIUR ha stipulato degli accordi quadro nazionali, specialmente nel caso della distribuzione, della ristorazione veloce e degli idrocarburi, sembrano essersi dotate di pacchetti di alternanza preconfezionati nei quali non sempre la qualità del progetto è esemplare. L’impiego dei giovani è più standardizzato, ed è perciò frequente che siano indirizzati verso mansioni di bassa manovalanza, la cui valenza formativa è giustificata solamente dalle frasi di rito scritte sulla modulistica.
I punti di forza dell’alternanza
Quasi tutti i docenti intervistati, anche i più critici su questa esperienza, riconoscono che la finalità di collegare meglio il percorso formativo con quello del lavoro sia un obiettivo condivisibile e richiesto dagli stessi studenti. Le precedenti esperienze delle scuole tecniche avevano già mostrato casi virtuosi di accoglienza di studenti in ambiti lavorativi nei quali potevano rendersi conto che le conoscenze e le tecnologie delle quali sentivano parlare a scuola, hanno una loro declinazione nell’attività produttiva e che a queste conoscenze si possono aggiungere molte altre competenze specifiche che si sviluppano nell’ambiente di lavoro. Oltre alle conoscenze ed abilità tecniche emerge con forza la centralità delle competenze relazionali come il rispetto degli orari e delle consegne, la capacità di stare e lavorare con gli altri, di assumersi delle responsabilità concrete. Questo secondo campo è quello che può essere sviluppato nell’esperienza di alternanza riservata ai licei, i cui studenti puntano maggiormente sullo sviluppo di competenze generali e flessibili, piuttosto che sulla spendibilità immediata in termini lavorativi di abilità e conoscenze settoriali.
Per questo motivo molte scuole hanno cercato di non suddividere i periodi di alternanza in appuntamenti troppo brevi. Lo sviluppo delle competenze relazionali necessita infatti di un certo periodo di adattamento. Molti tutor ci hanno segnalato come la prima settimana abbia infatti proprio questa funzione adattiva. La durata dell’alternanza va però a scapito della continuità della frequenza scolastica. Interrompere continuamente, o per lunghi periodi, lo studio e la frequenza alle lezioni può produrre negli studenti, a detta dei docenti, confusione e perdita di attenzione. Il monte ore è cospicuo e non è possibile smaltirlo in pochi pomeriggi. Ecco perché molti progetti sono stati programmati in prossimità delle vacanze estive o natalizie o addirittura durante queste ultime. Quest’ultimo posizionamento però è particolarmente sgradito agli studenti perché estende l’impegno scolastico oltre la normale durata delle lezioni ed entra in concorrenza con la possibilità di svolgere piccoli lavori saltuari per ottenere un reddito. Infine, collocare l’alternanza solamente nei pomeriggi è molto difficile perché i ragazzi sono già impegnati nello studio, nello sport o in altre attività.
Problemi emersi dall’implementazione dell’alternanza scuola lavoro
Per maggiore chiarezza vorremmo elencare le criticità più importanti che stanno emergendo nella nostra ricerca e che richiederebbero altro approfondimento.
La quantità di ore
Il passaggio all’alternanza obbligatoria per tutti gli istituti è stato meno faticoso per chi aveva già avviato delle esperienze in precedenza. Tra gli istituti professionali e tecnici era molto diffusa ma solo alcune scuole la prevedevano per tutti gli studenti, nella maggioranza degli istituti l’alternanza si svolgeva su base volontaria oppure riguardava alcune classi e alcuni anni di corso, raramente tutti e tre gli ultimi anni. Il monte ore svolto era molto variabile e tuttavia in nessun istituto di quelli che abbiamo preso in considerazione raggiungeva l’attuale numero di 400 ore nel triennio. Completamente diversa la situazione dei licei. Qui l’alternanza non si faceva, come del resto non si fa tutt’ora nel paese modello del vocational educational training, vale a dire la Germania. Ancora oggi in Italia gli studenti liceali sono in prevalenza indirizzati a un successivo studio universitario, tanto che alcune scuole utilizzano forme avanzate di orientamento universitario come parte integrante delle ore di alternanza almeno nell’ultimo anno.
Nella quantità si rischia di perdere la qualità
Se, ad esempio, in un istituto c’erano dei buoni progetti di alternanza composti di 80 ore all’anno di tirocinio più 40 di formazione teorica, perché obbligarli a raggiungere comunque la soglia delle 400 ore? Il rischio secondo alcuni docenti è quello di allungare forzatamente i tempi, chiedendo alle imprese uno sforzo volontario ulteriore, peggiorando così la qualità del progetto. Molte scuole hanno sfruttato l’opportunità di fare la simulazione d’impresa, espressamente permessa dalla legge 107/2015. Questo sistema semplifica le cose perché un’intera classe va avanti con un solo progetto e senza dover uscire da scuola. Però molti insegnanti sostengono che questa non sia “vera alternanza”, e qualcuno dice che è “un giochino”. Inoltre anche negli istituti professionali che abbiamo studiato, spesso per raggiungere le 400 ore previste dalla legge, specialmente al quinto anno gli studenti si sforzano di "certificare" una miriade di attività lavorative gratuite esterne o di attività extra-curricolari che rappresentano genericamente delle "esperienze" e non un organico progetto didattico.
Per i licei che sono dovuti passare da zero a 200 ore lo sforzo organizzativo è stato ingente. Essi non avevano canali di contatto con le imprese o le altre realtà del territorio dai quali partire e se li sono dovuti inventare, oltretutto presentandosi a interlocutori che spesso erano impegnati con istituti più professionalizzanti. Non avendo ricevuto nessun aiuto da altre istituzioni pubbliche o private presenti sul territorio, si sono arrangiati. Di norma il responsabile dell’alternanza telefona per ore cercando interlocutori e chiedendo aiuto alle famiglie degli stessi studenti per sapere chi può ospitare o conoscere qualcuno che possa ospitare studenti in alternanza. Il risultato è stato qualche buon progetto campione e una pletora di micro-progetti la cui qualità si basava variava enormemente in base alla fantasia e alla capacità del tutor interno, alle possibilità offerte dal territorio, al capitale sociale dei singoli studenti e quindi alle disponibilità di parenti e amici di condividere questa esperienza. Imprese, studi professionali, associazioni no profit, istituzioni pubbliche, sono state coinvolte tramite i canali della conoscenza formale, ma soprattutto informale. Per arrivare a 200 ore in ambiti meno professionali dei tecnici, un solo progetto per studente non basta. Perciò il rischio è che il secondo progetto sia peggiore del primo o che sia un irragionevole allungamento di buon progetto iniziale.
L’abuso dell’alternanza
Nella frettolosa creazione di progetti che hanno coinvolto il territorio non deve perciò stupire che periodicamente si riscontrino casi di abuso dell’alternanza. Questo si verifica quando il progetto formativo collegato al tirocinio è inconsistente o quando questo progetto è stravolto rispetto a quanto previsto sulla carta. Il primo caso si verifica soprattutto quando il tutor scolastico, spinto dalla necessità di assicurare a tutti gli studenti il pacchetto di ore minimo, non avendo altre opzioni possibili, deve accettare progetti di modesta qualità. In questo caso i problemi sono creati dal disinteresse o impreparazione del tutor aziendale e da comportamenti opportunistici dell’impresa che sfrutta lo studente in alternanza per compiti lavorativi senza contenuto formativo. Può accadere anche che tutor esterno, in accordo con lo studente, riduca di fatto il progetto all’impegno minimo. La scheda di valutazione risulterà comunque ottima a prescindere dai risultati reali perché, come riportato dai tutor interni, più delle volte l’impresa non vuole avere problemi con la scuola o reclami da parte delle famiglie.
La distorsione del mercato del lavoro
L’abuso dell’alternanza scuola-lavoro può portare anche a distorsioni nel mercato del lavoro locale e nella sana concorrenza tra imprese. Questa avviene quando si sfrutta lo studente per fargli svolgere compiti di bassa manovalanza con un ritorno economico, seppur modesto, per l’azienda. Rientrano in questa categoria, specie nelle Marche, tutta quella serie di lavori stagionali che nelle località turistiche i giovani hanno sempre svolto nella stagione estiva per guadagnare qualche soldo. Gli abusi sono difficili da scoprire perché i tutor scolastici per mancanza di tempo o di motivazione spesso limitano la supervisione a una telefonata in azienda e le direzioni provinciali per il Lavoro ricevono una notifica ma non hanno la possibilità di condurre ispezioni visto il numero delle persone coinvolte e la breve durata degli stage. L’abuso appare evidente quando l’azienda richiede la presenza degli studenti per lunghi periodi estivi o quando comunica un numero di dipendenti non vero per aumentare il numero di studenti in alternanza che può ospitare.
In alcuni casi, è possibile che esista un assenso dello studente che viene remunerato parzialmente a nero, mentre il datore di lavoro gode della copertura legale dell’alternanza in caso di controlli ispettivi. Gli studenti degli istituti alberghieri sono particolarmente a rischio di subire questi abusi in un settore come quello del turismo dove il lavoro nero e sottopagato è molto diffuso. Alcuni tutor scolastici ci hanno raccontato di aver rifiutato richieste di questo genere. Questo rischio, in ambito turistico, può essere parzialmente ridotto non facendo alternanza nei periodi di alta stagione. Ma come abbiamo visto in precedenza molte scuole richiedono di far svolgere i tirocini esterni al fuori del calendario scolastico per non pesare troppo sulle materie curriculari.
Le critiche sollevate dagli studenti in più occasioni pubbliche come manifestazioni, assemblee e conferenze nelle Marche vertono sul fatto che mentre i contenuti formativi di questa attività sono piuttosto difficili da organizzare e valutare, gli effetti nocivi sul rapporto tra giovani e lavoro emergono chiaramente. L’occupabilità dei giovani, presentata dall’alternanza come uno dei due obiettivi chiave insieme alla formazione, è decisamente difficile da quantificare di fronte ad un mercato del lavoro evidentemente sfavorevole se non chiuso per i giovani diplomati e laureati. Mentre nel modello tedesco l’alternanza scuola lavoro gli studenti sono inquadrati come lavoratori in formazione, nelle Marche e in Italia, tranne qualche caso sporadico, non c’è traccia di questo approccio. Gli esiti e la qualità del percorso formativo ed educativo dell’alternanza sono incerti e difficilmente valutabili nel breve periodo mentre sono sempre più evidenti i rischi che la disponibilità costante di lavoro gratuito e obbligatorio dei giovani possa indebolire la loro posizione già molto vulnerabile.
Conclusioni
In sintesi, l’applicazione della legge 107/2015 è stata pervasiva e ha modificato profondamente la prassi delle scuole superiori delle Marche. Tuttavia l’estrema diversificazione delle pratiche e dei risultati e l’elevata frammentazione territoriale rendono difficile disegnare una valutazione globale. A molti insegnanti il numero di ore minimo per ciascuno studente appare eccessivo e sembra non tenere conto delle esperienze precedenti l’introduzione dell’obbligatorietà. L’obbligatorietà potrebbe essere rivista inserendo invece un sistema di incentivi basato sulla qualità dei percorsi formativi. Manca inoltre un sistema di obblighi e di incentivi che mobiliti le istituzioni del territorio e le imprese rendendo l’implementazione di questa politica un processo realmente condiviso. Le criticità sono numerose e di difficile soluzione nel quadro attuale che prevede l’obbligo per tutti gli studenti ed una quantità di risorse evidentemente non sufficienti a sostenere lo sforzo richiesto. Infine, come abbiamo rilevato in passato per Garanzia Giovani , anche l’alternanza sconta il fatto di essere dipendente nei suoi esiti da un mercato del lavoro debole e molto diseguale nei confronti dei giovani. Su quest’ultimo fronte, sarebbero altre le politiche da mettere in atto, in primis uno stimolo alla creazione di nuovi posti di lavoro aperti ai giovani.