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Il 22 gennaio l’Italia, terzo Paese datore di lavoro domestico in Europa, ha ratificato la Convenzione ILO sul lavoro dignitoso per le lavoratrici e i lavoratori domestici – prima tra tutte le nazioni europee. Secondo il rapporto ILO Domestic workers across the world: global and regional statistics and the extent of legal protection, questo settore impiegherebbe 5,6 milioni di lavoratori, scarsamente tutelati e molto spesso vittime di sfruttamento: migliorare la legislazione in materia di lavoro domestico significherebbe, quindi, migliorare le condizioni di lavoro, e di vita, di milioni di persone nel mondo.
 

Il lavoro domestico nel mondo

Sulla base dei dati raccolti dall’ILO in 117 Paesi, sarebbero 52,6 milioni i lavoratori domestici nel mondo, ben 19 milioni in più rispetto al 1995 (33,2 milioni). Questa cifra, tuttavia, sottostima il numero reale dei domestic workers poiché non tiene conto né del lavoro sommerso, né dei “piccoli” lavoratori di età inferiore a 15 anni, che ammonterebbero a ben 7,4 milioni.
Più di tre quarti dei lavoratori domestici sono localizzati in due sole aree: Asia/Pacifico ed America Latina/Caraibi – rispettivamente 41% e 37% -; seguono Africa con il 10%, i paesi industrializzati (8%) e il Medio Oriente (4%) [Figura 1, b].
Nonostante un numero considerevole di uomini siano occupati nel settore – in particolare come giardinieri, autisti o domestici – il lavoro domestico resta un tipo di impiego prevalentemente femminile, pari all’83% [Figura 1, a]. A livello mondiale, tra l’altro, il domestic work costituisce ben il 3,5% del lavoro femminile, ma ci sono regioni dove il livello si alza considerevolmente: 1 donna su 5 nel Medio Oriente, 1 su 6 in America Latina e Caraibi.
 

Figura 1. Distribuzione dei lavoratori domestici per sesso e regione, 2010

Fonte: Domestic workers across the world: global and regional statistics and the extent of legal protection, ILO, 2010.

 

Diritti e tutele dei lavoratori domestici

I lavoratori domestici spesso non godono di buone condizioni di lavoro: salari bassi, orari di lavoro illimitati, nessun diritto a giorni di riposo garantiti e, talvolta, sono esposti ad abusi psicologici, mentali o sessuali. Queste scarse tutele dipendono principalmente dal debole potere contrattuale dei lavoratori che, il più delle volte frammentati ed isolati, faticano a organizzarsi in associazioni di rappresentanza sindacali e usufruire degli strumenti della contrattazione collettiva.

Ma lo sfruttamento dei domestic workers riflette spesso anche le discriminazioni di genere, casta e razza: estendere le loro tutele significa quindi anche favorire l’uguaglianza e la giustizia sociale. I lavoratori migranti, ad esempio, a causa del loro status giuridico precario e della scarsa conoscenza della lingua e della legislazione del Paese ospitante, risultano particolarmente vulnerabili.

In generale sussistono evidenti disparità di trattamento tra i lavoratori domestici e gli altri lavoratori. Solo il 10% beneficia infatti delle stesse leggi, mentre il 29,9% (cioè più di un quarto) ne è completamente escluso. Nel mezzo esiste una grande varietà di regimi intermedi che il rapporto ILO analizza attraverso tre elementi: orario di lavoro, salario minimo e “pagamenti in natura”, diritti di maternità [Figura 2].
 

Figura 2. Tutela dei lavoratori domestici nella legislazione nazionale, 2010


Fonte:Domestic workers across the world: global and regional statistics and the extent of legal protection, ILO, 2010.

 

Con rifermento all’orario di lavoro, più della metà dei lavoratori domestici (56,6%) non ha alcun limite alle ore lavorative settimanali e il 45% circa non ha diritto ad alcun riposo settimanale [Figura 2, a-b]. Passando ai salari la situazione è leggermente migliore. Infatti il 51,3% gode delle stesse tutele relative al salario minimo degli altri lavoratori, mentre il 5,9% ha comunque diritto ad un salario minimo, sebbene inferiore a quello degli altri. Resta tuttavia un 42,6 % che non ha alcuna tutela. C’è poi una consistente area grigia costituita dai cosiddetti “pagamenti in natura”, cioè dalle detrazioni dai salari per vitto e alloggio – molto frequenti soprattutto quando i domestic workers vivono presso i loro datori di lavoro – dietro i quali si celano meccanismi di sfruttamento ancora più gravi [Figura 2, c-d]. Venedo infine ai diritti e alle indennità di maternità, la questione dei diritti legati alla maternità è di fondamentale rilevanza se consideriamo che l’83% dei domestic workers sono donne. Più di un terzo di queste non beneficiano né del congedo di maternità né di alcuna indennità. Anche quando le lavoratrici hanno accesso a qualche schema di assicurazione sociale che preveda queste tutele, i criteri restrittivi del means test e il fatto che non sussista l’adempimento forzato della legge possono ostacolarne l’accesso effettivo [Figura 2, e-f].


Obiettivi e iniziative internazionali nell’ambito del lavoro domestico

Il rapporto evidenzia l’urgenza di istituire e implementare un nuovo quadro normativo che assicuri ai lavoratori domestici gli stessi diritti previsti per gli altri lavoratori. La Convenzione 189 e la relativa Raccomandazione 201, adottate dall’ILO nel 2011, hanno incoraggiato diversi Stati a riformare la legislazione nazionale in materia di lavoro domestico introducendo: durata di lavoro ragionevole; riposo settimanale di almeno 24 ore consecutive; limitazione dei pagamenti in natura; informazioni chiare sui termini e le condizioni di assunzione; rispetto dei principi e dei diritti fondamentali del lavoro, in particolare libertà di associazione e diritto alla contrattazione collettiva. Solo 4 paesi, tuttavia, hanno finora ratificato la convenzione: Uruguay, Filippine, Mauritius e, il 22 gennaio 2013, anche l’Italia. Altri due hanno completato le procedure di ratifica e molti altri le stanno avviando.


Il lavoro domestico in Italia

L’Italia è il terzo Paese datore di lavoro domestico in Europa, dopo Spagna (747.000) e Francia (589.900): i dati del 2008 contano 419.500 domestic workers (cioè l’1,8% del totale degli occupati), di cui 49.300 uomini e 370.200 donne (l’88% circa). Il lavoro domestico è svolto prevalentemente da immigrati – provenienti soprattutto dall’Europa dell’Est (47%) e dall’Asia (18%) -, mentre gli italiani sono solo il 18% circa.

Il contratto collettivo nazionale per il settore domestico, copre oggi praticamente tutti gli aspetti relativi alla condizione ed al rapporto di lavoro (assunzioni con contratto scritto; orario di lavoro, straordinari, lavoro notturno, riposo giornaliero di 11 ore consecutive e settimanale di 36; ferie annuali di 26 giorni; malattia ed infortuni; condizioni di vitto e alloggio per i lavoratori che convivono con il datore di lavoro; cessazione del rapporto di lavoro). Il nostro ordinamento prevede sanzioni amministrative e/o penali per il datore di lavoro che evade gli obblighi di legge, tuttavia si riscontrano difficoltà nella loro applicazione, a causa dell’alto grado di frammentazione e informalità di cui il settore soffre. Si conta infatti che almeno il 40% operi a livello di economia sommersa.

Pare, comunque, che siano in atto cambiamenti positivi. Il 22 gennaio 2013, infatti, il Governo italiano ha depositato presso l’ILO lo strumento di ratifica della Convenzione sul lavoro dignitoso per le lavoratrici e i lavoratori domestici (n. 189 del 2011), distinguendosi quale primo Stato dell’Unione Europea e del gruppo IMEC (paesi industrializzati ad economica di mercato) a ratificare la norma. La Convenzione entrerà in vigore il 5 settembre 2013.

 

Riferimenti

Domestic workers across the world: global and regional statistics and the extent of legal protection, ILO, 2010

Italia ratifica Convenzione ILO lavoro dignitoso lavoratori domestici, ANFOS, Daria De Nesi, 24 gennaio 2013

Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali

Lavoro dignitoso per i lavoratori domestici, FILCAMS-CGIL

Convenzione sul lavoro dignitoso per le lavoratrici e i lavoratori domestici (n. 189/2011)

Equal at Work, Osservatorio sulle pari opportunità nel lavoro, 26 febbraio 2013, n 1- CISL

 

 

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