Ormai è sotto gli occhi di tutti: le ondate di calore non sono più eventi sporadici che spiazzano; sono piuttosto diventate un’abitudine, e ogni anno non è questione di “se” ma di “quanto” la temperatura media si alzerà rispetto al precedente. A confermarlo c’è anche il progetto europeo Copernicus, che utilizza i satelliti per monitorare – tra le altre cose – l’andamento della la crisi climatica: il 2023 è stato l’anno più caldo mai registrato.
Le conseguenze di tutto questo sull’ambiente sono abbastanza chiare – o almeno dovrebbero esserlo – ma risvolti negativi sono ormai evidenti anche sul nostro modo di abitare e lavorare, con conseguenze sociali soprattutto per determinati gruppi di persone.
In quest’ultima categoria rientrano, per esempio gli agricoltori e chiunque lavori in ambiti afferenti al settore agricolo, a causa delle gravi siccità sempre più frequenti, ma un’altra categoria esposta è quella dei lavoratori in attività che producono calore o lavoratori operanti all’aperto con equipaggiamenti pesanti. Non solo lavoro, però: è anche una questione anagrafica, con anziani e bambini molto più esposti ai danni – spesso fatali per i primi – del calore, nonché un ulteriore rischio per gli ultimi e gli esclusi, come le persone senza dimora, che si trovano inermi di fronte sia al freddo che al caldo.
Circa le contromisure, è quantomeno possibile tentare di mitigare gli impatti più duri, innanzitutto proteggendo i più vulnerabili e garantendo loro l’accesso alle cure o a tutti i conforti necessitati, ma è altresì fondamentale intervenire sulle architetture urbane delle nostre città, così come promuovere programmi di educazione e formazione.
Il tema è approfondito da Chiara Lodi Rizzini sul sito di Fondazione Lottomatica, nell’ambito di una partnership in cui approfondiamo i temi della sostenibilità sociale e d’impresa con attività di ricerca, definizione di agenda programmatica e di comunicazione.