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Il 16 e il 17 settembre 2016 si è tenuta presso la Fortezza da Basso di Firenze la Conferenza Nazionale sulle Politiche per la Disabilità intitolata “Uniti, Diritti, alla Meta”, durante la quale è stata presentata la proposta del Secondo Programma Biennale di Azione per la Promozione dei Diritti e l’Integrazione delle Persone con Disabilità, elaborato dall’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità. Di seguito vi proponiamo una sintesi del dibattito nato intorno al documento, con un un focus sui temi dell’inclusione sociale e la vita indipendente. 


I punti principali del Secondo Programma Biennale

Come già anticipato in alcuni articoli precedenti (Verso la Conferenza Nazionale sulle Politiche per la Disabilità 2016; A dieci anni dalla Convenzione ONU, l’Italia si interroga sulle politiche per la disabilità) il documento è stato suddiviso in sette linee d’intervento le quali sono state discusse e approfondite durante la Conferenza grazie ai contributi dei partecipanti:

1. Riconoscimento/certificazione della condizione di disabilità e valutazione multidimensionale finalizzata a sostenere il sistema di accesso e la progettazione personalizzata: l’idea centrale sviluppata dal gruppo di lavoro, ripresa dalla proposta programmatica, è il superamento delle attuali modalità di riconoscimento dell’invalidità, ritenute frutto di un rapporto “malato” tra cittadino e Stato ove si ritiene che il primo mira a ingannare il secondo che diffida a priori di ogni richiesta. E’ stato quindi richiesto di adottare modalità di accertamento basate sul modello bio-psico-sociale e sull’ICF (International Classification of Functioning, Disability and Health, classificazione della disabilità promossa dall’OMS), con una valutazione multidimensionale effettuata da un’equipe composta prevalentemente da professionisti sociali (educatori, assistenti sociali, psicologi…) integrata dal supporto scientifico di accademici. L’equipe deve sviluppare un progetto di vita insieme alla persona con disabilità per valorizzarne le potenzialità e individuare i supporti necessari a garantirne l’inclusione sociale (attualmente al contrario viene valutata la menomazione).

2. Politiche, servizi e modelli organizzativi per la vita indipendente e l’inclusione nella società: questo tema che verrà approfondito nel prossimo paragrafo.

3. Salute, diritto alla vita, abilitazione e riabilitazione: il problema principale è l’effettiva esigibilità dei Livelli Essenziali di Assistenza su tutto il territorio nazionale essendovi ancora molte differenze territoriali. Viene individuato come problematico il difficile accesso a percorsi di prevenzione, diagnosi, ai farmaci e si chiede un maggior monitoraggio. Il gruppo di lavoro ha proposto come parole chiave la personalizzazione, la prossimità, la specializzazione e la trasversalità.

4. Processi formativi ed inclusione scolastica: nonostante l’Italia abbia investito tantissimo sull’inclusione scolastica e abbia ottenuto il plauso delle Nazioni Unite, rimangono diversi nodi scoperti a partire dalla dispersione e dalle disuguaglianze di genere. È necessario quindi garantire l’attivazione di processi realmente inclusivi che consentano a tutti gli studenti con disabilità di partecipare all’apprendimento andando oltre alla semplice integrazione scolastica. Viene suggerito di definire più chiaramente aspetti come l’assistenza e il trasporto e formare trasversalmente tutti gli insegnanti sulla disabilità mentre ora questa formazione specifica compete solo agli insegnanti di sostegno.

5. Lavoro e occupazione: il gruppo di lavoro ha individuato una criticità nell’inserimento lavorativo delle persone con disabilità psichica e più in generale alcuni punti significativi che dovrebbero essere sviluppati: il potenziamento dei centri per l’impiego inserendo ulteriori professionalità; il sostegno all’imprenditorialità e al lavoro autonomo; l’attivazione di partenariati profit/non profit per il collocamento mirato; favorire il raccordo tra scuola e mondo del lavoro; stimolare modalità di accomodamento ragionevole per l’inserimento di persone con disabilità nelle aziende come l’introduzione della figura del disability manager e di un osservatorio aziendale su basi paritetiche composto da rappresentanti dell’azienda e dei lavoratori, prassi risultate efficaci come testimoniano le esperienze di diverse imprese (Unicredit, Unipol, Enel, Alma Viva, Hera…). Silvia Stefanovichj, responsabile per la Disabilità e il Work-Life Balance della Cisl, ha sottolineato l’importanza di questi strumenti per la positiva inclusione della persona con disabilità in azienda in quanto tale processo non è determinato solo dalla normativa bensì dalla collaborazione tra tutti gli attori in gioco, imprenditori, dirigenti, lavoratori, sindacati. Ovviamente la normativa va adeguata al mutare del contesto sociale e a questo fine risulta strategico introdurre incentivi per la contrattazione di primo e secondo livello in materia di flessibilità e conciliazione dei tempi vita-lavoro (sia per le persone con disabilità che per i care giver), l’estensione del diritto al part time per le persone con disabilità grave, la possibilità di usufruire dello smart working, anche se su basi rigorosamente volontarie, e il monitoraggio relativo al funzionamento del Fondo previsto dalla Legge 68/1999 con adeguamento delle risorse se non sufficienti.

6. Promozione e attuazione dei principi di accessibilità e mobilità: il gruppo di lavoro partendo dalla constatazione che le indicazioni presentate nel precedente Programma sono state ampiamente disattese, ha chiesto che in un’ottica di mainstreaming siano portati avanti interventi che facilitino la piena partecipazione delle persone con disabilità alla vita sociale adattando quindi gli ambienti e le procedure: questo concetto va oltre la rimozione delle barriere architettoniche in quanto le persone con disabilità sensoriale hanno bisogno di adeguamenti di altro tipo e le persone con disabilità intellettiva potrebbero avere una maggiore autonomia se procedimenti o documenti pubblici fossero formulati in modo più semplice. Viene proposto di inserire la progettazione inclusiva nei curricula di tutti i professionisti coinvolti, far diventare l’accessibilità materia scolastica obbligatoria e favorire l’uso degli ausili (strumenti tecnici atti a superare le difficoltà fisiche o sensoriali e a garantire l’accesso alla vita sociale), ritenuti dall’O.M.S. pilastro di ogni sistema sanitario, al pari di farmaci, vaccini e dispositivi medici.

7. Cooperazione internazionale: disabilità e cooperazione internazionale sono due ambiti d’intervento che si sono “incontrati” già da alcuni anni ma vi sono diversi aspetti che possono essere implementati come l’inserimento dei principi della progettazione inclusiva e del mainstreaming nei programmi di sviluppo e di conseguenza nei Master universitari che formano i futuri cooperanti, l’istituzione di borse di studio per studenti con disabilità, una maggiore attenzione alle questioni relative alla disabilità negli interventi relativi alle catastrofi naturali e la valorizzazione dell’istituto della cooperativa sociale alla luce della legge 125/2014 “Disciplina generale della cooperazione internazionale allo sviluppo”. Viene poi suggerito di valorizzare il 2018 quale Anno Europeo del Patrimonio Culturale per favorire la cooperazione tra Paesi europei nell’ambito della disabilità.

8. Sviluppo del sistema statistico e di reporting sull’attuazione delle politiche: a fronte di una elevata frammentazione e disomogeneità dei dati disponibili che caratterizza il nostro paese, i partecipanti al gruppo di lavoro hanno evidenziato come per attuare politiche efficaci sia necessario avere una buona base di dati statistici. È stato quindi suggerito il raccordo tra dati statistici e dati amministrativi (raccolti dalle amministrazioni coinvolte nei servizi per la disabilità) e la loro completa digitalizzazione, l’approfondimento al livello territoriale di competenza (spesso i dati si fermano al livello regionale) quando i servizi sono di competenza degli enti locali, l’omogeneizzazione degli strumenti di raccolta e l’attenzione alle famiglie che sono dietro le singole persone.


Politiche, servizi e modelli organizzativi per la vita indipendente e l’inclusione nella società

Di seguito si approfondisce l’attività del gruppo di lavoro dedicato alla vita indipendente e all’inclusione sociale, al quale ha preso parte chi scrive. Gli aspetti più rilevanti emersi dalla discussione sono riassunti di seguito.

Implementazione dei servizi per la vita indipendente: è risultato il tema più dibattuto del gruppo e uno dei principali dell’intera Conferenza (insieme al Piano per le Non Autosufficienze e agli inserimenti lavorativi). Garantire la possibilità della vita indipendente non significa far vivere la persona con disabilità da sola, questo non è possibile quasi in nessun caso, bensì significa che la persona con disabilità decide in completa autonomia della propria vita e abbia accesso ai sostegni necessari per realizzare i propri intenti. Di fatto quindi la disabilità non può essere considerata un tema a sé ma deve essere trattata trasversalmente a tutte le linee d’intervento del Programma. Dalla maggior parte degli interventi è infatti emerso che spesso molti servizi non sono accessibili alle persone con disabilità e non in tutti i territori vi sono possibilità alternative all’inserimento in una struttura residenziale. È stato proposto come principale strumento il “progetto per la vita” finalizzato a definire le potenzialità della persona, i suoi desideri e le sue aspirazioni, individuando i sostegni necessari: uno strumento differente dal progetto assistenziale individualizzato e da altri strumenti affini in quanto da un lato supera completamente l’approccio medico e dall’altro è centrato sulla persona e non sui servizi. E’ opportuno però rilevare come il progetto per la vita sia stato anche oggetto di critiche, provenienti da esponenti dei movimenti per la vita indipendente, tra cui Raffaello Belli, in quanto una persona con disabilità dovrebbe poter vivere liberamente la propria vita senza essere tenuta a presentare alcun progetto ai servizi sociali. In alternativa è stato proposto che ogni persona con disabilità riceva un budget che possa spendere per assumere privatamente un assistente personale che lo supporti nelle attività quotidiane, come già sperimentato in alcune città italiane (e in diversi contesti esteri).

Modalità di gestione dei servizi residenziali: è stato questo un aspetto molto dibattuto, in particolare in relazione al rischio di segregazione. È stato rilevato come non solo le grandi strutture, con numerosi posti letto, siano segreganti, ma anche realtà piccole, come le case famiglia, o talvolta le stesse famiglie d’origine, possano esserlo, se limitano la libertà di scelta della persona con disabilità, garantiscono pochi contatti spontanei con l’esterno e non danno possibilità di partecipare alla vita sociale (come è noto ci sono casi di persone con disabilità intellettiva che hanno vissuto per decenni all’interno della stessa struttura). La proposta che è stata avanzata dal gruppo di lavoro, ripresa dal Programma, è il blocco dei finanziamenti anche indiretti e il divieto di convenzione o accreditamento per le strutture ritenute segreganti. Una proposta che a monte implica dare una definizione di struttura segregante, eventualmente partendo dalla norma UNI 11010/2016.

Accessibilità di tutti i servizi rivolti al cittadino: in un’ottica di mainstreaming la persona con disabilità deve poter accedere senza preclusioni o ostacoli a tutti gli ambiti della vita sociale, in particolar i servizi pubblici. Questo richiede la revisione delle modalità di accesso ed erogazione di tutti i servizi, per verificarne l’effettiva accessibilità; il gruppo di lavoro ha in effetti identificato diverse problematiche, in particolare per le donne con disabilità che faticano a vivere pienamente momenti importanti come la gravidanza e la maternità, anche a livello di accesso fisico alle strutture sanitarie e ai servizi scolastici frequentati dai figli…

Diritti civili e disabilità: questo aspetto è stato approfondito grazie allo stimolante contributo del Prof. Paolo Cendon, ordinario di diritto privato presso l’Università degli Studi di Trieste. Cendon ha sottolineato come in materia di diritto civile ci sia ancora molto lavoro da fare per garantire l’esigibilità dei diritti delle persone con disabilità: in primo luogo è necessario abolire l’interdizione legale, uno strumento antico ma inutilmente vessatorio; in secondo luogo, andrebbe sostenuta e promossa l’implementazione dell’amministrazione di sostegno, uno strumento più agile che consente alla persona con disabilità di essere supportata in certi atti senza limitarne la volontà e la capacità di decidere della propria vita; in terzo luogo è necessario e urgente concretizzare i diritti civili previsti dal nostro ordinamento nella vita della persona con disabilità. Secondo Cendon non sarebbe necessario stendere una nuova “carta dei diritti” bensì proiettare i diritti di tutti nella vita delle persone con disabilità. Una persona, anche con una disabilità intellettiva, se ha un nucleo di volontà e consapevolezza deve poter fare testamento, contrarre matrimonio e decidere nei vari ambiti della vita. In questo è importante avere un progetto di vita che rappresenti la volontà della persona e la tuteli, anche dal punto di vista civile. Molta strada rimane da fare su questo versante se si considera che anche la recente legge sul “dopo di noi” si limita agli aspetti patrimoniali e non interviene a normare gli aspetti legati al riconoscimento delle volontà delle persone con disabilità.


Conclusioni

La discussione delle linee d’intervento del Programma, in particolare di quella sulla vita indipendente e l’inclusione sociale, ha messo in luce diversi aspetti rilevanti dell’evoluzione delle politiche per la disabilità nel contesto italiano.

Innanzitutto è opportuno rilevare come l’Italia abbia a lungo adottato un approccio assistenzialista e settoriale alla disabilità, con la conseguenza che se in alcuni campi, come i servizi alla persona, si sono fatti notevoli passi avanti, in altri, come il riconoscimento dell’invalidità, questo non è avvenuto. Rimangono poi critici tutti i settori di policy non connessi alle politiche sociali, come la cultura, i trasporti…

Vi sono poi settori d’intervento, come la scuola e il mondo del lavoro, in cui emergono problematiche, ad esempio la dispersione scolastica e la disoccupazione, che si ripercuotono maggiormente sulle persone con disabilità senza che siano messe in campo adeguate e specifiche misure per contrastare questi fenomeni.
Il quadro che emerge complessivamente è ancora una seria difficoltà delle persone con disabilità a vivere pienamente l’essere cittadini: incontrano, infatti, difficoltà economiche, giuridiche, pratiche nell’accedere a spazi e servizi, organizzative per riuscire a incrociare i sostegni di cui necessitano.

Varie sono le risposte che emergono alla richiesta di avere una vita indipendente, e varie sono le realtà che le propongono, si va dalle convivenze in appartamento all’assistenza personale. È un ambito in cui è necessario fare chiarezza in quanto non può esserci una risposta unica per tutte le persone con disabilità con storie e situazioni personali differenti; è opportuno identificare bene le idee che stanno dietro ai diversi modelli, comprendere come si sono evoluti e a quali bisogni possono rispondere, senza cadere nella tentazione della battaglia ideologica. Ugualmente è rischioso definire le strutture organizzate, in particolare se di piccole dimensioni, come “segreganti” in quanto in molti casi forniscono una risposta di qualità, necessaria per persone con una disabilità intellettiva grave; vi è sicuramente il rischio di segregazione e per questo è utile rivederne i criteri di funzionamento, rinforzare i controlli e investire sul personale (per numero e formazione).