Nel 2002 il Consiglio europeo di Barcellona ha stabilito l’obiettivo di garantire un posto all’asilo nido per almeno il 33% dei bambini di età compresa tra 3 e 36 mesi, obiettivo innalzato al 45% nel 2022. In Italia, però, meno del 35% dei bambini sotto i tre anni frequenta questi servizi, un dato inferiore alla media europea del 37,5%.
La situazione italiana riflette una carenza nell’offerta di strutture, ma anche una certa rigidità nella domanda: molte famiglie non vedono il nido come un passaggio fondamentale per la crescita dei figli. Una ricerca condotta dal Collegio Carlo Alberto, in collaborazione con la Fondazione Ufficio Pio e la città di Torino, ha cercato di comprendere meglio le motivazioni delle famiglie torinesi che non usufruiscono dei servizi educativi per la prima infanzia. Gli autori e le organizzazioni coinvolte ne hanno parlato in un articolo pubblicato recentemente su lavoce.info.
Dallo studio, realizzato su dati riferiti a quasi 7mila famiglie torinesi, emerge che il 60% dei bambini iscritti alla scuola dell’infanzia nel 2020 non aveva frequentato in precedenza l’asilo nido. Tra i fattori che influenzano questa scelta si evidenziano, per esempio, la nazionalità dei genitori e la composizione familiare. L’occupazione della madre risulta particolarmente significativa: i nuclei con madri inattive o disoccupate hanno una probabilità molto più bassa di iscrivere i figli al nido.
La scarsità di informazioni gioca un ruolo rilevante: molte famiglie, in particolare quelle straniere, non sono a conoscenza dei servizi disponibili e delle agevolazioni economiche come il bonus nido. Inoltre preoccupazioni legate alla salute dei bambini, come il rischio di ammalarsi frequentemente, contribuiscono a scoraggiare la frequenza. Come si legge nell’articolo su lavoce.info “una percentuale non alta, ma comunque degna di attenzione, riporta che a sconsigliare la frequenza al nido è stato il pediatra del bambino: lo indica il 30% degli italiani e il 22% degli stranieri“.
Secondo la ricerca per avvicinare le famiglie ai servizi per l’infanzia – fondamentali per prevenire la povertà educativa – è cruciale fornire informazioni chiare su costi, servizi educativi e benefici. Un’adeguata comunicazione, specialmente verso le famiglie più vulnerabili, insieme a politiche di sostegno all’occupazione femminile e all’ampliamento dell’offerta, potrebbe ridurre il divario tra l’Italia e il resto d’Europa.
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