Cinque milioni in più di persone a rischio di povertà. Questa la drammatica eredità che la crisi ha lasciato all’Unione Europea nel periodo 2008-2013. Ciascun paese ha contribuito, ma l’Italia ha battuto ogni record: 2.3 milioni di aumento, quasi la metà dell’impoverimento di tutta l’Europa. I dati si riferiscono alla povertà “relativa”, che prende come riferimento il reddito mediano. Ma anche se passiamo alla povertà “assoluta” (secondo l’Istat, meno di 1.400 euro al mese per una famiglia di quattro persone in un’area metropolitana nel Nord), la situazione italiana resta drammatica: sei milioni di poveri nel 2014, concentrati fra le famiglie con figli minori. Perché tanta povertà? La crisi ha colpito anche altrove, la nostra disoccupazione (12,7%) è appena sopra la media dell’Euro-zona. Il problema è il welfare. Non abbiamo mai introdotto quella “rete di sicurezza” che negli altri paesi soccorre i più deboli. Si sono fatte solo piccole e inconcludenti sperimentazioni: quella ora in corso si chiama “sostegno per l’inclusione attiva” e coinvolge circa 26 mila persone in dodici grandi comuni, una goccia nel mare. Fra pochi mesi finirà, mancano i soldi.
In Parlamento ci sono due proposte (SEL e Cinque Stelle). Soprattutto ai grillini va dato atto di aver finalmente attirato l’attenzione politica su questo tema. Il loro “reddito di cittadinanza” garantirebbe fino a 780 euro al mese (persona singola) a chi si trova in difficoltà ed è disponibile al lavoro. I costi sono tuttavia proibitivi: dai 15 ai 17 miliardi l’anno. Anche a prescindere dalle modalità di copertura (poco dettagliate nel progetto Cinque Stelle), si tratterebbe di un passo più lungo della gamba. Esiste però un altro progetto, fatto e finito. Si tratta del “Reddito di inclusione attiva” (Reis) sostenuto da un ampia rete di soggetti (fra cui Acli, Caritas, sindacati) che hanno dato vita ad una vera e propria “Alleanza contro la Povertà”. Il Reis sarebbe destinato a chi si trova in povertà assoluta (e non relativa, come nel caso della proposta grillina) e il suo importo sarebbe pari alla differenza fra il reddito disponibile e una soglia prestabilita in base ai componenti del nucleo. Per una persona sola senza lavoro, ad esempio, circa 400 euro al mese, più un contributo per l’affitto. Ai beneficiari si offrirebbero anche servizi volti a far recuperare l’autosufficienza.
A regime, il Reis costerebbe circa 7 miliardi l’anno. Tenendo conto dei vincoli di bilancio, l’Alleanza propone tuttavia un percorso di avvicinamento graduale in quattro anni: nel primo l’impegno sarebbe più o meno 1,6 miliardi. Da qualche giorno ci si interroga su come utilizzare il famoso “tesoretto” previsto dal DEF e che, neanche a farlo apposta, corrisponde proprio al costo del Reis per il primo anno. Se i soldi ci sono davvero, è un’occasione unica. Difficilmente la Commissione europea potrebbe sollevare obiezioni, visto che in vari documenti ufficiali ha criticato proprio l’assenza di una misura nazionale contro la povertà e ha chiesto all’Italia di predisporre un piano strategico di lotta all’esclusione. Per arrivare a regime nel 2019, il governo potrebbe anzi appellarsi sin d’ora alla nuova clausola sulla flessibilità dei vincoli fiscali approvata a Bruxelles due mesi fa. Sarà la volta buona? A questo punto, gli scenari che si profilano sono due. Quello prudente e praticabile, ossia adottare il Reis. Quello più ambizioso ma che solleva enormi problemi di finanziamento, cioè insistere sul reddito di cittadinanza. Chi vuole aiutare i più poveri concretamente e da subito non può aver dubbi su cosa sia meglio fare. Il governo nemmeno: dunque ci aspettiamo che faccia.
Questo articolo è stato pubblicato anche sul Corriere della Sera del 12 aprile
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