Ieri l’Alleanza contro la Povertà ha avanzato una proposta per l’introduzione del Reddito di inclusione sociale (REIS) – di cui vi avevamo raccontato già lo scorso anno – presentando un progetto frutto del confronto tra le diverse organizzazioni che compongono l’Alleanza.
L’obiettivo dello strumento è quello di rispondere a quei 6 milioni di italiani – il 9.9% della popolazione – che oggi si trovano in povertà assoluta, incapaci cioè di acquistare beni e servizi necessari al mantenimento di uno standard di vita considerato minimamente accettabile. Un quadro drammatico, soprattutto, se si tiene conto che in appena sette anni il numero dei poveri assoluti è più che raddoppiato. Nel 2007 erano 2,4 milioni, il 4.1% della popolazione. Oggi, come detto, si sfiora il 10%: 1 italiano su 10.
L’aumento è dovuto soprattutto all’allargamento di quella fascia grigia di popolazione che, pur avendo un lavoro, non riesce più a far fronte ai rischi e bisogni di carattere economico-sociale derivanti dall’inasprirsi della crisi. Il problema dei working poors non è certamente solo italiano, ma il nostro Paese – insieme alla Grecia – è l’unico membro dell’UE a non avere uno schema universale di contrasto alla povertà. Il Regno Unito possiede tale misura dal 1948, la Germania dal 1961, la Francia dal 1988. Perfino Spagna e Portogallo hanno adottato misure in questo senso sin dalla metà degli anni ’90.
Cosa prevede lo schema
Alla vigilia del varo della Legge di stabilità, l’Alleanza contro la povertà ha così scelto di rilanciare la proposta del REIS presentata a Roma nel luglio dello scorso anno. Lo ha fatto attraverso un progetto concreto e dettagliato, frutto del lavoro congiunto di mondi diversi – accademico, associativo e sindacale – che tra mille difficoltà hanno scelto di mettersi intorno a un tavolo per affrontare insieme l’emergenza.
Lo schema proposto prevede un investimento graduale di 1.7 miliardi l’anno, per arrivare in un quadriennio a una spesa a regime di poco più di 7 miliardi annui. Una cifra apparentemente consistente, ma che non farebbe altro che avvicinare l’Italia alla spesa media europea stanziata per contrastare la povertà, passando dall’attuale 0,1% allo 0,5% del Pil. Il programma, inoltre, non sarebbe un mero strumento emergenziale, ma creerebbe condizioni strutturali adeguate a sostenere i più poveri al di là della situazione attuale.
Il REIS sarebbe destinato a tutte le famiglie in povertà assoluta residenti in Italia da almeno un anno e la cifra stanziata dovrebbe essere pari alla differenza tra il reddito del nucleo e la soglia di povertà assoluta redatta periodicamente dall’Istat (nel 2013 pari a 972,52 euro per una famiglia di due componenti). L’erogazione monetaria sarebbe tuttavia solo una parte di un percorso di accompagnamento che dovrebbe prevedere servizi sociali, sanitari ed educativi necessari ad uscire dalla situazione di marginalità. Lo strumento dovrebbe essere finanziato attraverso risorse statali, ma sarebbe gestito a livello locale dai Comuni in collaborazione con le organizzazioni del Terzo Settore operanti a livello territoriale, in modo da poter condividere passo dopo passo competenze, conoscenze e valutazioni di chi concretamente affronta le situazioni di disagio.
Le prime reazioni alla proposta
Mauro Magatti, docente dell’Università Cattolica di Milano, ha sottolineato come la proposta “costituisca un metodo di politica sociale per sottrarre la poca spesa sociale presente in Italia ad una logica di ricerca del consenso” aggiungendo che “se per il bonus di 80 euro sono stati individuati 10 miliardi, vuol dire che i soldi si trovano se sono chiari gli obiettivi”.
Cristiano Gori, curatore del progetto, ha rincarato la dose spiegando che “i costi sono quelli indicati da tutta la letteratura in materia, tra i 6,5 e i 7 miliardi, un centesimo della spesa corrente, compatibili col quadro macroeconomico e utili per lo sviluppo”. I promotori della proposta si sono dimostrati consapevoli dei rischi che questa porta con sé, in particolare il timore che possano beneficiarne anche i "falsi poveri", ma sempre Gori ha sottolineato come “possiamo costruire politiche per fronteggiarli: l’ISEE, la soglia di reddito familiare, l’indicatore di reddito presunto”.
Le prime risposte da parte delle istituzioni sono tuttavia apparse poco entusiaste. Il sottosegretario al Lavoro e alle Politiche Sociali Franca Biondelli ha riconosciuto l’importanza del lavoro svolto dalle organizzazioni aderenti all’Alleanza e spiegato come “il governo ha comunanze di vedute con il progetto del REIS, ma ci sono limiti di bilancio con cui si deve fare i conti”. La priorità del Governo appare piuttosto quella di potenziare la sperimentazione della Social Card, già attiva in 12 città del Paese. Nonostante i primi risultati siano parsi sostanzialmente deludenti, Biondelli ha infatti spiegato che “nella legge di stabilità stiamo cercando risorse per estenderla all’intero Paese”. Molto netto però il commento di Gianni Bottalico, presidente nazionale Acli, rispetto a questa priorità: “La social card non è la risposta alla povertà in termini strutturali”.
Riferimenti
Proposta Reddito Inclusione Sociale (pdf)
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