Reddito di cittadinanza, riforma fiscale, revisione del sistema pensionistico e delle aliquote contributive: il Governo Meloni è intervenuto (o si appresta a farlo) su alcuni delicati pilastri del cosiddetto “contratto sociale” che regola i rapporti fra cittadini e Stato. “Toccare questi pilastri significa modificare il dare e l’avere, ossia l’equilibrio fra ciò che si ottiene sotto forma di prestazioni e ciò che si paga in tasse e contributi. Soprattutto per le categorie più deboli, anche piccoli cambiamenti rischiano di mettere a rischio la capacità di rispondere a vulnerabilità e bisogni“. Per questo occorre fare molta attenzione.
A dirlo è Maurizio Ferrera sul Corriere della Sera, che sottolinea come le riforme sinora adottate dal Governo non siano state accompagnate da giustificazioni articolate, basate su dati e analisi d’impatto. L’esempio più evidente è quanto accaduto con il Reddito di Cittadinanza nelle scorse settimane: un modo approssimativo di costruire le politiche pubbliche che, secondo lo Scientific Supervisor di Secondo Welfare, risente della mancanza di quella infrastruttura tecnica a supporto del policy making presente negli altri Paesi europei.
“Da noi lo sviluppo dello Stato sociale è avvenuto tramite l’espansione della spesa per trasferimenti e servizi pubblici […] senza un parallelo rafforzamento e articolazione delle capacità statuali indispensabili per programmare, attuare, monitorare, valutare e correggere le varie misure, in relazione ai loro effetti. Questo deficit è il principale responsabile degli squilibri interni che ancora caratterizzano lo Stato sociale italiano”. L’assenza di questa capacità di governo secondo Ferrera fa si che “le politiche pubbliche non «imparano», ogni riforma riparte da zero“. Giorgia Meloni dovrebbe lavorare su questo fronte: “un investimento straordinario in capacità istituzionali” per trarne subito vantaggio in termini di qualità delle politiche pubbliche.