Sociologi ed economisti non hanno dubbi. Il congedo di paternità fa bene sia alle famiglie che all’economia. Se dopo la nascita di un bambino i padri stanno un po’ a casa, non ne beneficia solo il rapporto con i figli ma anche l’intesa di coppia. L’armonia in famiglia accresce la fiducia, la serenità e l’autostima di entrambi i partner. E sappiamo che la sfera delle relazioni affettive condiziona in modo molto significativo quella del lavoro. Gli studi economici che hanno valutato l’impatto dei congedi di paternità segnalano chiaramente che essi hanno effetti positivi sul rendimento e sul morale dei dipendenti, nonché sul loro attaccamento verso l’impresa. I costi organizzativi sono così controbilanciati da netti guadagni in produttività.
In molte imprese il congedo dei padri è ancora scoraggiato e stigmatizzato. Ma l’esperienza internazionale indica che questo tipo di resistenze si attenua al crescere del numero di padri che scelgono questa opzione, anche in altre imprese, grazie a una sorta di effetto domino. Il congedo di paternità è anche – e ovviamente – una misura di pari opportunità. Per gli uomini, ma soprattutto per le donne, in quanto contribuisce a contenere quelle "penalità" in termini di reddito e carriera che colpiscono le neo-madri che lavorano. In Svezia si è stimato che per ogni mese di congedo fruito dai padri le retribuzioni delle madri crescono in media del 7%. Nel Quebec – che ha introdotto il congedo obbligatorio solo pochi anni fa – si stima che l’incremento sia pari addirittura al 25%.
C’è davvero da augurarsi che fra le tante voci di spesa che il governo Conte intende inserire nella Legge di Stabilità non manchi il rifinanziamento del congedo di paternità. Rendendolo, possibilmente, una misura strutturale.
Questo articolo è stato pubblicato il 17 settembre 2018 su L’Economia del Corriere della Sera, insieme a questo approfondimento di Ilaria Madama e Franca Maino sul tema del congedo di paternità. E’ stato qui riprodotto previo consenso dell’autore.