190.000 nascite in meno in tutta l’Unione Europea. È la previsione che Eurostat fa per il 2030 in rapporto al 2020. La cifra campeggia sulla prima pagina del Sole 24 Ore di lunedì 30 gennaio, che affronta il tema della della denatalità – cui anche Secondo welfare ha dedicato una serie – grazie a “un’elaborazione su dati Eurostat, integrati dalle statistiche nazionali più recenti, realizzata nell’ambito della collaborazione con l’European data journalism network”. I dati riportati da Michela Finzio e Riccardo Sorrentino fanno emergere la difficile condizione in cui versa l’Unione Europea nel suo complesso, con in testa l’Italia, ma anche le eccezioni positive, come la Francia, l’Ungheria o il Portogallo. Ma andiamo con ordine. E partiamo dalle cattive notizie, che riguardano il nostro Paese in particolare.
La situazione dell’Italia
“L’Italia è tra i Paesi meno fecondi d’Europa, insieme a Spagna e Malta, con meno di 1,3 figli per donna”, si legge nell’articolo. “Diventa il peggiore tra i 27 se si prende in esame il tasso di natalità (il rapporto dei nati rispetto alla popolazione, ndr), che risulta il più basso nel 2021, pari a 6,8 nati ogni 1.000 residenti contro una media europea di 9,1. Record negativi confermati dalle stime Istat sul 2022: nell’anno passato si è consolidato il calo delle nascite, che perdura – senza interruzioni – dal 2010”, aggiunge il quotidiano.
La conferma della Francia
Come detto, il problema è continentale, ma esistono anche Paesi UE che si distinguono, perché continuano a fare nettamente più figli della media, perché hanno invertito la tendenza o perché hanno dato segnali timidi, ma positivi di cambiamento. Il primo caso è quello della Francia che grazie alle sue politiche lungimiranti in tema di natalità, con 10,9 nati ogni mille abitanti si conferma “il Paese europeo che fa più figli”, come avevamo scritto anche su Secondo Welfare.
Paesi che sembra abbiano invertito la rotta
Il secondo, spiega Il Sole 24 Ore, è quello dei “Paesi che nell’ultimo decennio sono riusciti a invertire la rotta: 9 su 27 registrano un tasso di fecondità in aumento. Tra questi l’Ungheria, che è passata da 1,25 a 1,59 figli per donna, e la Repubblica Ceca salita da 1,51 a 1,83″. Quest’ultima ha raggiunto così il livello più alto del continente detenuto dalla Francia, il cui dato però negli ultimi anni risulta in calo. “Da rilevare anche la Germania, dove la fecondità delle donne è passata da 1,39 a 1,58 figli in media”.
Leggere bene i dati
I dati vanno tuttavia letti con attenzione. Se guardiamo all’andamento del tasso di natalità nell’ultimo decennio, infatti, sono solo tre i Paesi che nel 2021 hanno avuto un dato più elevato del 2010: Germania (+15,7%), Ungheria (+7,8%) e Austria (+2,1%). Il quadro dunque è meno positivo di quanto sembri. Anche dove apparentemente le cose vanno bene. Soprattutto se si guarda ai dati più recenti. “L’ufficio di statistica nazionale” di legge sul Sole “ha da poco fatto sapere che il 2022 sarà il quinto anno nella storia ungherese a chiudere con meno di 90.000 nascite. Rompendo il trend in corso dal 2012, diminuirà anche il tasso di fecondità. Anche l’ufficio federale di statistica tedesco ha rilevato un calo delle nascite nel 2022 (-7% circa rispetto al 2021), anche se la popolazione continua a crescere grazie all’immigrazione. A pesare è il calo della popolazione giovanile, ma anche gli effetti della pandemia: l’incertezza sociale ed economica ha spinto molte coppie a rimandare la decisione di mettere al mondo un figlio”.
Esempi mediterranei
Da citare la situazione del Portogallo, che può offrire speranza anche a un Paese Mediterraneo come il nostro. “La sfida, ovunque, sta quindi nel riuscire a ritardare l’esplosione della bomba demografica. Segnali positivi, in questa direzione, arrivano da Spagna e Portogallo che stanno investendo molto nelle politiche familiari. Il Portogallo in particolare ha appena annunciato, per la prima volta dopo tanti anni, un aumento del 5% delle nascite nel 2022: per un Paese che ha perso più di 200.000 abitanti in dieci anni (su una popolazione di 10 milioni, ndr), il dato diventa incoraggiante”.