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La Costituzione italiana sancisce i principi di solidarietà (art.2 Cost.) e di pari dignità sociale (art.3 Cost.) oltre che garantire, all’articolo 32, il “diritto alla salute”. La stessa legge del 23 dicembre 1978, n. 833, istitutiva del Servizio sanitario nazionale, garantisce assistenza sanitaria a tutti coloro che risiedono o dimorano nel territorio della Repubblica, senza distinzione di condizioni individuali o sociali.

Eppure, allo stato attuale il diritto alla salute non è esigibile dalle persone senza dimora che non possiedono un’iscrizione anagrafica comunale. Alla mancanza di un riconoscimento formale della propria presenza in una città, si associa quindi anche la perdita del diritto fondamentale alla tutela della salute e all’assistenza sanitaria, eccezion fatta per le prestazioni di emergenza presso il Pronto Soccorso.

Un altro obiettivo prioritario del Servizio Sanitario Nazionale è quello di promuovere l’integrazione socio-sanitaria. La salute della persona, infatti, è qui intesa in senso ampio, ovvero come l’insieme del buon funzionamento di tre dimensioni di vita: biologiche, psicologiche e sociali. Per questo motivo, garantire livelli di salute e benessere adeguati richiede un impegno da parte di più attori che, a vario titolo, come nel caso dei servizi sociali e dei servizi sanitari, sono chiamati a collaborare. Eppure anche in questo caso, le questioni normative, le difficoltà organizzative e l’articolazione delle competenze ai diversi livelli di governo, rendono di difficile applicazione l’enunciata integrazione socio-sanitaria.

Il nodo dell’integrazione socio-sanitaria

Come evidenziato dalle Linee di indirizzo per il contrasto alla grave emarginazione adulta redatte dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (2015), integrare servizi sociali e servizi sanitari significa porre al centro la persona e le sue esigenze di salute e benessere, spesso compromesse dalla vita in strada. Nella maggior parte dei casi, invece, l’unica interfaccia sanitaria per la persona homeless, è – e resta – il servizio di Pronto Soccorso, con tutti gli extra-costi e le criticità in termini di adeguatezza che ciò comporta.

Per chi non ha casa e vive in strada o si appoggia a strutture di accoglienza, l’accesso alle cure, un rapporto regolare con il medico di Medicina Generale (MMG), l’accesso alla medicina preventiva e specialistica, la possibilità di trascorrere una convalescenza che non vanifichi l’intervento sanitario, rappresentano problemi insormontabili che si traducono spesso nella rinuncia alla cura di sé.

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Inoltre, mancano a oggi protocolli di intervento o prassi consolidate di presa in carico socio-sanitaria che si basino su un concetto esteso di salute, come richiamato sopra. Spesso, avviene invece che la presa in cura di una persona senza dimora generi fatiche e incomprensioni fra i servizi nello stabilire chi deve intervenire. Mentre la persona soffre di deprivazioni e il tempo passa, è difficile definire l’appartenenza a un servizio specifico: sanitario? sociale? dipendenza? malattia mentale? disagio sociale o disabilità? Così molte volte nel sistema degli Enti, sia pubblici che privati, i problemi di confine di appartenenza del senza dimora, creano aree grigie che, non affrontando l’integrazione socio-sanitaria, aggravano il processo di esclusione.

Possibili ambiti di intervento e recenti iniziative

Sulla base di esperienze progettuali significative, alcune delle quali riprese in un documento del Gruppo di lavoro nazionale fio.PSD proprio sul tema “Salute” (2018) e in un recente articolo pubblicato su Welforum, alcuni ambiti di azione risultati efficaci riguardano:

  • la collaborazione tra più soggetti istituzionali e del privato sociale quale tappa fondamentale per la tutela dei diritti delle persone vulnerabili: affiancare, per esempio, fin dall’inizio dell’intervento sociale, la consulenza di un medico di medicina territoriale o di un ambulatorio, se le prestazioni necessarie rientrano tra quelle previste dall’assistenza sanitaria pubblica;
  • il consolidamento di prassi a livello regionale come Protocolli di intervento, cura e assistenza ospedaliera tra servizi territoriali alla grave marginalità e DGR meno vincolanti nella durata per le persone senza dimora;
  • percorsi di accoglienza post acuzie per persone che abbiano subito interventi o necessità di degenze prolungate che, in assenza di una dimora, rischiano di creare ricadute e aggravare ulteriormente le condizioni di salute;
  • promuovere studi evidence based e cost effective che dimostrino i vantaggi del co-finanziamento e di una governance congiunta tra servizi sociali territoriali e servizi sanitari nella cura delle persone con maggiori vulnerabilità;
  • in un’ottica preventiva, realizzare screening gratuiti delle condizioni di salute delle persone senza dimora presenti in strada, interventi di prima necessità ed orientamento verso il sistema sanitario territoriale.

Meritevole di essere citata è la recente proposta di legge (A.C. 433-A), approvata alla Camera il 25 giugno 2024, Modifica all’articolo 19 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, e altre disposizioni in materia di assistenza sanitaria per le persone senza dimora, finalizzata a riconoscere il diritto all’assistenza sanitaria alle persone senza dimora, prive della residenza anagrafica sul territorio nazionale o all’estero.

La strage invisibile delle persone senza dimora

Questa proposta, volendo garantire l’effettiva tutela della salute quale diritto fondamentale, chiede che le persone senza dimora senza residenza anagrafica, possano iscriversi negli elenchi degli assistiti delle aziende sanitarie locali territoriali di riferimento, al fine di effettuare la scelta del medico di medicina generale e di accedere alle prestazioni incluse nei livelli essenziali di assistenza garantiti ai cittadini residenti in Italia. La proposta istituisce, inoltre, nello stato di previsione del Ministero della salute, un fondo, con una dotazione di un milione di euro per ciascuno degli anni 2025 e 2026, per il finanziamento di un programma sperimentale.

Prospettive future

Tra le strategie per affrontare il complesso fenomeno della salute per le persone in grave marginalità, sicuramente occorre perseguire tre livelli di azione. Uno è legato alla dimensione dell’accesso. Occorre creare le condizioni affinché le persone possano superare la condizione di marginalità attraverso il riconoscimento dei diritti fondamentali di residenza e di salute, come richiamato in apertura dell’articolo. Servono meccanismi inclusivi, servizi e luoghi, professionalità che, conoscendo le fragilità sociali, possano mettere insieme competenze e responsabilità sociali e sanitarie per affrontare la salute nella sua accezione olistica. Un altro livello di azione riguarda la necessaria regolamentazione dell’integrazione socio-sanitaria che superi le evidenti e spesso insormontabili barriere burocratiche e organizzative che caratterizzano oggi il sistema dei servizi. Un terzo livello riguarda, come sempre, un investimento in formazione e promozione culturale che aiuti a costruire un consenso, un’idea condivisa di come lavorare insieme tra professionisti diversi, con l’obiettivo finale di prendersi cura di chi, a oggi, non riesce ad accedere neanche ai livelli essenziali di salute e assistenza.

Questo articolo è uscito sul numero 2/2024 di Rivista Solidea, pubblicazione promossa dall’omonima Società di mutuo soccorso e parte del network del nostro Laboratorio.

 

 

Foto di copertina: John Moeses Bauan, Unsplash.com