Politiche attive del lavoro (PAL) e servizi per l’impiego (SPI) continuano a rappresentare un tema fortemente dibattuto nel contesto italiano. Nonostante la condizione di ritardo che caratterizza storicamente questo settore, ogni nuova riforma del mercato del lavoro o degli ammortizzatori sociali continua ad attribuire molte aspettative a questa area di policy. Una parte importante del dibattito è dedicata, in particolare, all’impatto che può avere l’utilizzo di nuovi strumenti digitali sulla progettazione ed erogazione delle politiche attive. La digitalizzazione viene vista spesso come nuova possibile strada per rilanciare il settore. Ci si aspetta che la digitalizzazione riduca gli errori umani, riducendo lo spazio per i pregiudizi individuali nel processo decisionale e generando maggiore efficacia ed equità di trattamento, fornendo servizi migliori con meno risorse. Opportunità che, in tal senso, potrebbero venire dall’attuazione del Programma Garanzia Occupabilità Lavoratori (GOL) all’interno del PNRR.
Le esperienze più avanzate a livello europeo
Allo stesso tempo occorre anche specificare che si tratta di un processo le cui caratteristiche possono essere diverse da Paese a Paese. Diversi Stati (e regioni subnazionali) hanno stabilito strategie differenti, con vari livelli di impegno istituzionale, con riferimento ad approcci, strumenti e pratiche di digitalizzazione delle PAL.
Come abbiamo messo in luce in un articolo pubblicato sul numero 2/2023 di Politiche Sociali/Social Policies, a partire dall’osservazione di esperienze nazionali già consolidate, è possibile ricavare alcune indicazioni utili per la definizione di una strategia italiana per l’utilizzo di strumenti digitali nelle PAL. In particolare, ci siamo concentrati su quattro Paesi europei – Paesi Bassi, Austria, Belgio (con riferimento alla regione delle Fiandre) e Danimarca – che si distinguono per un livello avanzato di digitalizzazione delle PAL, come testimoniato dall’introduzione di tecnologie algoritmiche, e sono accomunati (in maniera simile al caso italiano) dalla natura multilivello dell’organizzazione dei propri SPI.
Molte delle riforme orientate alla digitalizzazione delle PAL e degli SPI a livello europeo risalgono agli anni immediatamente successivi alla Grande Recessione, quando i governi nazionali hanno tentato di ridurre la spesa pubblica anche per le prestazioni sociali. Le nuove tecnologie sono state implementate guardando a guadagni di efficienza e razionalizzazione. Questo è stato, in particolare, il caso dei Paesi Bassi, dove gli SPI sono stati riformati nel 2010, fissando l’obiettivo di realizzare il 10% dell’assistenza attraverso l’interazione in presenza e il 90% online. Nel caso delle Fiandre, diversamente, pur partendo da un iniziale obiettivo di budget, si è riusciti tuttavia a creare i presupposti per un rilancio degli SPI attraverso una evoluzione significativa del loro modello.
Gli SPI sono diventati uno dei settori su cui concentrare applicazioni digitali molto sofisticate, sviluppate in collaborazione con Università e centri di ricerca, con la finalità di predisporre sistemi di supporto “data-driven” per chi cerca lavoro. Obiettivi di budget ed efficientamento, pertanto, non sono sempre cruciali. In Danimarca le tecnologie digitali sono state considerate in grado di includere più gruppi nel mercato del lavoro e di raggiungere un più rapido ed efficace job-matching. L’uso dei canali digitali non è stato legato a questioni di bilancio, ma alla necessità di potenziare il sistema dei servizi. Più distante da queste risulta l’esperienza austriaca, non configurabile come vero e proprio modello digitale, ma piuttosto “multicanale” con canali digitali che non risultano però prioritari rispetto ad altri. Un caso, quello austriaco, che testimonia come, in assenza di opportune condizioni di trasparenza e conoscibilità dei modelli statistici utilizzati, gli strumenti sono stati anche abbandonati per via di controversie giudiziarie che ne hanno compromesso la legittimità.
Quale strategia per l’Italia?
L’Italia si trova ora in una situazione in cui il problema non è sicuramente il budget, dal momento che con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ci sono stati investimenti senza precedenti. Il programma GOL, all’interno del PNRR, destina 4,4 miliardi di euro per la modernizzazione delle PAL italiane nel periodo 2021-2025 (una somma che in base ai recenti annunci della Ministra del lavoro Calderone potrebbe essere portata a 5,4 miliardi di euro) e riserva ampio spazio all’obiettivo della digitalizzazione delle stesse.
Quel che appare evidente, tuttavia, è che la digitalizzazione delle PAL richiede, al di là degli investimenti, l’elaborazione di una strategia definita, quale strumento principale per individuare obiettivi, priorità, azioni in grado di massimizzare gli effetti degli investimenti stessi. Nei casi di Belgio-Fiandre e Paesi Bassi, e in ultima analisi anche della Danimarca, si è scelto di seguire un approccio digital first. Secondo questa logica, i canali digitali sono quelli primari o di default per l’accesso ai servizi e il loro utilizzo. All’utente viene richiesto di accedere a un unico punto di ingresso telematico, non unicamente finalizzato ad adempimenti amministrativi.
Welfare digitalizzato, welfare digitale e nuovi rischi sociali digitali
L’implementazione in Italia di questo approccio richiederebbe un certo livello di gradualità, tale da non permettere che alcuni utenti restino esclusi, nonché per favorire (soprattutto) il coinvolgimento degli operatori. Tuttavia, l’Italia post-pandemica, dopo l’accelerazione forzata nell’utilizzo di strumenti telematici per l’accesso agli SPI dovuta alla pandemia, offre probabilmente un contesto più favorevole di quello precedente al 2020.
Nell’ambito di un approccio digital first, sembrano possibili varie soluzioni. Una è quella, seguita ad esempio nelle Fiandre, di offrire soltanto servizi digitali per le prime settimane dopo la registrazione, per poi procedere al contatto da parte degli operatori del CPI e valutare se l’utente ha necessità di consulenza personale, reiterando tale contatto nel corso del tempo per quanti proseguano nel canale unicamente digitale. Un’altra è quella di segmentare o “clusterizzare” immediatamente l’utenza attraverso strumenti di profilazione, indirizzando da subito gli appartenenti ai diversi cluster a percorsi diversi, attraverso il canale digitale o quello di contatto personale, in base alla valutazione di occupabilità. In ogni caso, in una fase transitoria, occorrerebbe preservare la possibilità di utilizzare altri canali di accesso oltre a quello digitale, sia fisici che telefonici. A tal proposito, non è da escludersi la possibilità, riservata a chi non è dotato di competenze digitali sufficienti, di delegare l’accesso e l’interazione con gli SPI ad altra persona.
Rispetto alle fasi di accesso ai servizi, le piattaforme digitali non dovrebbero essere soltanto delle maschere, ma dei veri e propri strumenti interattivi nei quali l’utente accede direttamente a tutti i servizi personalizzati che sono previsti per il suo profilo. In particolare, anche per quanto riguarda utenti destinati a servizi in presenza, queste piattaforme mettono a disposizione degli operatori il fascicolo elettronico completo del lavoratore (strumento previsto in Italia sin dal 2015, ma non ancora avviato) e rappresentano il luogo all’interno e per mezzo del quale avvengono i contatti con l’utenza. In altri termini, se nel canale digitale l’utente non interagisce necessariamente con un operatore fisico, accedendo a servizi automatizzati, in quello personale le interazioni dovrebbero di regola avvenire per via telematica, e solo in subordine recandosi al CPI.
Un approccio di questo tipo permette di raggiungere svariati vantaggi. Da un lato, vengono meno le pratiche burocratiche e meramente adempimentali che affliggono l’attuale funzionamento degli SPI italiani; dall’altro, i guadagni di efficienza derivanti dalla riorganizzazione delle modalità di accesso al sistema consentono di concentrare l’assistenza in presenza sugli utenti che manifestano una condizione di svantaggio maggiore.
Rispetto alla profilazione algoritmica, la diagnosi del soggetto dovrebbe dare luogo alla sua preliminare attribuzione a un cluster, prevedendo in connessione a questo un percorso digitale o personale (e garantendo al contempo la possibilità di rivedere tale attribuzione da parte dell’operatore). Ad ogni modo, in un contesto frammentato e caratterizzato da una governance multilivello come l’Italia, è opportuno che la profilazione sia erogata in modo omogeneo a livello nazionale (tenendo conto dei contesti occupazionali locali), così come avviene nel programma GOL, ma in base ad algoritmi conosciuti. Nel caso italiano, la potenziale ricchezza dei dati amministrativi consentirebbe di andare oltre l’adozione di metodologie di profilazione di tipo statistico e non impedirebbe la sperimentazione di applicazioni basate sull’Intelligenza Artificiale.
Circa l’incontro domanda-offerta, la disponibilità a utilizzare canali esclusivamente digitali potrebbe essere ulteriormente facilitata dall’introduzione di strumenti di matching tra vacancy e CV che minimizzano i costi connessi all’autoesplorazione/autoassistenza che si richiederebbe a queste fasce di utenza. Questi strumenti, sviluppati in particolare nell’ambito dei servizi fiamminghi, ma in uso anche da parte degli operatori privati, stanno attirando l’attenzione di alcune realtà subnazionali in Italia, senza però aver ancora trovato realizzazione. Allo stesso modo, strumenti di questo tipo non investono solamente potenziali applicazioni di job-matching ma possono riguardare il posizionamento dell’insieme di competenze dell’utente rispetto alla domanda da parte delle imprese sul territorio.
Potenziali rischi della digitalizzazione
A partire da queste considerazioni, sulla scorta delle esperienze di altri casi europei, non si possono non menzionare, tuttavia, i rischi connessi a tale corso di azione. Gli strumenti di profilazione algoritmica sono molto dibattuti (anche nei tribunali) per i loro potenziali esiti discriminatori, nonostante questi ultimi derivino dalle basi di dati che vengono utilizzate per generare e calibrare gli algoritmi. Gli algoritmi utilizzati devono essere pubblici e conoscibili e, allo stesso tempo, occorrerebbe riflettere anche sulla opportunità di istituire comitati etici, che analizzino e validino le scelte fatte a livello nazionale e regionale su qualsiasi potenziale applicazione basata su tecnologie algoritmiche. L’importanza di istituzioni preposte a vigilare su trasparenza e conoscibilità degli algoritmi utilizzati è cruciale per mitigare l’opposizione che potrebbe sorgere nei confronti di un cambiamento trasformativo di questo tipo nelle politiche attive italiane.
I Policy Highlights di Politiche Sociali/Social PoliciesIl presente articolo sintetizza il contenuto di un lavoro pubblicato sul numero 2/2023 di Politiche Sociali/Social Policies, rivista edita dal Mulino e promossa dalla rete ESPAnet-Italia. Per maggiori dettagli e citazioni: Sacchi, S. e G. Scarano, Le politiche del lavoro nell’era digitale: indicazioni per l’Italia dall’evidenza comparata, in «Politiche Sociali/Social Policies», 2/2023, pp. 269-292. |